Belcanto, parla Andrea Bosca che dà il volto al tenore Giacomo Lotti: “Con la musica parliamo dell’Italia di ieri e di oggi”

È una delle fiction che sta facendo più parlare di sé: Belcanto, diretta da Carmine Elia, iniziata su Rai1 il 24 febbraio e in onda per altre tre serate (il 3 marzo, il 10 marzo e il 17 marzo), racconta una storia ottocentesca di saghe famigliari, di passione, sacrificio, speranza. Tra i protagonisti Vittoria Puccini, Andrea Bosca, Carmine Recano e Giacomo Giorgio.

In un’Italia ottocentesca turbolenta e scossa da innumerevoli eventi politici, sociali e culturali, che determineranno senza possibilità di ritorno il suo avvenire, la musica lirica prende sempre più piede e si espande a macchia d’olio diventando un vero e proprio punto di riferimento per le masse e fornendo un’identità forte e precisa ad una nazione in formazione. È in questo scenario melodrammatico che le vicende dei personaggi prendono forma, si intrecciano tra loro e vengono alimentate da quella passione, da quella forza e dai quei sentimenti che si addicono in tutto e per tutto a una dei filoni più importanti e profondi della storia dell’uomo: il romanticismo.

Noi abbiamo incontrato Andrea Bosca e abbiamo fatto una chiacchierata con lui.

Cos’ha significato per te dover vestire i panni di un tenore? Hai dovuto studiare musica? Quindi doppio studio, sia della parte recitativa, che sei solito fare, più quella prettamente musicale; una novità per te?

Giacomo Lotti è un tenore a Milano nel’800. È considerato come una specie di rockstar eppure sente che una parte importante della vita se l’è giocata. È stato importante approfondire musicalmente le arie più importanti che mi venivano affidate (Donizetti, Mozart) e ho lavorato con Eleonora Pacetti per capire da dove viene questa voce magica e potentissima dei tenori. Esercizi di respirazione, fonazione, interpretazione dei pezzi, anche col maestro Daniele Belardinelli che mi ha insegnato l’impostazione al pianoforte. Ho curato ogni dettaglio per aderire all’idea musicale di Stefano Lentini che firma la costruzione musicale di Belcanto. E devo dire grazie a Marco Frusoni, amico e tenore, che mi ha aperto il mondo degli artisti sia dietro le quinte che quando affrontano il palco. Siamo andati insieme ai workshop del grande maestro Giancarlo Del Monaco. Non ci si improvvisa cantanti e a quelle altezze non potevo arrivare in così poco tempo. Ma l’interpretazione, i perché di ogni passaggio, le emozioni… quelle sono compito di chi incarna una persona, compito dell’attore interprete. E nel farlo mi sono divertito tantissimo. Non è stata una novità studiare musica e fare l’analisi dei pezzi perché con il mio amato maestro Emanuele De Checchi alla Scuola del Teatro Stabile di Torino abbiamo lavorato per anni sulla voce e sull’interpretazione. Abbiamo fatto molti saggi, musical. Ecco l’importanza di venire da una solida scuola, da un luogo dove puoi studiare con i grandi maestri e avere il tempo e la decisione di imparare piano piano cose che magari subito non userai nel tuo percorso, ma al momento più utile verranno fuori e sarà bello rimetterti in gioco con ciò che hai studiato. Per esempio… Mozart. Vedremo.

È frequente in Italia una certa ignoranza diffusa nei confronti della musica. Pensi che sarebbe utile inserire, a partire dai primi anni scolastici, le due grandi assenti: storia della musica e storia del teatro? Entrambe formano l’essere umano, lo spingono al confronto con l’altro e a formarsi ad un livello più profondo.

Sicuramente sono fondamentali e aiutano tantissimo la persona a crescere e a sviluppare tutte le aree creative e comunicative. La musica e il teatro sono state la mia salvezza e il mio modo di sentirmi utile al mondo. Non serve la nozionistica, serve fare, praticare, specie all’inizio. Poi le cose vengono e conoscere è importante. Ma se è applicato a qualcosa di concreto, che ti porta poi coi tuoi amici a teatro, che ti fa condividere emozioni, storie, diventa parte di te. Fondante. Noi siamo un paese ricchissimo per questo e se fossero materie stabili nel programma scolastico e se fossero percepite come un grande bene comune fonte di gioia e di conoscenza, si realizzerebbe il mio sogno di vederci crescere tutti insieme, persone aperte e in grado di vivere nel mondo insieme e con capacità di vera condivisione. Io stesso devo ancora imparare tanto, il mondo musicale l’ho frequentato meno, ma ora mi appassiona tantissimo e ho proprio visto che è un modo di comunicare con gli altri profondo e pieno di sorprese.

Non è la prima volta che ti capita di girare qualcosa ambientato in un tempo lontano rispetto alla quotidianità, anzi, ti capita molto spesso. Pensi che uno sguardo indietro possa aiutarci a capire il nostro presente? In un certo senso la storia si ripete, spesso. Osservare attentamente il passato può aiutarci ad agire meglio nel presente?

Mi dicono che ho la faccia antica e così spesso mi ritrovo in progetti in costume. La forza di Belcanto e di tutti i progetti ambientati in qualche epoca passata è quello di raccontarci qualcosa di profondo che parla alla nostra realtà quotidiana. In Belcanto tre donne cercano di farcela in un mondo terribilmente patriarcale, che non le riconosce abbastanza, non le rispetta, non vede la luce che portano o la vede e la vuole possedere invece di saperle stare a fianco, felice. Per me i temi di Belcanto sono stati trattati con assoluta contemporaneità, non ci sono buoni buoni e cattivi cattivi, personaggi solo bidimensionali. Ognuno cerca di ottenere quello che crede meglio per sé o il proprio bisogno e si scontra con gli altri, ognuno proietta sugli altri i propri demoni interiori e solo pochi e con fatica o a caro prezzo sapranno fare scelte generose, importanti, vitali per se stessi e per gli altri. D’altra parte, è così che ci sembra il tempo moderno: in bilico tra male e bene, tra durezza e grazia. Chiunque sia vivo, sa che nel presente non sappiamo veramente a cosa porteranno le nostre scelte di oggi. Possiamo solo agire con integrità e autenticità, oppure fare compromessi con la nostra anima. E prima o poi, il conto arriva.

Tra pochi giorni, il 7 marzo, uscirà anche la tua prima raccolta di poesie. Un lavoro durato 25 anni e a cui tieni tanto. Vuoi dirci qualcosa a riguardo?

È un libro di poesie che ho scritto in circa 25 anni. È una cosa “altra” una passione per la parola che ho sin dalla scuola, dal teatro. È un percorso di crescita interiore, di ricerca di identità e di salvezza, che spesso coincide con il relazionarsi con un “tu” femminile più complesso, profondo, potente. Vitale. Ci sono stati momenti in cui ho esposto ed elaborato in poesia fragilità e fallimenti, dato forma con le parole a ciò che mi sfuggiva. Ho cercato di dare un senso con i sensi a quello che mi accadeva.  In fondo è concepito come una storia, emotiva e interiore. Tutto mi riguarda ma parla da un posto che credo sia il cuore di tutti noi, se ci sentiamo un po’ soli e smarriti ma condividiamo un pezzo di cammino con gli altri.

Perché hai deciso di scrivere in versi?

La poesia è sempre stata centrale nella mia formazione e il rapporto con la mia interiorità, con la voce interiore, è un bisogno che ho sentito da quando sono vivo. Senza l’ascolto di quella voce, il mio cuore si spegne. Ed è successo a volte che fossi confuso o distante, che non la sentissi più parlare. In quei momenti di solitudine profonda, di smarrimento, mi sono ricordato che scrivere mi ha aiutato ad affrontare i miei demoni quanto la recitazione. E sono tornato alle pagine che avevo scritto sin da ragazzo, a quei temi ricorrenti… A metà della vita ho sentito che c’era un filo rosso, anzi una voce blu, che finalmente poteva essere detta, portata fuori, aveva un arco, una storia emotiva. Ero passato di lì e questo aveva lasciato tracce di bellezza e conoscenza. Gli incontri della vita. L’importanza dell’amore. Il dare un senso con i sensi e non riuscire comunque a stare o trovare qualcosa che dura. Le poesie sono state le mie pietre miliari, i momenti in cui mi è sembrato di scoprire qualcosa e un modo di tenerlo sempre vivo e presente. Un “tatuaggio del sangue”. E siccome è una lunga storia parallela, è un libro che ho scritto in più di 25 anni, diviso in tre capitoli perché nel mentre sono passato attraverso tre Andrea, mille vite, grandi incontri, amori meravigliosi che mi hanno insegnato ad amare. Perché è vero, la voce, l’amore e l’autenticità sono innati. Da quel che sento io, nascono puri, nascono già fatti. Ma poi vivendo ci sembra di scordare questa purezza, di sentirla distante, di averla persa. Tornare a quelle parole mi ha riportato all’ascolto della voce interiore, un mondo dove sensi e parole si mischiano. E ora è tempo di lasciare che queste parole, che per innumerevoli notti ho limato, curato, affilato, inizino il loro cammino là fuori, per chi ha cuore di ascoltarle.

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