Ho appena finito di leggere il libro di Miquel Barceló, freschissimo di stampa, e scrivo subito nel timore che svanisca quell’aura che queste pagine emanano. Si chiama De la vida mía, che è un frammento di un verso di Luis de Góngora, ma è scritto in lingua francese (Mercure de France, 264 pagine, euro 35).
Conosco l’opera di Barceló. Ho letto e visto quasi tutto quel che c’è in giro. Lo ritengo al vertice della pittura contemporanea, insieme a Kiefer. Curioso: entrambi si potrebbero chiamare espressionisti e battitori liberi, ma sono all’opposto l’uno con l’altro. Kiefer è pensoso, “pesante”, gravido di storia e di miti, mai giocoso. E titanico. Anche Barceló è spesso titanico, ma la sua è una pittura gaia, disinvolta, vibrante di colore, approssimativa, a volte idiota e sempre affascinante. Non si può restare indifferenti davanti a un suo quadro o ceramica.
Ma qui ci fa entrare nell’atelier del suo cuore. Il libro, illustratissimo, non riproduce una sola opera computa, solo quaderni di appunti, schizzi, qualche vecchia foto, tutto commentato dall’artista, che si lascia andare – poco, pochissimo – a qualche confidenza. Miquel, come molti sanno, ha vissuto per lunghi anni nel Mali, a temperature impossibili, invaso dalle termiti, con tutte le scomodità che si possano pensare, ma felice e fraternamente unito ad alcuni uomini del suo paesetto. Lì ha dipinto quel che basterebbe alla carriera di un artista. Poi le condizioni politiche e sociali hanno reso impossibile continuare a rimanerci. Tornato a Parigi e alla sua casa di Majorca, è rimasto con la ferita aperta dell’Africa, il famoso mal d’Africa.
Se non fosse una falsità, si potrebbe dire che quest’uomo non pensa, dipinge istintivamente. C’è del vero in questo, ma Barceló è uno degli artisti più colti del nostro tempo, divora libri da quando era bambino, conosce tutti i poeti, letterati, molti filosofi. Ma questo libro, senza alcuna retorica, ci fa sfogliare i suoi quaderni, vedere quel che lo ha colpito, la cosa spesso banale che l’ha ispirato. E ci si domanda come è possibile che da un oggetto così, da un disegnino quasi infantile siano nate opere di una grandiosità – non solo nel formato – struggente. È bellissimo ascoltarlo in questi brevi racconti, aneddoti, ricordi, ti sembra di star seduto al bar con un vecchio amico. Non c’è compiacimento, non c’è sicumera né spocchia di alcun genere. Barceló è, tra i grandi, il più genuino. Il mio amico Miquel, che forse non conoscerò mai.