E’ venerdì sera, alle porte di Londra si sta tenendo uno dei festival musicali più importanti e partecipati degli ultimi anni. 250 mila persone si sono infatti recate a Pilton, nel Summerset inglese, per assistere a più di mille concerti in 100 palchi diversi, il tutto culminante nelle performance dei Coldplay e Dua Lipa.
Sono le 17.50 e il sole è ancora alto per via delle giornate estive. La folla, vibrante di energia e aspettativa, si raduna davanti al Pyramid Stage in attesa dell’esibizione della cantautrice inglese PJ Harvey. Prima di lei, però nei volantini del programma si legge un nome inconsueto per questo tipo di evento: a momenti dovrebbe infatti salire sul palco la più famosa perfomer dell’arte contemporanea, Marina Abramovic. Ancora qualche minuto di attesa ed eccola venire fuori vestita con un abito bianco dalla forma del simbolo della pace, opera dallo stilista tarantino Riccardo Tisci, già direttore creativo di Burberry.
La sua presenza calma e imponente contrasta con l’atmosfera frenetica del festival. Non ci sono strumenti musicali, nessun accompagnamento visivo. Solo lei e il vasto mare di volti che la osservano. Marina apre il suo vestito-simbolo e il brusio della folla gradualmente si placa. Con una voce tremante, annuncia la sua “7 Minutes of Silence” (7 Minuti di Silenzio), una perfomance collettiva contro le guerre. Invita tutti i presenti a chiudere gli occhi, rilassarsi e partecipare a un momento collettivo di quiete e riflessione, imponendo le mani nelle braccia di chi sta affianco.
Il silenzio scende come una coperta sulle migliaia di persone presenti. Il rumore delle conversazioni si attenua, lasciando solo il suono del vento e il battito lontano di qualche strumento di sottofondo da altri palchi. Per sette minuti, il tempo sembra fermarsi. Le persone sentono il proprio respiro, il proprio battito cardiaco e la presenza degli altri intorno a loro.
Per molti, questi sette minuti sono un’esperienza trasformativa. Alcuni sentono una connessione profonda con se stessi, altri con gli sconosciuti accanto a loro. È un momento di introspezione in un luogo dove normalmente regnano caos e frenesia. Quando i sette minuti terminano, Marina riapre gli occhi e sorride, ringraziando tutti per la loro partecipazione.
Ma in quel caldo venerdì di fine giugno inglese, quella di Marina non sarebbe stata l’unica performance artistica alla quale il pubblico avrebbe assistito.
Sono le 21:30, siamo sempre nel Pyramid Stage e il sole è ormai tramontato. Stavolta il pubblico è in attesa degli Idles, una band punk rock britannica che tratta anche temi quali l’ineguaglianza, il razzismo e la xenofobia. Joe Talbot, frontman della band, sta cantando a squarciagola la canzone “Danny Nedelko”, esplicitamente dedicata al tema dell’immigrazione.
Improvvisamente, un canotto gonfiabile appare tra la folla, sospinto verso il palco, con sopra i manichini di migranti con giubbotti di salvataggio. Il pubblico è inizialmente confuso, poi capisce: potrebbe essere un’installazione/perfomance dello street artist Banksy (lui stesso confermerà domenica con un post su Instagram, come suo solito)
L’opera quindi avanza tra la folla, uno stage diving che continua ad andare a ritmo della musica ipnotica degli Idles. Per sette minuti, il canotto rimane al centro della scena. Questa scenografica opere di Banksy arriva mentre il primo ministro britannico Rishi Sunak continua ad affrontare il controllo sulla sua politica di immigrazione. Attraverso una legge particolarmente controversa, il governo di Sunak prevede di deportare i richiedenti asilo che arrivano illegalmente nel Regno Unito in Ruanda, che alcuni politici conservatori in Inghilterra considerano una destinazione sicura.
Ma non è la prima volta che Banksy sceglie il Glastonbury per presentare una sua nuova opera. Nel 2014, aveva lanciato l’installazione “Sirens of the Lambs” (titolo che richiama chiaramente “The Silence of the Lambs”, Il Silenzio degli Innocenti, della serie di Hannibal Lecter), un camion pieno di giocattoli di peluche che urlavano, rappresentando animali portati al macello. Questa installazione mobile ha girato per il festival, apparendo in vari luoghi, dalla zona dei mercati fino al Pyramid Stage. L’opera è stata progettata per sensibilizzare il pubblico sulla crudeltà dell’allevamento intensivo di animali per la carne.
Glastonbury, breve storia di un festival “performativo”
Il Festival di Glastonbury, inizialmente chiamato Pilton Pop, Blues & Folk Festival nel 1970, è diventato un evento di rilievo per le arti performative contemporanee, incorporando una vasta gamma di medium artistici oltre alla musica. Iniziato come un piccolo evento ispirato ai movimenti controculturali degli anni ’60, l’evento divenne rapidamente noto per il suo mix eclettico di musica, teatro e intrattenimento spontaneo. L’introduzione del Pyramid Stage nel 1971, modellato sulla Grande Piramide di Giza, simboleggiò la crescente ambizione e identità unica del festival.
Successivamente, nel 1990, il festival adottò ufficialmente il nome “Glastonbury Festival of Contemporary Performing Arts”, evidenziando la sua portata più ampia. Questo periodo vide l’aggiunta di vari palchi e aree dedicate a diverse forme d’arte, inclusi il World Music Stage e i Theater e Circus Field. Il festival iniziò anche a presentare significative installazioni e performance di arte contemporanea, fondendo le arti visive con la sua eredità musicale.
Gli anni 2000 segnarono una significativa espansione negli sforzi artistici del festival. Vennero introdotte infatti Aree come The Park e Block9, mettendo in risalto installazioni artistiche creative ed esperimentali. The Park, lanciato nel 2007, divenne noto per le sue esposizioni d’arte visiva e l’iconica Ribbon Tower, mentre Block9 portò design di scena all’avanguardia e immersivi ispirati a temi urbani e culturali.
Nel 2024, l’introduzione del programma di arte pubblica “Level Ground”, con la scultura “All Power to All People” di Hank Willis Thomas, ha enfatizzato temi di identità razziale e rappresentazione. Questa installazione fa parte degli sforzi continui del festival per integrare un’arte contemporanea significativa nel suo programma diversificato.
Nel complesso, l’impegno di Glastonbury per l’arte contemporanea ha reso il festival un evento culturale significativo, fondendo musica, arte visiva e performance per creare un’esperienza unica e immersiva per i partecipanti. Questa evoluzione riflette le sue radici nella controcultura e la sua dedizione continua all’innovazione artistica e all’impegno sociale.