La galleria BKV Fine Art ha ospitato un evento che ha saputo coniugare poesia, arte e performance. Abel Ferrara, regista noto per il suo sguardo crudo e inquieto sul mondo, ha dato voce alle poesie di Gabriele Tinti in un reading intitolato “Bleedings”, un momento di riflessione sulla violenza e sulla sua rappresentazione, ispirato alle narrazioni bibliche e alle opere d’arte esposte nella mostra “Perdere la testa”.
La performance ha avuto al centro la parola “decapitazione”, esplorata sia nel suo significato etimologico che simbolico. Come ha spiegato Tinti, “decapitare” deriva dal latino medievale “decapitare”, che indica una separazione netta del capo dal corpo. Ma è in quel brevissimo lasso di tempo – quell’attimo in cui, forse, il condannato è ancora cosciente – che la decapitazione assume una dimensione inquietante e profondamente umana: “Un momento in cui non si appartiene più al proprio corpo, in cui si cessa di essere uomo per sé stessi,” ha sottolineato il poeta.
Abel Ferrara ha interpretato i testi di Tinti con un approccio essenziale, lasciando che fossero le parole a creare un dialogo con le opere esposte. Le poesie, scritte in prima persona, esplorano sia il punto di vista delle vittime – Golia, Oloferne – sia quello dei carnefici – Davide, Giuditta – rivelandone le ambiguità e le fragilità.
“Questi testi cercano di restituire vita a immagini del passato, di riattivarle attraverso la poesia e l’interpretazione,” ha spiegato Tinti, poeta noto per il suo lavoro ecfrastico, che negli anni lo ha portato a collaborare con istituzioni come il British Museum, il Getty di Los Angeles e il Parco archeologico del Colosseo.
Abel Ferrara ha saputo restituire con la sua voce la tensione e l’ambiguità presenti nei testi di Tinti. L’attenzione si è concentrata, in particolare, sul racconto biblico di Davide e Golia, una vicenda che racchiude il paradosso della vittoria e della sconfitta. Tinti ha offerto una rilettura dei personaggi: Davide, il giovane pastore che abbatte il gigante, non è più solo il simbolo del debole che sconfigge il forte, ma un vincitore melanconico, incapace di trovare appagamento nella sua vittoria.
Allo stesso modo, Golia non è soltanto la vittima sconfitta, ma un emblema della vulnerabilità umana, il racconto tradizionale tende a trascurare un dettaglio importante: le fionde, come quelle utilizzate da Davide, erano l’equivalente di armi letali per l’epoca, rendendo Golia il vero “outsider” della vicenda.
Questa riflessione si collega alle interpretazioni pittoriche del tema, a partire da Caravaggio, che nella sua versione del “Davide con la testa di Golia” si ritrae in entrambi i personaggi, simbolizzando una lotta interiore tra luce e ombra.
Ho tagliato la mia ombra I cut my shadow
Ho tagliato la mia ombra: I cut my shadow:
eco ingombrante, cumbersome echo,
ostacolo alla notte. barrier to the night.
Nel corso della serata, sono stati evocati anche altri miti e figure legate al tema della decapitazione: Medusa, Orfeo, San Giovanni Battista. “Medusa è l’emblema del fascino dell’inguardabile,” ha spiegato Tinti. “La sua decapitazione rappresenta la separazione definitiva, il passaggio dall’umano all’inerte.”
La mostra, che raccoglie opere barocche e contemporanee, che vanno dai dipinti di Giuseppe Diamantini e Giacomo Farelli fino a Julian Schnabel, ha fornito una cornice perfetta per il reading, arricchendo l’esperienza con suggestioni visive che dialogavano con le parole recitate. Ferrara, insieme a Tinti, ha esplorato il potenziale evocativo dell’arte, offrendo al pubblico una lettura che va oltre la superficie delle immagini, entrando nel cuore del loro significato.
L’evento è stato un’occasione per riflettere su temi complessi e universali come la violenza, la morte e la condizione umana, attraverso un approccio che ha saputo combinare rigore storico e sensibilità artistica, con opere che sfidano lo spettatore a guardare oltre la superficie dell’immagine.
La mostra “Perdere la testa” rimarrà aperta fino al 17 gennaio 2025, offrendo un’opportunità unica per immergersi in un percorso che, attraverso secoli di rappresentazioni artistiche, ci invita a interrogarci sul nostro rapporto con la mortalità e la fragilità dell’esistenza. L’arte e la poesia non risolvono, ma aprono domande.
Non lasciare il mio corpo in pasto ai cani, di Gabriele Tinti
Non lasciare il mio corpo in pasto ai cani,
fallo bruciare lontano con i suoi mali.
Il fuoco ne monderà le ferite, la cenere
ne acquieterà le sfide. A mille gradi
sarà ancora forte il mio morso,
il mio peccato, questa commedia.
Don’t leave my body to the dogs,
burn it far away with its ills.
The fire will cleanse its wounds, the ashes
will soothe its challenges. At a thousand degrees
my bite will still be strong,
my sin, this comedy.