Atipografia presenta la nuova mostra Babel di Mirko Baricchi

Babel, l’ultima poetica mostra di Mirko Baricchi, presentata negli spazi di Atipografia a Arzignano

Un grande involucro di cemento incornicia una struttura di vetro, ferro e legno. Atipografia (Arzignano) si presenta con le imperfezioni della materia, che restano salde sulle pareti evidenziando i segni del tempo e della tecnica. La solidità della sua storia di tipografia ottocentesca, radicata in un territorio operoso come quello vicentino, non è cancellata da operazioni architettoniche contemporanee. Al contrario è ingentilita in un’estetica brutalista, che rimanda anche alla matrice modernista e a una certa tradizione orientale, in cui il vuoto e l’assenza sono depositari di possibilità.

Possibilità offerte da Elena Dal Molin erede visionaria di questo luogo, che ha affidato il compito di un restyling allo studio di architettura a AMAA di Marcello Galiotto e Alessandra Rampazzo, con sede a Arzignano e a Venezia. Lo spazio nato nel 2014 e riaperto nel 2022 dopo l’intervento, si pone come centro di interesse culturale e galleria (ne aveva parlato ARTUU qui), in cui ospitare artisti che devono necessariamente dialogare con un posto così caratterizzante. La fondatrice ci racconta come le ricerche selezionate siano accomunate dalla capacità di evocare una certa poetica, con proposte lungi dalle omologazioni estetiche e temporali della contemporaneità.

Mirko Baricchi Babel <br>Atipografia Installation view Courtesy Atipografia <br>Photo Alberto Sinigaglia

L’ultima mostra appena inaugurata Babel di Mirko Baricchi (La Spezia, 1970), visitabile fino al 18 maggio 2024, è una narrazione visiva del percorso creativo dell’artista. Inizia con una serie di lavori precedenti che fanno parte del ciclo Selva. Opere di dimensioni diverse in cui il riferimento al paesaggio non ha nulla di figurativo. È invece evocativo attraverso l’uso del colore, che l’artista aggiunge e sottrae con un procedimento quasi rituale. Esito di ricordi ora nitidi o ora sbiaditi trasferiti sulla tela con pennellate brevi, piccole, ravvicinate. Reminiscenze boschive di una visione, che ha luogo a partire dal suo studio nei dintorni di Vicenza. 

In Babel e Season 21, lo spettatore assiste alla sua produzione più recente, di cui l’ultima prodotta per l’occasione. Nel primo caso macchie di colore disegnano ambientazioni vagamente paesaggistiche, in cui a tratti si affacciano figurazioni appena accennate, incorniciati in porzione di spazi lasciati liberi. Ma anche della quotidianità di una teiera, dei segni di Humus, e di quelli da Pangea. Ora interrotti da grafismi, da trasparenze, da tecniche come il monotipo, da oggetti che si qualificano chiaramente o che si intuiscono in trasparenza come pietre e i tronchi, che riaffiorano, come prelievi di memoria. Memorie visive destrutturate con il colore, che autonomamente definisce campiture e apparenze, in cui ricuperare la familiarità prima di tutto della natura.

Mirko Baricchi Babel <br>Atipografia Installation view Courtesy Atipografia <br>Photo Alberto Sinigaglia

Il secondo è un ciclo pittorico su carta, che, come ci spiega Baricchi è trattata come fosse tela, sottomessa a condizioni naturali che lasciano le loro tracce. Una stratificazione di elementi, che insieme alla pittura restituiscono le forme e i segni della sua ricerca. La paletta cromatica si alleggerisce nei toni pastello, negli aranci, nei grigi, nei rosa che in taluni casi, dividono lo spazio in geometrie affiancate da rievocazioni di altri lavori. Linguaggi e paesaggi riproposti come una Torre di Babele, da qui il titolo della mostra che rimanda alla serie Babel. L’artista parlando della sua ricerca, spiega che si tratta di serie e cicli che non si chiudono. Al contrario riemergono attraverso indizi e dettagli in opere successive. Sono per lui “argomenti”, come li chiama, che ritornano come in una conversazione. 

E allora forse dovremo pensare al suo lavoro come a conversazioni interrotte, che nel tempo si stratificano di altri significati e conoscenze, per riproporsi nella solidità di quelle immagini. “Immagine che prima non c’era, e ora c’è”, che nasce dalla gestualità di un’azione, che per lui avviene lavorando con i supporti posizionati in orizzontale. È un’indagine pittorica intorno alla materia, quella di Baricchi, un fatto “atavico”, che si costituisce in paesaggi e in passaggi di memorie, che attraversano lo spazio della tela e della carta. Si offre generosa nelle sue pennellate e nei contenuti ben lungi da rappresentazioni oggettuali. Un fare, il suo, in cui conta “il come non il cosa”. Esiste prima della rappresentazione e va oltre la stessa, poiché desiste a identificazioni formarli, ma al contrario è un esercizio potente per l’immaginazione. 

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