In dialogo con Carlos Casas: il suono come linguaggio interspecie

In che modo si può guardare alla vita naturale e animale al di fuori di un posizionamento antropocentrico? Le prospettive interculturali e interspecie insieme alla cura per l’ambiente sono tematiche cardinali nel contesto post-antropocentrico contemporaneo. A partire da ricerche di campo e collaborazioni interdisciplinari, l’artista catalano Carlos Casas contribuisce al loro dibattito con progetti a carattere documentaristico e lavori multimediali site-specific

In occasione della 60ª Biennale di Venezia, Carlos Casas presenta per il Padiglione della Catalogna il progetto BESTIARI. La mostra nasce da un’esigenza documentaristica nei confronti del suo paese d’origine e trae ispirazione dal testo La disputa de l’Ase (1417) di Anselm Turmeda. Rielaborando la narrazione dello scrittore medievale, con la curatrice Filipa Ramos, Casas accompagna lə visitatorə in un viaggio metaforico, concepito dagli occhi di sette animali, per offrire un’esperienza sonora e visiva dei paesaggi catalani. 

Dopo aver visitato BESTIARI abbiamo avuto l’opportunità di dialogare con Carlos Casas per relazionarci al suo lavoro: “Penso che il suono sia una lingua franca, un ponte tra epoche e realtà diverse”.

Filipa Ramos Carlos Casas ©gerdastudio

Considerando il tuo interesse per i luoghi remoti e le periferie, come nasce l’idea di riflettere sulla Catalogna attraverso i suoi 11 parchi e alcuni degli animali che li abitano?

Ogni volta che inizio un progetto cerco una sua continuità all’interno del mio lavoro. Quello che avviene è che mi lascio trasportare dai segni che si rivelano lungo la sua delineazione […]. Mentre pensavo a un possibile progetto da proporre a Venezia, è successo che mi sono imbattuto nel testo Il processo degli animali contro l’uomo; un’opera  appartenente alla cultura letteraria dei Ikhwān al-Ṣafā, società segreta islamica risalente al VIII e X secolo, che a sua volta aveva ispirato lo scrittore Turmeda nella stesura della La disputa degli animali (1417). Quest’ultima era un’opera su cui da molto volevo lavorare.

Si è creata così una serie di aspetti consecutivi, che mi hanno convinto a provare l’adattamento del testo […]. Inoltre, riflettendo sul titolo della Biennale 2024 – Stranieri Ovunque – e sulle mie origini catalane, ho realizzato che negli ultimi vent’anni avendo viaggiato in tutto il mondo per sviluppare lavori su altri luoghi, mai mi ero soffermato sulla mia terra di origine. A quel punto l’idea di tornare a casa per registrare lo stato dei parchi naturali mi è apparsa spontanea; quasi come un obbligo […]. Documentare, prendere traccia dello stato dell’ecologia sonora della Catalogna, è un gesto che ho fatto nei confronti di chi la abita e di chi in futuro non potrà vedere quello che ho visto io; per cui ho donato le tracce audio registrate ai centri di ricerca locali […]. Questa è la dimensione etica che riconosco al progetto […]. 

© gerdastudio

La Disputa dell’ase (1417) è la chiave di lettura della mostra. Com’è stato adattare e interpretare con linguaggi contemporanei un testo medievale? 

L’idea di lavorare su un testo medievale all’interno di un evento contemporaneo mi affascinava moltissimo. Capire come adattarlo era la sfida per me. Ho cercato di ragionare attraverso vari livelli. Il primo livello ha riguardato l’adattamento del testo alla dimensione contemporanea, nel secondo livello mi sono incentrato sulla Catalogna per comprendere come meglio rappresentarla. Mentre per il terzo livello ho riflettuto sulla percezione dellə spettatorə, aspetto che come artista mi affascina particolarmente […]. Sono sempre stato convinto di quanto il suono possa aiutare nella trasposizione delle idee. Considero il suono come una lingua franca: credo che è e sarà il primo vero canale per iniziare a comunicare con le altre specie […]. 

Secondo questo intento il progetto BESTIARI è realizzata all’interno di un ambiente privo di confini installativi, in cui suoni e immagini creano un perimetro nebuloso, che contribuisce a rappresentare il dialogo interspecie proposto da Turmeda: un invito ad abbandonare il punto di vista antropocentrico adottando quello animale. La fruizione della mostra non è solita. Non c’è un suo senso, non c’è una gerarchia di forme, non ci sono opere o didascalie appese ai muri. Gli unici oggetti distinguibili sono degli speaker, dei pouf su cui sedersi o sdraiarsi e una proiezione in fondo alla sala.

I tuoi lavori hanno la capacità di rendere gli spettri sonori degli elementi fisici. In rispettiva alla relazione tra suono – spazio fisico – pubblico: come concepisci questo dialogo?

Il concetto di site specific è una delle cose che mi affascina di più. Questo forse anche per la mia formazione tra architettura, scultura pubblico e design, che mi porta a concepire il progetto iniziando dallo spazio. Per BESTIARI c’era la volontà di ricreare metaforicamente una sorta di bosco; un luogo idilliaco dove abbracciare lə spettatore. Un aspetto che non sarebbe stato raggiunto senza una grande ricerca tecnica […]. BESTIARI è percettivamente così potente perché sono stati utilizzati degli speakers diversi e strettamente legati ad ogni animale[…]. C’è un grande sforzo di ingegneria e di sound design nel progetto, per questo è stato deciso di lasciare gli speakers nello spazio nel loro carattere tecnico. Il loro peso è quasi una presenza scultorea.

Flavio Coddou

Ciò è evidente nella cassa associata all’elefante: il suo speaker è un lungo tubolare che ricorda la proboscide dell’animale, tale per cui beneficia all’ultrasuono attribuito. Era interessante la possibilità di creare una connessione tra ingegneria del suono e arte, per proporre un sistema acustico altissimo in grado di lasciare centralità al suono […]. Inizialmente il progetto doveva essere puramente sonoro, poi ho sentito la necessità di tradurre gli animali anche attraverso immagini. Quest’ultimo è un aspetto che si aggancia a una mia ricerca più recente, incentrata sulla volontà di avvicinarmi alla percezione visiva di alcune specie […]. È evidente che è una speculazione. Non possiamo decretare come loro percepiscono la realtà fisica, perché non avremmo mai una loro traduzione reale […]. Quello che cerco di fare io, però, non è tradurli, ma creare dei ponti perché ci sia una connessione interspecie. Come impattano e ci influenzano i suoni degli animali? Quest’ultima è una delle ragioni per cui da sempre ho lavorato con Chris Watson, che considero uno dei primi ad aver cercato di stabilire un legame tra il suono animale e quello umano […]. 

“Considero il suono come mezzo universale per comprendere e relazionarsi» afferma l’artista. Nel lavoro di Casas il suono è sia medium linguistico che suo soggetto di riflessione. Oltre a BESTIARI questo focus è rintracciabile nel progetto Cemetery. Un film che intreccia tradizioni indù e buddiste e in cui chi osserva si ritrova in un cimitero di elefanti. Come vuole la tradizione, però, il cimitero degli elefanti non è visibile, perché l’essere umano in quanto tale non può avervi accesso. Casas immagina allora il luogo attraverso una rappresentazione sonora, connotata da un’aura di dormiveglia; la stessa che ricrea per BESTIARI e che, insieme all’interesse per la mitologia, pensa per il suo prossimo progetto dedicato all’eruzione del vulcano di Krakatoa in Indonesia. 

© gerdastudio

La Disputa dell’ase racconta di un gruppo di animali che porta a processo un uomo, che però alla fine sembra trionfare nel loro dibattito. Com’è letta questa vittoria nella mostra? Quale riadattazione del finale nel tuo progetto? 

Nella Disputa dell’ase la prevaricazione verbale del frate è considerabile una vittoria pirrica, fantoccio: durante la disputa ogni suo argomento è distrutto da quelli degli animali […]. Il testo è infatti una critica antropocentrica, ma Turmeda, per evitare la censura medievale, crea degli escamotage narrativi, che conclude con l’apparente vincita del frate […]. In BESTIARI la ri-adattazione del finale del testo è in divenire, non volevo che nulla fosse imposto.

Non c’è una conclusione, eccetto per la traccia canora di Marina Herlock, che ho inserito alla conclusione del video, perchè lei ha una grande consapevolezza vocale e capacità translinguistica. Inoltre, aggiungere una voce umana era un modo per enfatizzare il fatto che siamo parte di un’unità animale e che per questo urge trovare un canale di comunicazione interspecie […]. Desideravo che fosse un’esperienza aperta, di fatto la mostra può essere vissuta anche senza sapere nulla del testo di Turmeda.

L’ecologia ambientale e la percezione umana sono temi a te cari: come nasce l’idea di legare questi assi tematici all’utilizzo delle nuove tecnologie? Nel dialogo riportato sul catalogo, con la curatrice Filipa Ramos, parli di musica fisiologica: cosa intendi con questo concetto?

Quello che ti sto per dire può risultare contraddittorio: sono molto legato alla tecnologia ma allo stesso tempo anche “contro”. Credo che la tecnologia sia uno strumento per l’espansione della percezione. Mi affascina la relazione tra tecnologia e corpo; guardo alla possibilità di accedere ad altre scale percettive […]. La musica permette di arrivare a degli stati di alterazione fisica, ecco perchè parlo di questione fisiologica […]. Che cos’è il suono? È un sistema di vibrazioni tra corpi che coabitano nello spazio, per cui queste vibrazioni potenzialmente sono anche un altro modo con cui poter comunicare […]. 

Fino a poco tempo fa non avevamo le tecnologie né per produrre né per ascoltare alcune onde sonore. Le nostre orecchie non erano in grado di captarle, poi abbiamo imparato ad abituarci a loro […]. Oggi il cervello è cresciuto, abbiamo modificato il livello della nostra percezione. In questa direzione la tecnologia può aiutarci ad ascoltare piu profondamente la natura; per provare a capirla e forse a rispettarla meglio. Per esempio, da qualche anno la ricerca tecnologica in campo militare ha permesso attraverso idrofoni di rilevare le balene; scoperta fondamentale non solo per udirle, ma per studiarle e proteggerle. 

Flavio Coddou

Da poco ho ascoltato la presentazione del libro Isole di Nicolas Jaar a Ocean Space (VE), un artista che come te lavora con il suono. Durante la presentazione Jaar ha affermato che quando lavora alla post produzione di suoni naturali gli capita di riflettere sul suo gesto di appropriazione degli stessi, quindi di domandarsi quale sia il suo diritto nel farlo. Come risponderesti a questa riflessione? 

Risponderei soffermandomi sul fatto che noi stiamo già occupando uno spazio fisico nel mondo; dunque la questione non è negare la singola presenza attraverso altre azioni, ma chiedersi come si stia occupando quello spazio, per capire come beneficiare a quello che vi è attorno. Se si mette in crisi la propria presenza già in partenza, si sta negando la capacità di agire all’interno di un sistema. La vera domanda per me è: come agisco in questo spazio? […] La salvaguardia dell’ambiente è già un grande punto da cui partire; un tema che mette in crisi tanti sistemi […].

A tal proposito quando abbiamo scelto le specie da porre a protagonista della mostra BESTIARI siamo stati criticati per una di loro. Mi riferisco ai pappagalli; specie considerata invasiva perché animali importati e addomesticati. Quindi uccelli che per il mondo naturalista possono mettere a rischio la comunità animale locale. […] Si tratta di un argomento che sento avere un richiamo diretto al tema dell’immigrazione. Qual è il concetto di stranierə? Sono gli animali gli stranieri o lo siamo noi, nei loro confronti? […] Secondo me non c’è una verità. Chi protegge i parchi e le specie in via di estinzione è davvero da ringraziare. Tuttavia, dati i molti preconcetti settoriali, forse l’arte può essere utile per smussare certi tabù […] Sappiamo che ci sono specie invasive, ma dobbiamo trovare un modo – creativo e alternativo –  per co-abitarvi. Non ha senso negare la loro presenza. Il miglioramento è possibile se si inizia ad accettare il cambiamento.

In conclusione, per rispondere al pensiero di Jaar, credo che si possa avere tutto il diritto di lavorare su suoni naturali se lo si fa con volontà documentaristica: per raccontare, salvaguardare e migliorare il proprio modo di stare. Se invece si fa un suo uso spropositato e abusivo è diverso. 

Flavio Coddou

Parlando dei tuoi progetti futuri, hai da poco vinto il programma di ricerca di S+T+ARTS con Laguna di Venezia. Indagare gli spazi liminari attraverso la tecnodiversità. Un programma che sarà ospitato da TBA21–Academy e che è una residenza pensata per addentrarsi nell’ecosistema interconnesso della Laguna di Venezia. Ti vedremo quindi di nuovo nella Laguna? 

Dalle prime settimane di ottobre 2024 sarò di ritorno a Venezia per incontrare scienziatə e centri di ricerca universitari. L’obiettivo è iniziare un’esplorazione soprattutto sonora della laguna: proposito è intraprendere un lavoro di suono spazializzato sott’acqua. In particolare c’è la volontà di condurre un progetto legato al momento della fondazione di Venezia; mi riferisco al mito della città che racconta come la popolazione lagunare, composta da pescatori, si nascondesse all’interno della laguna per scappare dagli invasori barbari. Questa immagine mi ha sempre affascinato perché i pescatori, nascosti in attesa di tornare nelle loro case, trovavano nel ramificato paesaggio lagunare la loro protezione.

Attraverso una ricerca interdisciplinare e in continua evoluzione, sul suono e sui linguaggi visivi, i progetti di Carlos Casas ricordano che sebbene l’approccio tecno-scientifico sia fondamentale, non basta: è necessaria anche la presenza di storie di vita che ci nutrano. In questo senso, accanto alla fiducia nel progresso tecnologico, l’artista invita a riscoprire una vitalità primordiale – animale – richiamando memorie e miti per coevolvere con il presente.

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