Filippo Mazza e la mosca dorata: il ronzìo contro l’iper-sollecitazione visiva

Trovata? Stiamo cercando una mosca. Non si tratta di un insetto nero, spesso fastidioso alla cui presenza siamo abituati. Il ronzio però è il medesimo prodotto dalle minuscole ali che le consentono di volare e spostarsi. Ne percepiamo il suono all’interno di quello spazio ampio e completamente bianco. Occorre scendere due rampe di scale per raggiungere il seminterrato con una singolare vetrata, che lo caratterizza. Labirintico nel suo susseguirsi di ambienti, che per l’occasione restano vuoti. Svuotati di oggetti e apparentemente di senso, eppure nell’architettura di quelle forme il suono anima la scena.

C’era una mosca è la prima mostra di Filippo Mazza (1994, Milano), con una formazione da designer di interni e scenografia all’Istituto Europeo di Design e profondo conoscitore delle pratiche di fusione, avendo lavorato per molti anni alla storica Fonderia Battaglia. “Coraggiosa” dice Mathew Noble di ArtNoble che la ospita per un mese, fino al 13 marzo, accompagnata da testi di Ilaria Baia Curioni e dal sound design di Jacopo Gino per la serata inaugurale. Una scelta audace, quella della galleria vuota, in tempi in cui si tende al conformismo, come poche altre recentissime occasioni.

Filippo Mazza_C’era una mosca_Installation view 4_courtesy ArtNoble Gallery_ph credit Michela Pedranti

Si potrebbe pensare che si tratti di un intervento sonoro dell’artista, che inserisce una condizione di familiarità, il ronzio della mosca, all’interno di una galleria. Non si tratta di una registrazione ottenuta con sofisticate apparecchiature, ma piuttosto di un’operazione artistica poiché riprodotta con la sua sola voce, attivando una relazione tra uomo e animale.

Gli indizi però circa la sua reale presenza ci sono tutti, posizionati in luoghi strategici, se si ha la capacità di cogliere i dettagli. Nonostante l’intento di Mazza sia quello di richiamare all’attenzione, il pubblico viene in un certo qual modo istruito attraverso pochi elementi con una serie di indicazioni e un acchiappamosche colorato la cui paletta ne riproduce la sagoma. Un’ulteriore conferma della sua esistenza nello spazio, ma la difficoltà nel localizzarla alimenta i dubbi e lo spaesamento dello spettatore.

Filippo Mazza_C’era una mosca_Installation view 4_courtesy ArtNoble Gallery_ph credit Michela Pedranti

Proviamo a seguirne il ronzio, a tratti sembra arrestarsi per ripartire di nuovo. Pensiamo che sarebbe facile riconoscerla intorno a tutto quel bianco. Tuttavia, Mazza sfida ancora di più la comprensione confondendoci. Scopriamo che si tratta di una mosca preziosa, un insetto dorato realizzato in pochi esemplari con la tecnica della protofusione, usata nella produzione dei gioielli. Ce lo mostra all’interno di una scatola per gioielli, piccola e luccicante ma realizzata con una rigorosa perfezione. Un altro esemplare è esposto all’interno di una cornice chiusa con un vetro appeso nell’ufficio della galleria. Ma della mosca che ronza ancora nessuna traccia. L’artista ci rassicura che ci sia ben mimetizzata da qualche parte, ma resta ermetico, solo a tratti un “fuochino, fuocherello”, che rafforzano la certezza di un nascondimento perfetto, e  forse la probabilità di trovarla. 

Nell’invisibilità rimettiamo in discussione l’atto del guardare. Mazza con il suo intervento “coraggioso” alimenta una riflessione intorno alle dinamiche dell’arte, riprendendo un dibattito risalente al Novecento sul concetto di invisibilità dell’opera, sul contenitore espositivo e sul ruolo del pubblico. Così come è possibile ampliare la prospettiva dell’operazione dell’artista, e interpretarla come una critica nei confronti di un fenomeno consumistico cui l’uomo contemporaneo è soggetto. Siamo in una condizione di iper-sollecitazione visiva, che sia esse filtrata dai media o esperibile in diretta, all’interno di un formato espositivo che cambia a seconda del contesto (una mostra, una rappresentazione teatrale, una vetrina, ecc..). 

Filippo Mazza_C’era una mosca_Installation view 4_courtesy ArtNoble Gallery_ph credit Michela Pedranti

L’artista invita a sfruttare l’abilità di focalizzarsi sulle minime cose: il battito delle ali di un insetto, una stanza bianca e apparentemente vuota, che poi nuda non lo è mai veramente, perché la percezione che se ne ha è proporzionale alla capacità dello spettatore del guadare e guardarsi intorno. Le crepe sulle pareti, i segni scuri ombreggiati delle luci, il buco prodotto dal chiodo che sosteneva l’opera della mostra precedente, piuttosto che i residui della sua storia recente, e… la mosca luccicante, dorata, preziosa. Esattamente dove non avremo mai pensato di trovarla!

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