Breve storia del sessismo nell’arte: una rivoluzione ancora in corso

È innegabile: per secoli, la storia dell’arte è stata raccontata, e vissuta, al maschile.
Salvo rare eccezioni, le donne sono state relegate al ruolo di muse, modelle o, al massimo, artigiane, mentre il riconoscimento come artiste autonome è arrivato solo a partire dagli anni Sessanta del Novecento. Eppure, ben prima di allora, numerose donne avevano già impugnato il pennello e sfidato le convenzioni. Cosa ha determinato questa invisibilità? Quali tappe hanno segnato la svolta? 

Già nel Rinascimento e nel Barocco emergono artiste talentuose e coraggiose, casi isolati come Sofonisba Anguissola e Artemisia Gentileschi. Sofonisba, di origini lombarde, visse oltre novant’anni e fu apprezzata persino alla corte di Spagna. Artemisia, invece, dovette lottare contro un ambiente ostile e maschilista: dopo aver subito una violenza sessuale e affrontato un processo pubblico, riuscì a imporsi come una delle pittrici più straordinarie del suo tempo.

Ma bisogna attendere l’Ottocento per scorgere i primi segnali di un vero cambiamento volto all’inclusione delle donne che cominciano, gradualmente, a ricercare ruoli più attivi, soprattutto quando sono a contatto con artisti perché di questi figlie, mogli o sorelle. In altri casi invece, l’avvicinarsi delle donne al mondo dell’arte è stato inconsapevole. 

Georgiana Houghton Glory be to God 1864 courtesy of the Victorian Spiritualists Union Inc Melbourne Australia

C’è infatti un fenomeno inaspettato che mette in connessione le signore con l’arte: lo spiritismo. Durante le sedute spiritiche, molto in voga alla fine del XIX secolo, alcune donne iniziano a creare opere astratte sotto l’influenza delle loro visioni. Tra queste, Georgiana Houghton realizza immagini incredibilmente moderne, anticipando di decenni l’arte astratta, ma viene ignorata dai circuiti ufficiali mentre la svedese Hilma af Klint che opera con gli stessi metodi, sarà riconosciuta tra i pionieri dell’arte astratta solo di recente. 

Nell’ottocento i tempi non sono ancora maturi, e nonostante l’ampiezza di vedute dei teosofi, le donne sono ancora troppo oppresse da ogni punto di vista per essere incluse nei circuiti artistici: Berthe Morisot, tra le poche impressioniste riconosciute, viene spesso considerata solo come “l’amica di Manet” anziché un’artista a pieno titolo, ad esempio. Con le avanguardie del Novecento, le donne iniziano a conquistare spazi più significativi, seppur con limiti e restrizioni.

© Library of Congress Baronessa von Freytag Loringhoven

Nel 1919 accedono alla scuola Bauhaus di Walter Gropius, ma sono relegate ai corsi di tessitura e ceramica, ritenuti più adatti al loro “ruolo naturale”. Nel rivoluzionario movimento Dadaista, che ribalta ogni convenzione, trovano spazio Hannah Höch e la baronessa Elsa von Freytag-Loringhoven, artista dadaista, poetessa e performer ante litteram. Provocatoria e anticonformista, ha trasformato il proprio corpo e la propria vita in un’opera d’arte vivente, anticipando di decenni la body art.

Attualmente considerata la Mother of Dada, il suo contributo è stato a lungo oscurato dalla narrazione ufficiale, nonostante la sua influenza sul movimento e il possibile coinvolgimento nell’ideazione di Fontana, l’opera più celebre di Marcel Duchamp. Ma oltraggio e dissacrazione erano ancora prerogativa maschile. Discorso simile per il Surrealismo, che pur celebrando la donna come musa ispiratrice, continua a escluderla come creatrice. Leonora Carrington, Dorothea Tanning e Remedios Varo, sebbene talentuose, rimangono nell’ombra dei colleghi uomini, mentre viene esaltata l’immagine della donna intuitiva, misteriosa e istintiva, senza riconoscerne pienamente il genio artistico.

Judy Chicago The Dinner Party Courtesy of Brooklyn Museum

Su questo terreno fertilizzato dalla ventata progressista dalle avanguardie, la vera svolta arriva con il femminismo degli anni ’60 e ’70, quando le artiste sentono finalmente la necessità di denunciare apertamente il sessismo nel mondo dell’arte. Judy Chicago, con The Dinner Party (1974-79), apparecchia una tavola di 39 posti per le figure femminili dimenticate. Nel 1985 a New York nasce il collettivo delle Guerrilla Girls, un gruppo di artiste anonime impegnate nella lotta contro il sessismo e il razzismo nel mondo dell’arte. Per mantenere l’anonimato, indossano maschere da gorilla e utilizzano l’ironia come strumento di denuncia e riflessione. Celebre il loro manifesto provocatorio che domanda: “Le donne devono essere nude per entrare nei musei?“, mettendo in luce le disuguaglianze di genere e il modo in cui la figura femminile viene rappresentata e percepita nel sistema artistico.

MarinaAbramović Rythm 0 Galleria Morra Napoli 1974

Nel campo della performance, il corpo diventa un mezzo di protesta. Carolee Schneemann, con Interior Scroll (1975), estrae un rotolo di carta dalla vagina da cui legge ad alta voce un testo, creando simbolicamente un momento di ascolto per le voci femminili. Ana Mendieta, con la serie Silueta, esplora la violenza di genere creando impronte del suo corpo in vari ambienti naturali, mentre Adrian Piper sfida sessismo e razzismo con performance come Catalysis (1970), costringendo il pubblico a confrontarsi con stereotipi e strutture di potere invisibili sperimentando repulsione. Significativa è anche la performance Rhythm 0 di Marina Abramović, realizzata nel 1974 a Napoli, in cui l’artista mise il proprio corpo a disposizione del pubblico, insieme a 72 oggetti, alcuni innocui, altri potenzialmente pericolosi. Per sei ore rimase immobile, subendo violenze e umiliazioni sempre più estreme: le tagliarono i vestiti, le ferirono la pelle e, in un momento particolarmente inquietante, le puntarono una pistola carica contro. 

Riflettere oggi su come percepiamo artiste come Abramović ci mostra quanto sia stato lungo e complesso il percorso delle donne verso un riconoscimento un tempo impensabile. Molte, come lei, hanno dovuto attraversare esperienze estreme per affermarsi, dimostrando coraggio e resilienza, qualità essenziali per ogni artista, indipendentemente dal genere.

È interessante notare, inoltre, come Ulay, suo ex compagno e collaboratore, non abbia ottenuto la stessa visibilità, un segnale del ruolo sempre più centrale che le donne occupano nell’arte contemporanea. Sebbene il sessismo non sia scomparso, il panorama artistico è cambiato profondamente. La riscoperta di molte artiste dimenticate ha ribaltato la narrazione storica, restituendo alle donne il posto che meritano. Oggi la creatività non ha genere, e l’arte, finalmente, non è più solo una storia di uomini.

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