Cracking Art torna alle origini del suo percorso, nel luogo dove nel dicembre del 1993 fu presentato il manifesto programmatico del collettivo, la galleria Fabbrica Eos ospita, infatti, la mostra personale del collettivo intitolata CAOSMO – La memoria della materia, visitabile sino all’11 gennaio, che celebra il trentennale del movimento con un viaggio che unisce passato e futuro.
La Cracking Art è molto più di un movimento artistico; è una visione del rapporto tra arte, ambiente e società. Nato, appunto, nel 1993, il collettivo si distingue per l’uso innovativo di materiali plastici rigenerati e rigenerabili, con l’obiettivo di stimolare una riflessione sul rapporto tra naturale e artificiale.
Il nome stesso, “Cracking Art”, è una dichiarazione di intenti. Deriva dal termine inglese “to crack”, che evoca l’idea di rottura e trasformazione, ma si riferisce anche al cracking catalitico, il processo chimico che converte il petrolio grezzo in plastica. Per gli artisti del collettivo, questo momento è emblematico: rappresenta il passaggio tra il naturale e il sintetico, tra l’organico e l’artificiale, che è il cuore pulsante della loro poetica.
il lavoro del collettivo non si limita a creare sculture; vuole sensibilizzare il pubblico su temi come il consumo, il riutilizzo e la sostenibilità ambientale. La plastica, spesso vista come simbolo di spreco e inquinamento, viene qui reinterpretata come materia viva, capace di trasformarsi. In questa visione, la plastica non è semplicemente un materiale, ma un’idea che incarna l’evoluzione e la rigenerazione continua, in linea con il pensiero di Roland Barthes, che definì la plastica come una sostanza che esprime “l’idea stessa della sua infinita trasformazione”.
Le opere di Cracking Art, spesso monumentali, raffigurano animali dai colori accesi, come lumache, pinguini e suricati, collocati in contesti urbani o naturali. Questi soggetti non sono scelti casualmente: simboleggiano l’interazione tra uomo e ambiente e mirano a creare un cortocircuito tra la familiarità dei luoghi e la loro insolita presenza.
Le installazioni di Cracking Art, presenti in oltre 500 siti nei cinque continenti, sono un invito a ripensare il nostro rapporto con il pianeta. La scelta di utilizzare plastica rigenerata è una presa di posizione chiara: anziché demonizzare un materiale così onnipresente, il collettivo mostra come possa essere reimmaginato e riutilizzato in modo creativo.
In occasione del suo trentennale, Cracking Art introduce la serie “Caosmo”, una nuova declinazione del suo percorso artistico. Queste opere sono realizzate triturando le sculture precedenti e trasformandole in quadri, sottolineando l’idea di circolarità e rigenerazione. Il nome Caosmo evoca il caos e il cosmo, suggerendo che dalla frammentazione e dalla disgregazione possono emergere nuove forme di ordine e bellezza, proprio come accade nell’universo.
L’intervista che, abbiamo fatto agli artisti del collettivo è l’occasione per esplorare non solo il significato di questa importante tappa della loro carriera, ma anche il loro sguardo su temi universali come l’ambiente, l’identità materiale e il rapporto tra uomo e tecnologia.
Come si è evoluto il linguaggio artistico di Cracking Art in questi 30 anni, partendo dal manifesto del 1993 fino alle installazioni più recenti?
Possiamo dire che il linguaggio di base segue un manifesto programmatico e, quindi, siamo rimasti fedeli alle nostre regole, alle nostre visioni, anche perché in un modo anche inconsapevolmente fortuito il mondo è andato nella direzione che abbiamo espresso nei nostri temi del 1993. Quello che è cambiato sicuramente è l’approccio alla comunicazione perché è nato tutto il mondo social e, quindi, anche l’approccio del pubblico si è evoluto.
Le opere della serie Caosmo sono realizzate con materiali derivati dalla triturazione di sculture precedenti. Qual è il messaggio che volete trasmettere?
È il tema della rigenerazione della materia che ci ha accompagnato fin da subito. È una pratica che abbiamo usato spesso per rifare nuove sculture, in questo caso abbiamo voluto, essendo un trentennale, dare un segno un po’ diverso, facendo diventare la triturazione la protagonista. E, quindi, fuggire dall’immagine Cracking conosciuta ed entrare un po’ nell’anima di questi animali, che hanno vagato per il mondo e hanno acquisito una loro vita, una loro storia, anche grazie al contatto con le persone. Le abbiamo trasformate in queste nuove opere, congelate in una sorta di potenziale nuova forma, cristallizzata in un cosmo di energia che si deve sviluppare.
L’arte di Cracking Art riesce a coniugare estetica e messaggio. Quali processi irrazionali, alimentano questa fusione?
È l’uomo che si muove in maniera irrazionale, perché noi viaggiamo verso un benessere, la contemporaneità viaggia verso un benessere che toglie all’umano il controllo di tutto, quindi è irrazionale, e forse perdere il controllo è esattamente quello che ci salverà, la bellezza è l’intersezione che ci salverà o l’imprevedibilità. Se tutto è prevedibile, se tutto è governato dagli algoritmi che prevedono tutto, significa che è finita, quindi questa imprevedibilità, è quello che salva, il non sapere dove stiamo andando.
Questo caos, termine preso dalla letteratura di James Joyce, che indica comunque un disordine ma anche un ordine potenziale, un ordine che si sta formando. Da una confusione nasce sempre qualche cosa, come il Big Bang che, ha originato l’universo proprio dall’imprevedibilità.
Guardando al futuro, quali nuovi territori artistici o sociali intende esplorare Cracking Art?
Ci stiamo muovendo verso un recupero di una voluta intimità. Dopo 30 anni in cui i nostri lavori sono stati esposti in strada, queste opere sono anche una sorta di ricerca intima, in un momento in cui l’espressività sembra invece essere legata al mostrare qualche cosa all’esterno. Vogliamo recuperare una proiezione più meditata. Il contatto con la realtà esterna è sempre quello che ti carica di molta energia, però vorremmo far passare il concetto che la plastica non deve essere vista più come elemento che si può riprodurre infinite volte, ma come elemento che raccoglie l’esperienza, anche del contatto con l’uomo, per diventare unica. Quindi, questa è un po’ la direzione, recuperare quella irrazionalità che ci rende umani senza andare nella ripetitività che invece ci rende macchine.