Il palco del teatro Ariston di Sanremo come la Fontana di Trevi. Due “vasche” simbolo dello showbiz nazionale. Achille Lauro ha presentato al 75esimo Festival della canzone italiana la sua Incoscienti Giovani. È un brano autobiografico, nostalgico, che celebra la spensieratezza e la malinconia della giovinezza. Quel momento di irresponsabilità, di irrazionalità, che nell’età adulta tende a sbiadirsi. Oltre al testo e alla melodia che danno accesso a un ricordo tormentato, il videoclip della canzone si distingue per il chiaro omaggio a uno dei più celebri film italiani, La Dolce Vita (1960) di Federico Fellini, vero spartiacque tra il neorealismo e la cinematografia nazionale degli anni Sessanta, due epoche d’oro di quello che un tempo veniva definito il mondo della celluloide.
Non sono solo canzonette, la musica leggera, e Sanremo non fa certo eccezione, anzi è un rafforzamento, non rientra più nei confini di un contesto fatto puramente di note e di voci, ma da tempo ha invaso il campo dell’immagine e dell’immaginario. Antesignani del processo sono stati proprio i videoclip che hanno trasportato il linguaggio musicale in quello visivo delle immagini in movimento. Ma ora la “visione” di un concerto o di una singola performance canora non possono prescindere da giochi di luce, video, scenografie, costruzioni digitali, che rafforzano il messaggio musicale, lo amplificano, a volte lo stravolgono, fino a consegnargli nuove identità. L’arte è sempre più totale.
Il video musicale di Achille Lauro, girato totalmente in bianco e nero (e anche qui appare chiare la dedica al capolavoro felliniano), è stato diretto da Gabriele Savino e ideato assieme allo stylist Nick Cerioni. Nell’iconica scena della Fontana di Trevi, Anita Ekberg invita Marcello Mastroianni a unirsi a lei nell’acqua. Lui, dopo qualche tenero indugio, cede alla tentazione concedendosi all’incoscienza delle emozioni e mettendo da parte ogni forma di resistenza razionale. “Cosa c’è di più incosciente che amare? Dare a qualcuno la possibilità di ferirti e sperare che non lo faccia”, ha ricordato Achille Lauro durante il giorno di San Valentino. L’amore è istinto, emozione pura. È proprio questa incoscienza che lo rende tanto meraviglioso quanto pericoloso.
I film di Fellini sono popolati da figure stravaganti, outsider e anime tormentate. Il cantante di origine veronese ha costruito il suo personaggio artistico su questa stessa idea di diversità e anticonformismo, tra moda e contaminazioni artistiche. Ha indossato in una delle serate sul palco di Sanremo anche lo smoking scuro, in omaggio alla elegante mise di Marcello Mastroianni.
Passando dalla “vasca” di Sanremo a quella della Fontana di Trevi, Achille Lauro non poteva che incontrare una creatura marina come la sirena Parthenope, la incantevole quanto incantatrice Celeste Dalla Porta, musa dell’ultimo film di Paolo Sorrentino, dotata di un’innata eleganza unita a una grande sensualità. È lei il volto dell’amore inquieto, incosciente, della canzone sanremese che prende corpo nel videoclip girato nella Città Eterna. “Il video è una dedica a Roma, alla nostra Roma, al grande cinema. Una fotografia di quella Dolce Vita che forse non esiste più ma che vive e contraddistingue l’idea che il mondo ha della nostra Roma e della nostra cultura”, scrive Lauro in un post sui social.
Achille Lauro piace. Ma piace perché ha portato in scena se stesso, il suo look, la sua sensibilità, la sua gentilezza e le sue fragilità. In scena ci voleva tutto questo e non ha avuto bisogno di null’altro per trasmettere la sua storia. Per questo al pubblico è piaciuto. E i fischi all’annuncio del settimo posto ne sono la testimonianza. Nessun travestimento, dunque, nessun colpo di scena nella performance visivo-canora. Anzi, è sembrato che l’Achille Lauro incosciente giovane degli scorsi anni abbia in questa occasione sanremese preso coscienza e riposto “i pugni in tasca”, volendo citare un altro capolavoro filmico degli anni Sessanta italiani, presentandosi nella maniera più essenziale e raffinata possibile. La ribellione e la voglia di affermare le conquiste di una nuova generazione nel film di Marco Bellocchio del 1965 non riuscivano a esplodere, ma implodevano tutte all’interno. Ma questa è tutta un’altra storia.