L’urgenza di lasciare il segno: Evyrein racconta la sua Street Art

Evyrein, street artist attivo principalmente nelle zone di Padova e dintorni, nonostante la crescente popolarità continua ad operare nell’anonimato, lasciando che siano le sue opere a parlare per lui. Con contenuti politicamente e socialmente critici, tra le sue ultime creazioni troviamo “Elon MASK” e “Tolleranza z3r0”, lavori incisivi, provocatori, che stimolano inevitabilmente e necessariamente un dialogo con il pubblico. 

Nell’epoca complessa in cui viviamo, le immagini forti di Evyrein innescano una profonda riflessione del mondo di oggi, poiché l’arte, come lui stesso racconta, affronta tematiche controverse per poter essere uno specchio – anche scomodo – della realtà.

Foto By Paul Serliana

Hai iniziato la tua carriera artistica ispirandoti al mondo dei graffiti negli anni ’90 e hai evoluto il tuo stile nel tempo. Come descriveresti questa evoluzione artistica e quali sono le tue principali influenze?

La mia evoluzione artistica è stata un percorso naturale, un continuo processo di apprendimento e sperimentazione. Sono partito dai graffiti, un mondo che mi ha affascinato fin da ragazzino ma col tempo ho sentito l’esigenza di andare oltre, di esplorare nuove forme di espressione e di affrontare temi più complessi così, il mio stile si è evoluto gradualmente, passando dai graffiti più tradizionali a un linguaggio più personale e concettuale. Ho iniziato a sperimentare con diverse tecniche, come stencil, paste-up e installazioni, e a utilizzare materiali diversi, come bombolette spray, pennelli, carta e oggetti trovati.

Le mie principali influenze sono state diverse e provengono da mondi differenti. Sicuramente, il writing e la street art italiana e internazionale hanno avuto un ruolo fondamentale nella mia formazione. Ammiro artisti come Blu e Paradox, per la loro capacità di creare opere potenti e significative, che dialogano con lo spazio urbano e con il pubblico. Ma sono anche influenzato da altre forme d’arte, la scultura, la fotografia e il cinema. Mi ispirano le opere di artisti contemporanei che utilizzano l’arte per affrontare temi sociali e politici, come Banksy e Shepard Fairey.

Il mio obiettivo è creare opere che non siano solo belle da vedere, ma che stimolino la riflessione e il dibattito e voglio che la mia arte sia un megafono per le storie e le voci che non vengono ascoltate, per i problemi e le ingiustizie che ci circondano e spero di poter contribuire a rendere il mondo un posto più consapevole e responsabile, dove tutti possano sentirsi rappresentati e ascoltati.

Il tuo lavoro spesso affronta temi provocatori e controversi, come nell’opera “In Bonafede” che ha suscitato reazioni forti e persino indagini legali. Qual è il processo creativo e le motivazioni dietro la scelta di tali soggetti, e come gestisci le conseguenze che ne derivano?

Il mio processo creativo nasce da un’urgenza interiore, dalla necessità di esprimere ciò che vedo e sento nella società che mi circonda. Di solito affronto temi provocatori e controversi perché credo che l’arte debba essere uno specchio, anche scomodo, della realtà.

In Bonafede“, ad esempio, è nata dalla mia riflessione sulla collusione stato mafia e volevo mettere in discussione alcune ipocrisie, stimolare un dibattito aperto e onesto su temi che spesso vengono taciuti o dati per scontati. La scelta dei soggetti è sempre ponderata e motivata da un forte interesse personale e non cerco la provocazione fine a sé stessa, ma voglio dare un significato profondo che possano innescare una riflessione critica.

Ovviamente, sono consapevole che il mio lavoro può suscitare reazioni forti e contrastanti e a volte sono stato oggetto di critiche, censure e persino indagini legali. Questo fa parte del gioco. L’arte, per sua natura, è un linguaggio libero e potente, che può disturbare e mettere in discussione le certezze. Non mi spaventa il confronto, anzi lo considero un elemento fondamentale per la crescita e l’evoluzione del mio percorso artistico ma certo, le conseguenze legali e mediatiche possono essere difficili da gestire ma non mi lascio scoraggiare. Credo che sia importante difendere la libertà di espressione e continuare a creare opere che ci interroghino sulla nostra società e sul mondo che vogliamo.

Foto by Claudiano

Quanto influisce il mantenere l’anonimato sulla tua libertà artistica? E, soprattutto, come pensi che questo possa influire sulla percezione del pubblico nei confronti delle tue opere?

L’anonimato è una scelta che ho fatto fin dall’inizio del mio percorso artistico. Per me, non è solo un modo per proteggere la mia identità, ma è anche una parte integrante della mia arte e mi permette di concentrarmi esclusivamente sul mio lavoro, senza essere influenzato da fattori esterni come l’apparenza fisica o la vita privata. In questo modo, il pubblico è portato a concentrarsi sull’opera stessa, sul suo significato e sul messaggio che voglio comunicare. L’anonimato mi dà anche una maggiore libertà creativa. Mi sento più libero di sperimentare, di osare, di affrontare temi difficili e controversi.

Certo, ci sono anche delle sfide. A volte, l’anonimato può rendere più difficile la comunicazione con il pubblico e con gli altri artisti. Ma credo che i vantaggi superino di gran lunga gli svantaggi… è una scelta che mi appartiene e che fa parte della mia identità artistica. Non la considero un limite, ma piuttosto una risorsa, uno strumento che mi permette di esprimere al meglio la mia creatività e di comunicare in modo autentico e significativo.

Se il mio anonimato incuriosisce o stimola ulteriori riflessioni, tanto meglio. Ma l’importante è che l’attenzione si concentri sull’arte, sul messaggio che voglio comunicare e sul dialogo che voglio instaurare con il pubblico.

Sei stato definito uno degli street artists più cancellati di sempre, le tue opere infatti spariscono o vengono vandalizzate nel giro di qualche ora o pochi giorni. Credi che la “cancellatura” possa ampliare il significato delle tue opere o, al contrario, soffocarlo? La interpreti come una forma di censura o come naturale ciclo della street art?

Essere definito uno degli street artists più cancellati di sempre è un’etichetta che mi fa riflettere. Da un lato, c’è la consapevolezza che le mie opere sono effimere, destinate a scomparire nel tempo. Dall’altro, c’è la constatazione che la “cancellatura” fa parte del ciclo naturale della street art. Credo che la “cancellatura” possa ampliare il significato delle mie opere, aggiungendo un ulteriore livello di lettura. Allo stesso tempo può essere interpretata come una forma di censura, un tentativo di soffocare voci scomode e di limitare la libertà di espressione. Ma non mi lascio scoraggiare da questo.

È un atto di resistenza, un modo per lasciare un segno, anche se effimero, sulla città e sulla coscienza delle persone. Non mi interessa che le mie opere durino per sempre, mi interessa che lascino un’emozione, una riflessione, una domanda. La street art è un’arte in continuo movimento, un dialogo costante con lo spazio urbano e con il pubblico e la “cancellatura” fa parte di questo dialogo, un elemento che può arricchire il significato delle opere e stimolare nuove interpretazioni.

L’ultimo murale “Elon MASK” ha suscitato reazioni contrastanti, dividendo il pubblico, specchio senza dubbio del mondo di oggi. Pensi che questo sia proprio uno degli obiettivi fondamentali della street art? Oltre alla provocazione, quanto è importante per te stimolare il dibattito e offrire spunti di riflessione attraverso le tue opere?

L’opera “Elon MASK” è un esempio lampante di come la street art possa essere uno strumento potente per stimolare il dibattito e offrire spunti di riflessione sulla società contemporanea. L’opera raffigura Elon Musk, il proprietario di Tesla e Space X, nell’atto di togliersi la maschera e rivelare la sua vera identità, che io ho voluto rappresentare come quella di un “Hitler contemporaneo”. Questa immagine forte e provocatoria ha suscitato reazioni contrastanti, come era prevedibile.

Alcuni hanno interpretato l’opera come una critica aspra e necessaria al potere di Musk e alla sua influenza sulla società, mentre altri l’hanno considerata un attacco ingiusto e diffamatorio, ma al di là delle diverse interpretazioni, l’obiettivo principale del mio lavoro è proprio quello di innescare un dialogo, di stimolare una riflessione critica. Viviamo in un’epoca complessa e contraddittoria, in cui le figure di potere sono spesso mitizzate e idolatrate, mentre le disuguaglianze sociali e le ingiustizie aumentano. Voglio mettere in discussione questi meccanismi, offrire una prospettiva alternativa e invitare il pubblico a farsi una propria opinione e non mi interessa fornire risposte facili o soluzioni semplici, il mio intento è piuttosto quello di porre domande, di sollevare dubbi.

Credo che la street art abbia un ruolo fondamentale in questo senso. Essa è un’arte pubblica, accessibile a tutti può essere uno strumento di denuncia, di attivismo e di cambiamento sociale. Può dare voce a chi non ce l’ha, può raccontare storie che non vengono ascoltate e può contribuire a rendere il mondo un posto più consapevole e responsabile.

Nel caso specifico di “Elon MASK”, ho voluto mettere in guardia dai rischi di un potere concentrato nelle mani di pochi, un potere che può facilmente trasformarsi in autoritarismo e prevaricazione.  Spero che “Elon MASK” possa continuare a suscitare dibattito e riflessioni, anche a distanza di tempo quindi il mio obiettivo è che l’arte non sia solo un’esperienza estetica, ma anche un motore di cambiamento e di consapevolezza.

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