Fino al 30 marzo sarà visitabile la mostra dedicata a Lisetta Carmi (Genova,1924-Cisternino 2022), Molto vicino, incredibilmente lontano, presso le sale del Palazzo Ducale di Genova; curata da Giovanni Battista Martini e Ilaria Bonacossa, l’esposizione omaggia il centenario della nascita dell’artista poliedrica che, partendo dalla citta natia, ha saputo scoprire e rappresentare il mondo in tutta la sua diversità e complessità. Lo studio Drama y Comedias progetta l’allestimento della mostra, pensando lo spazio del Sottoportico come una struttura delimitata e definita da muri concettuali e fisici: le stanze vengono pensate come luoghi di confronto e condivisione, per stimolare una riflessione comune sulle dinamiche sociali e politiche contemporanee.
Il centenario ha concentrato l’interesse di numerose istituzioni artistiche nazionali, dal MAXXI di Roma alle Gallerie d’Italia di Torino, esortando nuove iniziative ed eventi dedicati a una donna estremamente eclettica e curiosa. Silvana Editoriale lancia un volume monografico proprio in occasione della mostra genovese, per ripercorrere il percorso e la visione mutevole della fotografa, dalle prime esperienze locali fino ai viaggi oltreoceano; i saggi di Ilaria Bonacossa, Dominic Eichler Jennifer Evans e Giovanni Battista Martini, affiancano le serie piú celebri dal bianco e nero al colore, frutto di una produzione lucida e articolata.
La lente attraverso cui Lisetta Carmi osserva la società riflette ció che essa stessa subisce sin da bambina: rifugiatasi in Svizzera con la famiglia in seguito alla ghettizzazione ebrea delle leggi raziali, sperimenta l’isolamento e la repulsione per gli ultimi, sentimento che albergherà in lei e sarà l’essenza delle diverse esperienze artistiche.
Conosciuta principalmente come fotografa e reporter, l’artista si approccia inizialmente al mondo musicale, prendendo lezioni di pianoforte al Conservatorio di Genova per poi proseguire in quello di Zurigo fino a ottenere la laurea a Milano. La sua carriera concertistica la porta in giro per il mondo, dalla Svizzera a Israele fino a quando la storia politica del nostro Paese attira la sua attenzione provocando un repentino cambiamento. Il primo approccio al reportage le viene offerto da un collega musicista che intraprende un viaggio antropologico in Puglia, per catalogare e documentare i canti popolari ebrei; tornata a Genova avvia numerose collaborazioni sviluppando la tecnica e la ricerca fotografica, dalla Galleria del Deposito al Teatro Duse fino a testate quali L’Espresso e Il Mondo.
Sono gli anni Sessanta, l’Italia è un fermento di proteste, ribellioni e lotte proletarie e Lisetta Carmi trova in questo fervore la ragione per allontanarsi dal percorso musicale per avvicinarsi quello fotografico: la ricerca di uno stile unitario e omogeneo viene rimpiazzata da una pratica estremamente variegata che interpreta la realtà nelle sue sfumature piú grigie, rinnegate e dimenticate.
«Le fotografie esposte ci raccontano dell’amore e della comprensione per l’essere umano e della volontà di capire, da persona libera, la realtà senza pregiudizi»
(Giovanni Battista Martini, curatore dell’Archivio Lisetta Carmi)
Ci sono alcuni progetti che rappresentano la vera essenza del lavoro di Lisetta Carmi, a partire da Genova – porto che ritrae i lavoratori sfruttati e in rivolta, fino a Italsider e Anagrafe che offrono uno scorcio della vita quotidiana della città. Questi primi esperimenti sono un punto di svolta determinante per lo sviluppo della sua carriera e come tali la conducono a osservare il mondo da vicino: da Kabul a Gerico, da Belfast a Caltanissetta, Lisetta cattura la sostanza della condizione umana, inaugurando una nuova interpretazione della professione del reporter quale testimone della natura umana in tutta la sua nuda verità.
Nel 1972 viene pubblicata la serie piú ambiziosa e radicale che diventò presto origine di scalpore e ispirazione: dalla notte di Capodanno del 1962 Lisetta Carmi varca i confini del ghetto cittadino per incontrare, conoscere e rappresentare i travestiti genovesi, ultimi tra gli ultimi che diventano testimonianza di un racconto di diritti e libertà portato avanti dall’artista con caparbietà per molti anni. Raccolti in un volume inizialmente rifiutato e additato come scabroso, i ritratti identificano il punto di investigazione piú acuto e sensibile dell’artista: il rapporto che Lisetta Carmi inaugura e intrattiene con i soggetti fotografati anticipa una maturità artistica e morale che oggi è alla base delle lotte inclusive che scuotono il mondo, oltre a essere uno dei primissimi esempi di attivismo sociale, politico e artistico. Quasi parallelamente negli Stati Uniti, Diane Arbus combatteva la medesima battaglia nel nome di una fotografia intima e genuina: l’orientamento di omosessuali e trans viene marchiato come disagio psichiatrico e di conseguenza recluso in luoghi nascosti, marginali, universi clandestini dove è permessa massima libertà espressiva.
Come afferma la curatrice Ilaria Bonacossa «non stupisce che, con un ritardo di quasi vent’anni Lisetta Carmi sia oggi al centro di una inarrestabile “riscoperta” da parte del mondo dell’arte contemporanea e che venga, a ragione, considerata una delle più importanti fotografe della fine del Novecento». Nel mondo di oggi l’approccio al “diverso” trova sempre piú consenso nelle nuove generazioni, che grazie a uno sguardo fluido e acritico cerca di vivere la comunità come lo specchio dei bisogni e desideri del presente; l’esempio di Lisetta Carmi porta alla luce la storicità e la persistenza delle problematiche odierne, oltre al talento innato dell’artista di leggere anticipatamente debolezze e limiti interpretativi e cognitivi che ancora oggi si presentano nelle cronache quotidiane.