Merito del romanzo dello storico dell’arte Thomas Schlesser, presentato alla GAM-Galleria d’Arte Moderna
Il volume, edito da Longanesi, è strutturato in tre macro-parti legate ad altrettanti iconici luoghi culturali di Parigi: Louvre, Musée d’Orsay e Beaubourg.
Ma allora cosa c’entra Milano?
Come sottolineato dall’autore, in conversazione con l’Assessore alla Cultura Tommaso Sacchi, la storia del legame tra la piccola Lisa e il nonno Henry potrebbe essere ambientata in qualsiasi museo mondiale, in quanto ogni istituzione conserva meraviglie che ci aiutano a sognare. Infatti, i luoghi espositivi nascono sì con l’intento di preservare e rendere fruibili a più persone i risultati delle espressioni creative dell’umanità, senza però indurle a un’immobilità di pensiero. Insomma, si guarda per certi versi al passato, ma con l’idea di migliorare il futuro attraverso un accrescimento della società civile. I musei sono luoghi fondamentali per la collettività: sono corpi “vivi” in cui i frequentatori divengono una vera e propria comunità, magari imperfetta viste, ad esempio, le distrazioni favorite dall’uso dello smartphone, ma pur sempre una comunità. Vedendo una mostra si creano delle opinioni a riguardo, senza che nessuno possa recriminare che le medesime siano giuste o sbagliate.
Non a caso, durante una visita con il nonno, la piccola Lisa osserva come un’opera assomigli ad una mousse al cioccolato: un paragone che fa sorridere, ma che non si può definire errato. L’arte deve essere “gustata”, dobbiamo riappropriarcene, nutrirci di essa per far sì che la società civile progredisca.
E nelle 432 pagine del suo primo romanzo, Thomas Schlesser conduce Lisa e Henry dinnanzi a moltissimi maestri della storia passata e presente della creatività. La bambina sembra destinata alla cecità e il nonno, prima che i medici comprendano se si tratti davvero di menomazione fisica o problema psichico, si impegna a mostrarle dal vivo più opere possibile. Cerca di parlarle della vita attraverso l’arte.
Come ha fatto anche lo scrittore con i presenti alla conferenza stampa, accompagnandoli in una visita guidata con annessa spiegazione di due capolavori conservati alla GAM, rispettivamente di Paul Cézanne e Vincent Van Gogh, artisti inseriti nel romanzo.
Storico dell’arte, direttore della Fondazione Hartung-Bergman, docente all’École polytechnique, Thomas Schlesser è autore di saggi, manuali, biografie di pittori: questo è il suo primo romanzo, la cui redazione, non continuativa, lo ha impegnato per circa dieci anni. Una volta pubblicato “Gli occhi di Monna Lisa” è diventato subito un caso editoriale con diritti venduti in tutto il mondo e traduzioni in oltre venti paesi, prima ancora della pubblicazione in Francia.
Lo stesso Schlesser ci ha spiegato cosa abbia significato per lui questo volume.
E.R.: É facile per uno storico dell’arte scrivere un romanzo? Mi spiego meglio: è opinione comune che gli studiosi redigano manuali, saggi o comunque altre tipologie di produzioni editoriali che vengono percepite come più “impegnate”…
T.S.: “Ho appunto impiegato dieci anni a scrivere questo libro e mentre lo stavo facendo ho redatto altre tre pubblicazioni di storia dell’arte molto accademiche: due saggi e una biografia caratterizzati da rigore scientifico, strutturati grazie alla ricerca negli archivi. Quando si scrive un romanzo si ha però la possibilità di proiettare tutta la propria immaginazione, le proprie invenzioni, finanche le proprie ossessioni nelle opere che si stanno osservando e questa è un’occasione bellissima perché anche il più autorevole e rigoroso degli storici dell’arte, essendo a stretto contatto con molti capolavori, sviluppa dei sentimenti che può valere la pena esplicitare.”
E.R.: Tornando dunque al libro, al suo interno sono menzionati ben 52 artisti e artiste, da Sandro Botticelli a Pierre Soulages, come ha fatto a sceglierli?
T.S.: “Quando ho iniziato a scrivere avevo una lista di circa un centinaio tra opere e artisti a cui avevo pensato, poi è stato uno dei protagonisti del libro a scegliere quali inserire. Nel corso della scrittura mi ha infatti aiutato il personaggio di Henry a capire che opere mostrare a Lisa. Quindi la definirei una scelta del nonno, che andrà a formare la nipote nella sua conoscenza della storia dell’arte, più che una decisione dell’autore del volume.”
E.R.: Parlando proprio della figura di Henry, come mai ha scelto di focalizzarsi su un nonno e una nipote e non su altri possibili legami di parentale all’interno di un nucleo familiare?
T.S.: “Fra Henry e sua nipote Lisa si è instaurato negli anni un rapporto molto particolare. Io credo che spesso che la relazione tra nonni e nipoti sia basata su una sorta di libertà, su meno pressioni rispetto al legame che c’è fra figli e genitori. Ed è proprio in virtù di ciò che Henry inventa questo sistema davvero sorprendente di insegnare a Lisa la vita attraverso l’arte. Una formazione che va al di là di quella scolastica: il rapporto tra i due è molto orizzontale, senza gerarchie e credo che ciò costituisca gran parte dell’emozione che si prova leggendo il libro.”