Mai un non luogo per eccellenza come lo è (o meglio, non è) un aeroporto diviene, tra febbraio e aprile dell’anno corrente, la sintesi olistica di tutti i luoghi della terra e del cielo. Si conferma ottima l’intuizione della Sea, società che gestisce i servizi dell’aviazione civile lombarda, con il consueto coordinamento di Luciano Bolzoni e Chiara Alberghina, di destinare lo spazio liminale tra chi entra e chi esce dallo scalo della Malpensa a una sorta di filtro spazio-temporale ben allestito scenograficamente in un ampio spazio scuro rarefatto da sapienti illuminazioni, chiamato, con indovinata formula, “La Porta di Milano”. Passeggeri che atterranno e che prendono il volo si incrociano nei due sensi di percorrenza del suggestivo transito, in una specie di scambio magico, augurale, con promesse silenziose di andate e di ritorni.

Opportuna e sagace, tanto quanto lo è stata la concezione originaria dell’allestimento aeroportuale, è pure l’intuizione di Matteo Pacini, curatore, che ha portato in rassegna dentro quella che ha definito la “Soglia magica” Giovanni Frangi, dopo le testimonianze di Fabio Viale e Matteo Mezzadri.
Frangi offre al passeggero dello spazio e del tempo, con precisa maestria, il ricordo dei cieli appena trasvolati – per chi esce – e l’anticipo del volo tra le nuvole – per chi entra. Una mescola sensoriale, una trasmutazione alchemica, immersa e disciolta nella materia pittorica a olio su grandi tele disposte a quinte cangianti, proprio come le sostanze impalpabili celesti, irrorate e lievemente accese da luci remote che richiamano i bagliori siderali.

“Panorama” è il nome della mostra, e a riprova della passione costituente dell’artista per i mondi naturali le tele pittoriche sono accompagnate da supporti fotografici autoprodotti che riferiscono delle visioni invernali del Passo del Gottardo, con un titolo didascalico geografico semplice: “Gotthard Pass”, che però suona quasi di letteratura, un po’ come “Passaggio a Nord Ovest”, o “Tropico del Cancro”. Letterarie, poetiche, preziosamente artistiche sono le immagini finemente trattate in digitale: visioni artificiali, che omaggiano il naturale, che ammiccano al sovrannaturale.
Il progetto si completa infine con la proiezione continua, prospiciente le opere su tela, e su di esse emana ulteriori fasci graduali di luce porporina, di un’alba milanese, “Soleil Levant”. Il profilo tipico di tetti e antenne della città è riconoscibile anche se identifica Milano, dalla porta dei cieli, quasi come se il capoluogo lombardo fosse adagiato sul Nilo, o su una collina del Giappone, o nel bel mezzo del Bush africano.

Sono questi i panorami dell’animo che vede Frangi. Un vedutista, a suo modo (una maniera distintiva e originale), che raduna nelle pennellate emulsionate di una tecnica ormai padrona le impressioni ricevute dai maestri veneziani del Cinque e del Settecento, ma anche da Turner da Constable, e dagli sturm und dranger, e da Emil Nolde.
Ma sempre da una prospettiva, e attraverso inquadrature minuziose, che oltrepassano l’insieme di un paesaggio e si vanno ad annidare negli scorci di dettaglio del fogliame, di un filamento nebuloso, tra le crepe delle rocce svelate da squarci di neve disciolta. Le vedute di frangi restituiscono così, paradossalmente, ma assai efficacemente, l’essenza stessa del paesaggio naturale. O per meglio dire, così come lui medesimo lo dice: “il presente della natura, per riconnetterci con essa e con noi stessi”.