Il 20 luglio ricorre il secondo anniversario della morte dell’ “HIPPIE DELLA MODA”, era così che Elio Fiorucci amava essere chiamato. Profeta di un coloratissimo Peace and Love style, lo stilista milanese ha intrattenuto un rapporto unico con i fenomeni artistici che hanno segnato gli anni 70′, 80′ e 90′, cambiando per sempre l’immaginario italico.
Elio Fiorucci inizia la sua avventura con l’apertura della prima boutique Milanese nel 1967, l’intento rivoluzionario dietro i due celebri angioletti vittoriani è chiaro fin da subito: nel cuore di una Milano grigia, rigida e benpensante il Fioruccismo sbarca con tutti i suoi suoni e colori. Improvvisamente galleria Passerella, in piazza San Babila, sembra trasformarsi in Carnaby Street. È infatti da Londra che il giovane Elio attinge le prime suggestioni: lo swinging, Mary Quant, il negozio di Biba; ma se la capitale Inglese è la prima megalopoli ad attrarlo, sarà New York a consacrarlo.
La Grande Mela ospita il suo primo store, progettato sulla 59esima strada da Ettore Sottas, nel 1976. La filosofia che Fiorucci riversa non solo nei suoi abiti, ma nell’intero apparato comunicativo, dal packaging ai cataloghi, dalle etichette ai cartellini, sottende uno ardente spirito Pop. La sua estetica disegna un mondo a tinte fluo, illuminato da neon, fatto di plastica e animato da fumetti. Per questo motivo la metropoli americana segna per lui un passaggio fondamentale.
Qui Fiorucci incontra Andy Warhol, il messia del Pop, che decide di presentare “Interview” proprio all’interno del suo negozio: “Arrivò, e chiese di sedersi dentro la vetrina, a firmare le copie della rivista a tutti i clienti che entravano. Momenti unici e irripetibili, che avvenivano in un piccolo villaggio chiamato New York. Un anno più tardi, si inaugurò a Manhattan lo “Studio 54”, discoteca leggendaria. L’opening fu organizzato da me; alla serata partecipò – con Bianca Jagger, Margaux Hemingway, Grace Jones e tanti altri – anche Warhol.” Insomma è in questo preciso momento che, per lo stilista italiano, si aprono le porte del mondo che conta.
Mr Bruce Spingsteen, tanto per fare qualche nome, in un’intervista ha dichiarato: “Quando il Metropolitan mi ha chiesto un oggetto simbolo della mia personalità da esporre, ho dato la mia chitarra ed i miei blue jeans Fiorucci”.
Il genio milanese non si ferma qui però, sempre avido di stimoli e collaborazioni, da Warhol passa a Basquiat che nel 1980 prende parte a “New York beat”. Il film, che tratta del fenomeno allora in ascesa della New Wave, è l’unica esperienza cinematografica a cui l’artista parteciperà, ed è prodotto proprio da Fiorucci insieme a Rizzoli.
Quattro anni dopo, nel 1984, l’istrionico imprenditore invita un allora semi-sconosciuto Keith Haring a dipingere una parete del suo negozio, un’esperienza che, in un intervista al mensile Stilearte, ricordava così:
“Invitai Haring a Milano, stregato dalla sua capacità di elevare l’estemporaneità ai gradini più alti dell’arte. Egli diede corpo ad un happening no stop, lavorando per un giorno e una notte. I suoi segni ‘invasero’ ogni cosa, le pareti ma anche i mobili del negozio, che avevamo svuotato quasi completamente. Fu un evento indimenticabile. Io feci portare un tavolone, fiaschi di vino, bicchieri. La gente entrava a vedere Keith dipingere, si fermava a bere e a chiacchierare. Ventiquattr’ore di flusso continuo; e poi i giornali, le televisioni… In seguito, i murales sono stati strappati e venduti all’asta dalla galleria parigina Binoche.”
Inutile dire che questo ennesimo colpo consacra Elio a semi-dio nel mondo mediatico e culturale, mentre “fiouruccismo” è ormai un culto con una stregua di seguaci in continuo aumento. Il successo è tale che Jean Paul Gaultier, l’enfant terrible della moda francese, racconta: “La prima volta che sono venuto a Milano, prima di andare a vedere musei e monumenti, mi sono recato da Fiorucci. Perché era la cosa più importante da scoprire in quella città”. Da Jacky Kennedy Onassis e Truman Capote a Joey Ramone passando per la drag queen punk Joey Arias, il pubblico di Fiorucci non poteva essere più composito. Ad amare Elio non sono solo gli addetti ai lavori, ma anche il pubblico. Emblematica in questo senso la celeberrima collezione di figurine realizzata per Panini nel 1984. Un vero monumento alla Pop Art: fumetti, citazioni hollywoodiane, pin up di Vargas, molte immagini avveniristiche , ma anche nostalgiche. La raccolta vendette 150 milioni di copie lasciando sbigottito lo stesso Panini. L’adorazione delle folle non distoglie Fiorucci dall’avanguardia artistica, un orizzonte su cui non si stanca mai di posare gli occhi. In questo senso un contributo fondamentale proviene dal mondo fotografico. Al principio fu Antonio Lopez, che già nel 1978 scatta una serie di foto memorabili in cui ritrae underwear e abbigliamento in pvc che Fiorucci pensa a forma di cuore. Lopez è il capostipite di una lunga serie che annovera: Oliviero Toscani, Roger Corona, Bruce Andrews, Rocco Mancino, Carl Bengtsson, Terry Jones, Douglas Kent Hall, Attilio Concari… Quanto scritto fin qui dovrebbe suggerire la difficoltà a racchiudere in poche righe l’operato di Elio Fiorucci, quanto egli abbia aggiunto al mondo della moda, creando l’idea di immagine coordinata, aprendo il primo concept store, incarnando l’idea di industria culturale e fungendo da infallibile cerniera tra arte e moda. Sono passati già due anni dalla sua scomparsa, ma quest’animo eclettico che non ha mai rinunciato a stupire e stupirsi non smette di mancarci. Grazie Elio, per averci regalato l’idea di un mondo migliore: più completo, tollerante, spensierato e colorato!