Baustelle e I cani: perché il nuovo disco è uscito solo in vinile e come ascoltarlo

Loro sono due gruppi che, a loro modo, hanno introdotto due sottogeneri diversi nel grembo del pop italiano. I toscani Baustelle, a partire dalla famosa “La guerra è finita” e “Un romantico a Milano”, dal 2005 si sono imposti con una musica Baroque pop, apparentemente semplice ma che nasconde dei giri armonici non convenzionali e delle immissioni di strumenti vari, dall’elettronica ai violini. Le loro liriche negli anni sono diventate sempre più criptiche, per sfociare nell’accostamento semi-surrealista di cui è impregnato il loro ultimi album, “Elvis”.

I Cani di Nicolò Contessa invece, sono un fenomeno nato nel web, con la loro sperimentazione pesantemente elettronica quasi fino all’ossessione e i testi scarni, “burini”, ma allo stesso tempo intrisi di poesia malinconica. Contessa, dopo i primi 3 dischi, usciti tra il 2010 e il 2016, ha deciso di dedicarsi alla collaborazione con altri artisti come Coez e Giovanni Truppi, portando avanti la sua piccola rivoluzione dell’indie elettronico. Il quarto disco de “I cani” è diventato una chimera, una sorta di animale fantastico che tutti gli appassionati delle nuove sottoculture “indie” digitali si aspettavano che potesse uscire da un momento all’altro, in una maniera inaspettata e sfuggente.

E ieri, 6 dicembre, una sorta di quarto disco è arrivato, in collaborazione con i Baustelle, inventando o meglio re-inventando un modo di distribuzione vintage e oggi usato solo a corollario della fruizione digitale: il disco in vinile in tiratura limitata di 1.000 copie acquistabili solo Bandcamp. Nell’era della musica “liquida” e “volatile” dello streaming e del digitale, dove il suo consumo diventa quasi un semplice sottofondo della quotidianità, riportarla ad un supporto fisico, tattile e fisico, diventa una piccola rivoluzione. La copertina è nera, minimal, diretta, senza fronzoli, solo con la scritta “I CANI BAUSTELLE”, ci invita a prenderci un momento tutto nostro per sederci e vivere queste canzoni in maniera esperienziale, focalizzandoci sulla musica e sull’atmosfera che essa stessa crea.

I titoli poi suggeriscono anche delle canzoni “doppie”: “Nabucconodosor – Essere vivo”; “Canzone d’autore – L’ultimo animale”. Due o quattro canzoni, dove Bianconi, Basteghi e Contessa sembrano cimentarsi in un dialogo poetico e cantato, dove due realtà musicali si intrinsecano non seguendo i tradizionali criteri della distribuzione delle strofe di un duetto.

In “Nabucconodosor – Essere vivo,” la performance vocale di Bianconi inizia su una base musicale elettropop, si abbassa e si perde in un tempo antico di Babilonia. Successivamente, al minuto 1 e 45, entra la voce di Contessa su atmosfere più rarefatte, ripetitive con le parole: “Ma poi che gusto c’è a vivere, senza mai farsi del male.” In seguito, Bianconi ritorna criticando “i cantanti micidiali della tua generazione”.

Sul lato opposto, Bianconi canta: “Tu che ti ostini a chiamarle canzoni d’autore” Poi, menziona situazioni come “quante rogne gestisce un sindaco trapezista” e “prostituzione palestra quanta volgarità.” Con l’ingresso di Contessa, il tono si fa più esistenziale: “Lo sai com’è vivere come un essere umano, intrappolato tra il bene e il male.” Bianconi conclude il concetto affermando: “Con la vergogna da portare, la coscienza, la morale, il peccato originale, l’unico animale. L’ultimo animale.” La narrazione si conclude qui.

La riflessione dunque riguarda la stessa scena musicale contemporanea, dove l’unica cosa che conta sono “i padri”, l’unico “faro nella notte che muore” mentre “tu stai provando ad urlare e non sai perché”, “povero sassolino nella tempesta”, forse riferendosi ad una generazione di artisti che non riesce a trovare dei punti fermi, dei miti, delle opportunità di espressione.

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