Le reinterpretazioni in chiave contemporanea di icone d’arte classica sono il suo marchio di fabbrica. Fabio Viale è in mostra a Firenze presso la Galleria Poggiali.
La sua straordinaria perizia tecnica gli premette di ottenere risultati inaspettati, mutando la natura del marmo, rendendolo flessibile come una gomma, leggero come polistirolo o morbido come un corpo; mediante la lavorazione della materia Fabio Viale riesce a sorprendere l’osservatore ricreando diversi effetti visivi e texture. I suoi soggetti sono un richiamo alle icone della storia dell’arte, oppure simboli rimodulati appartenenti al quotidiano, come gli pneumatici o le cassette di frutta.
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Fabio Viale capì la sua vocazione per la scultura lavorando come artigiano presso alcuni antiquari. Con gli anni quelli che erano studio e passione sono diventati lavoro e carriera, e Viale si è affermato sulla scena dell’arte con il virtuosismo tecnico delle sue sculture intrise di profondità concettuale. Esistono immagini talmente iconiche, come la Pietà di Michelangelo, la Monna Lisa o il gruppo del Lacoonte, talmente senza tempo da considerarsi contemporanee. Viale non si limita alla citazione ma accoglie l’antico attualizzandolo in chiave moderna, suscitando un confronto dialettico tra passato e presente. L’abilità scultorea ed il virtuosismo formale non si sostituiscono mai al contenuto e ai valori simbolici di cui le opere sono portatrici. L’artista, consapevole dell’assuefazione ad alcuni simboli visivi, stravolge le consuete iconografie aprendone nuovi significati. Le riproduzioni ellenistiche, ad esempio, mantengono la plasticità e la fierezza classica, a cui Viale aggiunge una trama di tatuaggi per decorarne le superfici e per attribuire ai soggetti nuovi significati. Al candore del marmo oppone i tatuaggi della malavita russa in modo da creare una frattura stridente nell’immaginario collettivo. Attualizzando la scultura con uno scarto semantico e visivo la rinnova nel significato. I riferimenti alle antichità non sono dunque un semplice omaggio ad un passato ideale, ma il tentativo di creare una frattura funzionale.
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Alcune icone dal significato civile, come nel caso dei kouros, acquistano una nuova valenza coperte dai tatuaggi che i detenuti sovietici erano soliti portare sui loro corpi; la figura del cittadino ateniese, uomo libero dotato di libertà civili e politiche, diviene con Viale simbolo di libertà contrapposto alle condizioni di prigionia. Oppure la Venere, emblema di bellezza per eccellenza, che reca tatuati alcuni frammenti del ciclo medievale del Trionfo della morte, simboleggia l’orrido del reale contrapposto al bello ideale. Con la Pietà di Michelangelo, Fabio Viale compie un’operazione molto semplice di separazione delle due figure: il corpo della Vergine viene spogliato del corpo marmoreo del Figlio, a sua volta sostituito dalla figura di un ragazzo nigeriano immigrato che posa nudo sull’immagine sacra della Madonna. L’artista solleva con questa opera una riflessione molto profonda sul tema dell’immigrazione. Fabio Viale non sperimenta solo con l’iconologia, ma anche con la materia. Ne è la prova la copia in scala ridotta della Nike di Samotracia o la riproduzione della Gioconda, realizzate entrambe in marmo Acquazzurra, estremamente vetroso e cristallino che ben si presta a ricreare l’effetto del polistirolo. Ogni singolo pallino è stato inciso con una micro fresa fino ad ottenere quel tipo di texture che rende un materiale nobile e duro come il marmo a somiglianza di una materia povera ed inconsistente quale è il polistirolo, emulandone l’effimera consistenza e sovvertendone la resa.
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Dopo una serie di presenze di successo, come alla scorsa Biennale di Venezia e alla Gipsoteca di Monaco si è inaugurata pochi giorni fa, il 22 febbraio, l’ultima personale dedicata all’artista piemontese presso la Galleria Poggiali di Firenze. Con questa mostra dal titolo “Acqua alta – High tide” che proseguirà fino al 16 maggio l’artista torna a Firenze con una doppia esposizione: una in via della Scala 35/Ar e l’altra nello spazio di via Benedetta 3r. Il primo spazio espositivo è occupato dal gruppo scultoreo che l’artista ha realizzato appositamente per la 58a Biennale di Venezia. Si tratta di una dozzina di monoliti in marmo che replicano a grandezza reale i pali in legno detti “bricole” alti oltre 3 metri, utilizzati come segnale per la navigazione in laguna e per attraccare le imbarcazioni, simboli della città. Questi monoliti, recanti talvolta delle catene, assumono negli ambienti total white della galleria un aspetto drammatico che invita a riflettere sui cambiamenti climatici. In particolare si vuole sottolineare l’emergenza dell’innalzamento del livello del mare e richiamare quanto il progresso incontrollato ha portato ad uno stravolgimento dell’equilibrio naturale.
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Il secondo spazio della galleria presenta una cascata di 18 tonnellate di marmo, che nei suoi flutti cela reperti iconografici della statuaria classica assai cari alla poetica di Viale. Quest’installazione è la trasposizione della performance “Root’la” , un progetto fondato sull’interesse di Viale per le cave marmoree e l’imperfezione della materia, svoltosi nel ravaneto, ovvero la parte in pendenza delle cave di marmo, nella località di Colonnata. Colonnata non è stata scelta a caso dall’artista: infatti è nota per essere il luogo dove Michelangelo, massimo punto di riferimento di Viale, prendeva la materia prima per realizzare le sue sculture. Proprio presso Colonnata, quindi, Fabio Viale fece precipitare dai pendii alcune sculture, perché, come sostenne Michelangelo, “far rotolare una scultura a valle ha lo scopo di purgarla dai difetti, come se ogni colpo, anziché distruggerla o rovinarla, la rendesse più perfetta e potente”. Secondo Viale, dunque, l’alterazione accidentale della forma non riduce l’importanza del lavoro scultoreo, ma ne aumenta la potenza vitale insita nella materia. Prive delle loro qualità figurative le sculture si scoprono autentiche divenendo metafore dell’esperienza umana: il vissuto segna e determina la nostra essenza.