Genealogie del contemporaneo: il Novecento attraverso le collezioni di Parma

Contemporanea: capolavori dalle collezioni di Parma è la mostra curata da Simona Tosini Pizzetti e prodotta da Solares Fondazione delle Arti, realizzata nelle sale del Palazzo del Governatore, in pieno centro città. Si tratta di 115 opere realizzate da 93 artisti che si ergono a protagonisti indiscussi dell’arte del Novecento. I lavori in mostra provengono dalle più prestigiose collezioni private di Parma e consentono di addentrarsi in quel racconto che è l’espressione artistica contemporanea italiana ed europea. L’attenzione per il fervido contesto culturale e il susseguirsi di tendenze artistiche è testimoniato dall’interesse che la città di Parma e in particolare i cittadini ebbero per il collezionismo dei capolavori in mostra. 

“La collezione nasce dal bisogno di trasformare lo scorrere della propria esistenza in una serie di oggetti salvati dalla dispersione, o in una serie di righe scritte, cristallizzate, fuori dal flusso continuo dei pensieri” scrisse Italo Calvino in Collezione di sabbia nel 1948. È il collezionismo parmigiano che ha consentito l’allestimento e l’organizzazione della mostra in oggetto. Mostra che ha concesso l’immersione collettiva dei visitatori in quel clima che fu il Novecento nazionale e internazionale.

Al pari di una guida virgiliana, lo spettatore è condotto tra le sale del palazzo da ventidue sezioni, che forniscono quei riferimenti semantici utili alla comprensione delle espressioni artistiche in mostra, siano esse pitture figurative, sculture, installazioni o fotografie. 

La mostra si offre come un peregrinaggio complesso nei meandri di un secolo altrettanto fitto. L’esposizione procede per ordine cronologico, percorrendo sapientemente le tendenze che attraversano il secolo: dal dadaismo fino alla Transavanguardia, oltrepassando il Surrealismo, il Novecento italiano, l’informale di Burri e quello internazionale del gruppo Cobra, e ancora l’astrattismo e lo spazialismo, l’arte cinetica, quella concettuale, l’arte povera e la più internazionale body art. Anche solo scrivendolo, ci pare di immergerci in un complesso groviglio di tendenze tutte da esplorare. I maestri e le maestre in mostra sono innumerevoli. Si commetterebbe errore a tentare di sintetizzarne le presenze, che ricoprono un così ampio spettro che parrebbe riduttivo elencarle in sequenza. Perciò ci limitiamo a descriverne l’ambiente così come lo ha esplorato chi scrive.

La prima sala che accoglie lo spettatore presenta una teca di vetro al cui interno si colloca una delle sedici repliche del celebre ready-made di Duchamp: Fontana. La seguente opera, che nel 1917 sconvolse l’assetto dell’arte tradizionalmente intesa, attraverso lo scardinamento dell’artisticità della pittura e dell’autorialità del creatore, è sovrastata da Il consolatore di Giorgio de Chirico, dipinto nel 1929 misurante 190 x 130 cm e appartenente alla collezione Barilla di Arte Moderna. Interessante, dunque, l’opposizione pittorica di cui diviene simbolo l’orinatoio, circondato da alcuni tra i più importanti lavori figurativi dei maestri del Novecento che, oltre de Chirico, vedono in mostra Picasso con Femme sur un Fauteuil, sempre della collezione Barilla, e ancora Edward Hopper con Near Eastham del 1946, Otto Dix, Marc Chagall con Le couple davant le peintre del 1980. Che il tenore dell’esposizione è palesata sin dalla prima sala è evidente, ciò permette allo spettatore sin dall’ingresso di ricevere quei densi stimoli culturali derivanti dalla concentrazione di siffatte opere in un’unica stanza che addensa il ricordo di quanto sempre visto nei manuali di storia dell’arte. 

La mostra continua il suo viaggio nel secolo scorso attraverso lo spazio dedicato ai maestri del Novecento italiano, di cui saldi protagonisti sono, non a caso, Giorgio Morandi con le sue immobili, silenti e trasognate nature morte, Felice Casorati, Amos Nattini, Mario Sironi, Filippo de Pisis e  Antonio Ligabue. La matericità della figurazione cede il passo all’astrattismo geometrico e di matrice concretista, all’arte cinetica con opere come quella di Grazia Varisco, fino a giungere allo spazialismo di Fontana di cui Concetto spaziale e Attese sono i massimi rappresentanti. Si arriva poi alla sezione dell’Informale europeo con Alechinsky e l’Informale italiano di cui oltre che Burri vi è la presenza di Capogrossi.

Si continua esplorando le superfici monocrome di Enrico Castellani, le cui geometrie fluide e danzanti creano giochi d’ombre significanti. Superficie bianca del 1987 ne è un esempio, essa provoca allo spettatore «una potente sensazione ottica, una vertigine, come se ci trovassimo di fronte a diversi centri, a misteriosi sistemi stellari». E ancora i paesaggi geometrici e i colorati caseggiati di Atanasio Soldati, Contrappunto Piano di Fausto Melotti, scultura astratta ispirata all’armonia della musica e dell’algebra, le cui ombre si stagliano possenti e al contempo delicate sul muro che le fa da sfondo. E ancora l’astrattismo di Piero D’Orazio ed Ettore Colla, il concettualismo dell’azione di Vincenzo Agnetti, la cancellazione logica di Emilio Isgrò, gli arazzi di Alighiero Boetti (Si dice che chi finge di ignorare una situazione che invece dovrebbe affrontare, 1988).

Il percorso nei labirinti dell’arte contemporanea prosegue al piano superiore attraverso l’esposizione dei lavori di alcuni esponenti della Transavanguardia, delle opere di Body Art di cui Gina Pane e Vito Acconci sono i massimi rappresentanti, con Azione sentimentale l’una e Trademarks l’altro, azioni in cui corpi diventano diari di viaggio esistenziali. Una sala a parte è dedicata alle performance realizzate da Fabio Mauri, tra cui Ebrea, del 1971 che, tramite una lentezza sonnambolica, mostra una giovane donna intenta a tagliarsi i capelli, con i quali sullo specchio di fronte, forma la stella di David: esplicita critica non solo «della Germania nazista, ma in gradazioni diverse, dell’intera cultura europea, che non reagì con forza né immediatezza» all’orrore causato dalla Seconda Guerra mondiale.

E infine, lungo un corridoio volutamente poco illuminato, ecco giunti all’installazione Hunger di Michelangelo Pistoletto, in cui cinque letti minimali sono messi in serie illuminati da una luce grave, dialoganti con gli specchi Panni stesi e Coniglio appeso. Si spera che quanto scritto possa restituire in parte la complessità dell’esposizione parmigiana, che si propone di invogliare il visitatore, non solo a conoscere quanto costituisce la genealogia del nostro contemporaneo, ma attraversarlo e uscirne, per questo, arricchito. 

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