In questa nuova rubrica il semiologo dell’arte, Roberto Concas, ci porta alla scoperta della Crypto Arte, vista con gli occhi della Semiotica.
Questa volta il protagonista è l’artista turco Refik Anadol
CHI È
Lui è Refik Anadol, (Istanbul 1985), artista multimediale negli Stati Uniti che chiede all’Intelligenza Artificiale (AI) di svolgere un compito creativo e di sintesi espressiva proprio degli artisti.
Le sue opere, realizzate esclusivamente “con e per” il mondo dell’arte digitale, stanno invadendo il pianeta terra.
L’ARTE
Refik Anadol, con il suo staff multidisciplinare dello Studio RAS LAB, immette nella macchina dell’AI una media di 70 terabyte di fotografie digitali raccolte su un determinato argomento, come avvenuto per l’opera “Machine Hallucination” con 113 milioni di immagini riguardanti New York.
Anadol sostiene che questa immensità di byte può avere un’autonoma proprietà di narrazione, che gli algoritmi dell’AI fanno emergere, restituendo spazi continui di un’architettura che definisce “post-digitale”.
Le sue opere, come “Machine Memoirs: Space”, “WDCH Dreams” realizzata con gli archivi della Filarmonica di Los Angeles e “Sense of Place” di Oakland che visualizza, in tempo reale, i dati di clima, traffico Wi-Fi e LTE, conducono lo spettatore verso una Experiential o immersive art.
Un insieme avvolgente di forme e di conoscenza immateriale, con citazioni iconografiche che concorrono nella ricostruzione di memorie evocative, personali quanto universali.
LA SEMIOTICA DELL’ARTE
La sua è vera arte contemporanea, con solide e profonde radici nella storia dell’arte, così come nell’opera: Renaissance Dreams.
Nei suoi lavori, Refik Anadol pone al centro dei suoi spazi inclusivi, lo spettatore, che mostra nei suoi reels su Instagram con sagome nere o semitrasparenti.
Anadol nutre il suo famelico medium digitale (AI) di arte e cultura rinascimentale e barocca, forse alla ricerca di un neo-antropocentrismo – per rimettere l’uomo al centro del pensiero – che, da quello metafisico di artisti come Magritte o De Chirico, transiti spedito verso quello del Metaverso.
La sua è un’arte da pensiero traslato nel digitale, quasi fosse un nuovo “Organismo Digitalmente Modificabile” (ODM), una “Machine Hallucination” transgenerazionale, che dalle filosofie della beat-generation porta a quella della bit-generation.
Con le sue opere la “sindrome di Stendhal” dovrà essere aggiornata insieme alle macchie del “Psychodiagnostik test” di Hermann Rorschach.
Photo Credits: Exhibition view from Refik Anadol’s “Machine Memoirs: Space” at Pilevneli Gallery in Istanbul, Turkey. (Courtesy of PILEVNELI)