Generazione Z e libertà di espressione sessuale (pt. 1)

Continua la nostra indagine sulla Generazione Zeta, lanciata dal nostro collaboratore Gianluca Marziani dalle pagine di questo giornale (Gianluca Marziani: “Nel nome del mio Berni, l’Amorista, vi dico che i ragazzi oggi sono liberi, meravigliosi, i soli e veri rivoluzionari”), e proseguito con un articolo di Giovanna Lacedra (Avere vent’anni nel 2024, che generazione è mai questa? Il dibattito è aperto).

Oggi, sempre Giovanna Lacedra continua la sua indagine tra i ventenni di oggi, dando loro direttamente la parola: Tema, in questo caso, l’identità sessuale.

di Giovanna Lacedra

Quando ero adolescente io, nei primi anni Novanta, parlare di orientamento sessuale, omosessualità, bisessualità, identità di genere, era molto più che un tabù. Tra noi sedicenni, diciottenni, ventenni di allora e la possibilità di un orientamento o identità sessuale che si discostasse dall’eterosessualità, si ergevano mura ciclopiche simili a quelle delle antiche rocche Micenee! Soprattutto in quella parte di meridione in cui sono cresciuta: un piccolo borgo della Basilicata dove tutti erano indiscutibilmente etero. Tra i miei coetanei, tra i ragazzi e le ragazze più grandi, tra gli adulti, era raro, se non impossibile, trovare una persona che si fosse apertamente dichiarata omosessuale. In tutto il paese, in tutta la scuola, apparentemente non esistevano gay e non esistevano lesbiche. L’omosessualità era una diversità inaccettata, stigmatizzata, bandita. Una specie di vergogna. Per cui chi dentro di sé sentiva di non essere eterosessuale lo nascondeva agli altri, negando così a se stesso uno dei Diritti Fondamentali: la Libertà di Espressione.

La “CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA” riporta, infatti due articoli che si riferiscono a questo tema: L’Articolo 11 , secondo il quale “Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione“. E l’Articolo 21, relativo alla Non Discriminazione, in cui si può leggere che “È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale”. 

La domanda, dunque, è la seguente:  

Quanto è difficile, oggi, riconoscere e manifestare il proprio orientamento sessuale e/o la propria identità di genere? Cosa si può e si deve ancora fare affinché queste difficoltà si dissolvano? E ancora: in che modo è possibile aiutare un amico o un’amica a fare coming out?

L’ho chiesto ad alcuni miei ex studenti, ragazzi e ragazze che stanno terminando il liceo o che stanno vivendo gli anni dell’università. Tutti figli della Generazione Z. A voi, l’autenticità delle loro voci:  

 “Manifestare il proprio orientamento sessuale oggi è sicuramente più semplice che in passato, ma ciò dipende ancora molto dall’ambiente in cui cresci. Conosco molte persone che, nella loro città natale non possono essere se stesse. Inoltre, anche laddove la cosa viene accettata, chi vive all’esterno della community richiede ancora una visione sobria, che non sia scomoda, da parte delle persone queer, le quali tendono poi a creare gruppi isolati. È necessario diffondere consapevolezza e comprendere cosa può veramente aiutare la community. Coloro che non ne fanno parte dovrebbero invece ascoltare di più e fare da megafono. Penso, inoltre, che bisognerebbe imparare a reagire in modo corretto a un coming out, corrispondendo l’energia della persona che lo fa. Se questa dà al coming out poco peso bisogna fare altrettanto, se invece si mostra nervosa bisogna confortarla. Se è emozionata, bisogna risponderle con altrettanta emozione. Siamo una community con bisogni ed esperienze molto diverse ed è importante considerare le reazioni e i bisogni delle singole persone”. (Filippo, 22 anni) 

Ritratto di Filippo Rinaldi

“In una società sempre più complessa, con ritmi sempre più veloci e canoni irraggiungibili, in cui il dialogo non è sempre ben accolto, non è semplice comprendere chi si è davvero. Questo vale anche per l’orientamento di genere, argomento sempre più discusso ma che purtroppo cela ancora un’ombra di tabù, o che è ancora motivo di vergogna, soprattutto in età adolescenziale. Questo può spingere il singolo a non voler compiere un’efficace introspezione, restando perennemente in un limbo, in una condizione dubbiosa, evitando di vivere appieno i propri sentimenti e la propria sessualità. Perché la difficoltà di comprendere se stessi si affievolisca,  è fondamentale parlare con qualcuno di fiducia, eventualmente anche uno specialista, che possa essere in grado di aiutare l’individuo ad acquisire una maggiore consapevolezza di sé, portandolo ad ascoltare le proprie inclinazioni  e a rielaborare le esperienze vissute, per comprendere la natura della propria sfera affettiva e della propria identità. Il coming out è un momento molto delicato, che va affrontato con le persone giuste, ovvero con chi è pronto ad accogliere ed è capace di assumere una posizione non giudicante, ma comprensiva. Restando, come farebbe un vero amico. E dimostrandosi di supporto e di incoraggiamento per la persona a cui dimostra di volere bene”. (Lucia, 17 anni) 

<em>Max Ferrigno Kiss me 2024 stampa su plexiglass cm 30×30<em>

“Penso che noi ragazzi viviamo in un contesto abbastanza fortunato per quanto riguarda la libertà di espressione della propria sessualità. Tuttavia, se anche siamo liberi di scegliere chi e come vogliamo essere, esistono contesti in cui questo non viene del tutto accettato. Mi viene in mente un mio compagno di università, originario di Chieti; lui è riuscito a confessare a sua madre di essere gay soltanto dopo anni, incoraggiato dalle nostre rassicurazioni. Quando finalmente lo ha fatto, sua madre gli ha risposto che lo sapeva già da tempo, ma poi gli ha chiesto di non rendere la sua omosessualità troppo evidente al resto della famiglia. Questo dimostra che esistono contesti in cui non siamo ancora veramente liberi di manifestare il nostro orientamento sessuale. E spesso tra questi contesti c’è proprio la nostra sfera famigliare”. (Matilde, 22 anni) 

Foto di Letizia Taroni Ravenna Pride di Bologna

“Negli ultimi decenni sono stati fatti molti progressi, sicuramente internet e la globalizzazione hanno aumentato la visibilità delle persone LGBT. In generale siamo tutti più informati e lo stigma verso la comunità LGBTQIA+ si è ridotto. Solo trenta anni fa, appariva quasi impossibile discostarsi dall’eterosessualità, mentre oggi è sempre meno impensabile discostarsi dall’essere cisgender. Nonostante questo, credo che molto ci sia ancora da fare e un lavoro di orientamento sessuale ed educazione di genere nelle scuole sarebbe utile a sensibilizzare le nuove generazioni all’amore e al rispetto per gli altri, qualsiasi sia il loro orientamento sessuale e la loro identità di genere. Nell’immediato c’è un gran bisogno di leggi antidiscriminanzione: l’Italia è uno dei pochi paesi che non tutela le persone LGBT. Come aiutare un amic* a fare coming out? Standogli molto vicino emotivamente e fisicamente, sia prima che dopo, perché può essere un’esperienza molto stressante. In alcuni casi, a seguito del coming out si può essere cacciati di casa, per cui un grande aiuto potrebbe essere quello di assicurarsi che questa persona, nel peggiore dei casi, abbia un posto in cui dormire”. (Serena, 22 anni) 

Continua – 1.

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