Freeports: I Magazzini Segreti dell’Arte e l’intricato caso del Trittico di Leonforte

Immagina un luogo dove opere d’arte dal valore inestimabile vengono custodite al sicuro, lontano da occhi indiscreti, senza tasse o dazi doganali. Questo luogo esiste: sono i Freeports, depositi ultra-controllati nati in Svizzera nel dopoguerra e oggi diffusi in tutto il mondo.

Un tempo, l’arte era principalmente una questione di passione e cultura. Ma già nel 1904, con il fondo d’investimento La Peau de l’Ours, creato da André Level, si capì che poteva essere anche un affare. Da allora, il suo valore non è più solo estetico o simbolico, ma anche finanziario. Oggi, grazie ai Freeports, le opere d’arte non sono solo collezionate o esposte, ma vengono comprate e vendute come asset di investimento.

I Freeports sono strutture progettate per la conservazione ottimale di opere d’arte, beni di lusso e oggetti d’antiquariato. Hanno temperature e umidità controllate, sistemi di sicurezza all’avanguardia e offrono servizi come restauro e valutazione delle opere. La caratteristica più interessante? Le opere possono rimanere lì per anni, perfino decenni, senza dover pagare tasse.

Di fatto, è come se queste opere d’arte vivessero in una sorta di “limbo fiscale”, al riparo da qualsiasi imposta fino a quando non vengono vendute e ufficialmente spostate altrove. Per questo motivo, i Freeports attirano non solo galleristi e collezionisti, ma anche investitori, agenti immobiliari e case d’asta.

Il loro utilizzo spinge sempre più verso una visione dell’arte come puro strumento finanziario, togliendole la sua funzione principale: essere vista e vissuta da tutti.

Se da un lato i Freeports garantiscono sicurezza e condizioni ottimali per la conservazione, dall’altro rappresentano un terreno fertile per attività illecite. L’anonimato e l’assenza di controlli fiscali li rendono ideali per il riciclaggio di denaro e il traffico di opere d’arte rubate.

Le autorità internazionali hanno intensificato i controlli, ma il problema resta: chi possiede un’opera in un Freeport può restare anonimo, rendendo difficile rintracciare eventuali irregolarità.

Il Trittico

Una notizia recente riporta un altro caso controverso: il Trittico di Leonforte, custodito per quasi dieci anni nel Freeport di Chiasso, verrà messo all’asta l’11 marzo dopo una disputa tra il proprietario e il gallerista che ne curava la custodia. Un esempio di come il confine tra conservazione e speculazione sia sempre più sottile.

Martedì prossimo verrà, quindi,  messa in asta in Svizzera quest’opera che presenta davvero molti degli aspetti concernenti quanto detto finora. In primis si trova all’estero, nel porto franco di Chiasso, ed è oggetto di un’attribuzione controversa. Verrà posta in asta con un prezzo sorprendentemente modesto, 5000 Franchi svizzeri, probabilmente perché non tutti gli studiosi concordano sull’attribuzione al Beato Angelico, il celebre maestro del Rinascimento italiano.

La qualità dell’opera sembra notevole, e la sua attribuzione a Beato Angelico non è del tutto esclusa. Se fosse autentica, il suo valore reale potrebbe raggiungere milioni di euro, come dimostrano aste passate di opere del Maestro. Tuttavia, il trittico è stato esportato anni fa dall’Italia con la dicitura di “copia del XIX secolo”, il che ora complica la sua posizione sul mercato.

Si sa che il critico e storico d’arte Rolando Bellini considera il Trittico opera autentica del Maestro. Tuttavia, Bellini non è considerato tra i massimi esperti di Beato Angelico, e ciò ha alimentato ulteriori polemiche sulla validità della sua attribuzione. Questo solleva una questione più ampia: chi ha l’autorità di stabilire l’autenticità di un’opera? E quanto il mercato dell’arte dipende da questi giochi di potere accademico?

Retro del Trittico

Infine, a rendere ancora più incerto il destino del Trittico è un avviso apparso sul sito svizzero mattinoonline.ch, che include la vendita del dipinto tra le aste pubbliche della settimana, ma aggiunge: “Si ricorda che conformemente alla legislazione vigente, le aste possono essere annullate anche all’ultimo momento.”

Questo significa che fino all’ultimo momento potrebbero esserci interventi da parte delle autorità o di altri soggetti interessati, rendendo l’asta un vero e proprio caso emblematico delle problematiche legate ai Freeports, alle attribuzioni contestate e al labirinto normativo del mercato dell’arte.

I Freeports sono il simbolo di un’arte sempre più legata al denaro e sempre meno accessibile. Se da un lato permettono la conservazione delle opere, dall’altro rischiano di sottrarle al loro vero scopo: essere vissute e condivise.

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