Napoleone Bonaparte è sempre stato una figura affascinante. La sua fama oscilla tra romanticismo e mito e Ridley Scott, 86 anni, uno dei cineasti più prolifici in circolazione e regista veterano il cui corpo cinematografico va da Alien (1979), a Gladiator (2000) e recentemente House of Gucci (2021), offre la sua versione del militare che ha tenuto il mondo nelle sue mani tra il 1793 e la sua sconfitta a Waterloo il 18 giugno 1815.
Napoleon è uno sguardo vertiginoso della sua vita: conquiste, guerre, una popolarità incredibile con il popolo di Francia, e ciò che apparentemente ha interessato di più a Scott come regista: la relazione tra Napoleone (Joaquin Phoenix) e Giuseppina (Vanessa Kirby).
Quando la testa di Marie Antoinette rotola fuori dalla ghigliottina il 16 ottobre 1793, un impassibile Napoleone Bonaparte osserva la scena tra la folla. La Francia rischia di disintegrarsi a causa della lotta interna tra i rivoluzionari e gli antimonarchici e del sempre più pressante pericolo esterno: gli inglesi hanno già preso la città portuale di Tolone e il politico, Paul Barras (Tahir Rahim) chiede l’aiuto del generale Napoleone, già famigerato stratega militare nel campo dell’artiglieria. Il giovane stratega riesce a liberare la città portuale in modo astuto e Barras lo promuove direttamente a generale nell’esercito francese. Intanto, la lotta incessante per il potere politico a Parigi dà all’ambizioso generale sempre più accesso al potere.
Napoleon è un’opera che brilla nonostante la sua evidente ambivalenza visiva, che predilige da un lato lo svelamento dell’uomo, l’uomo dietro il mito, mettendo in luce la sua relazione con Giuseppina e le lettere che si sono scambiati nel corso degli anni, e dall’altro distilla le scene di enfasi politico-familiare di momenti bellici, battaglie in cui il potere e lo sguardo dinamitardo dell’imperatore francese trovano un solco in cui convivere e deflagrare anche in modo piuttosto avvincente.
Scott impone il racconto intimista al canone dell’epopea e tira fuori il meglio dell’alleanza e della chimica tra Vanessa Kirby e Joaquin Phoenix per rendere la complessa relazione Giuseppina e il suo Napoleone il motore della figura dell’imperatore di Francia. Scott si allontana così dal tentativo totalizzante e storicamente fedele di ricreare la grandezza di Bonaparte e la sua epoca come figura storica e tappa chiave della storia europea e si avvicina a Barry Lyndon (1975), il film con cui Stanley Kubrick ha ribaltato alcune delle informazioni che aveva raccolto per girare la sua visione di Napoleone.
Questo allontanamento dal Napoleone più ovvio e prevedibile, dal Bonaparte con il piedistallo e le figurine di piombo che è stato tradizionalmente il destino finale di altri Napoleoni cinematografici, fa sì che Scott costruisca sull’ellissi il percorso dei campi di battaglia del suo personaggio, mettendo tutta la carne sul fuoco in questa versione demistificante e caricaturale che in alcuni momenti Phoenix incarna.
Nel Napoleon di Scott la telecamera entra e ci trascina nelle stanze di un Napoleone interpretato in modo distanziato da Joaquin Phoenix. Ridicolizzato, mediocre e cucito in una satira piuttosto evidente, questo Napoleone viene presentato attraverso una performance notevolmente controllata per un uomo che ha ispirato l’espressione “Complesso di Napoleone”, come se Phoenix non volesse abbracciare l’archetipo del leader folle e non abbia trovato nulla altro per riempire quel vuoto. In questo schema Phoenix sviluppa un Napoleone imprevisto, anche nei momenti chiave della sua ascesa al potere, un Bonaparte che nell’intento di Scott non siede sul piedistallo storico ma esprime quella natura patetica, quella insicurezza che si scontra direttamente con la megalomania incontrollata. Napoleone in questo film è un poseur esagerato, un uomo avido di potere, arrogante, anche se non poco intelligente. Dietro la sua ostentazione, il suo sfarzo e la sua gloria, tuttavia, si nasconde sempre un bambino arrogante che implora attenzione e lode.
Molto si può dire della mancanza di fedeltà storica di Napoleon. Alcune scene non hanno nulla a che fare con la realtà. Ad esempio Napoleone non era presente quando decapitarono Maria Antonietta né sparò contro le piramidi d’Egitto nella cosiddetta Battaglia delle Piramidi. Dal punto di vista storico la pellicola non vive un’aderenza e una fedeltà totale, anzi, quest’opera non è una revisione metodica degli eventi storici: spesso sembrano fare irruzione nella trama diverse storie apocrife piuttosto che ciò che è realmente accaduto. Ma questo non rende l’opera meno godibile e sicuramente non meno interessante a livello stilistico.
Ad esempio, nella scena dell’incoronazione, in cui Scott riporta sullo schermo i momenti dell’auto-incoronazione del protagonista (una perfetta ricreazione del quadro di Jacques-Louis David), il regista fa di tutto per mostrare quanto quella visione pittorica fosse propagandistica, satura, e quindi rende le immagini più vivide, più lucide, con un effetto tensivo tra la realtà e la finzione che fa da cerniera alla pellicola, determinata sempre da un colore piuttosto tetro, grigio, sporco, e che in quegli istanti conosce una pienezza e un colore mai così vivido, mai così brillante, mai così indottrinato.
Eppure il film soffre notevolmente del fatto che Napoleone corre attraverso la storia come una palla di cannone abbattuta. Rivoluzione francese, vittorie e sconfitte, matrimonio, guerre, incoronazione: tutto questo viene riprodotto a un ritmo frenetico. Un vero senso della personalità di Napoleone non sorge mai veramente, neppure della sua anima, e la maggior parte degli elementi presumibilmente importanti vengono abbandonati ad un certo punto senza ulteriori approfondimenti.
Anche se si vuole considerare il film solo come un dipinto delle sue battaglie, offre solo una porzione limitata di momenti rilevanti. L’assedio di Tolone e le battaglie di Austerlitz e Waterloo sono tecnicamente eccezionali. Tuttavia, Scott non riesce mai a stabilire uno standard adeguato che dia alla guerra tra l’esercito francese e i suoi avversari la grandezza e la potenza necessaria. Non c’è dubbio che la sceneggiatura aiuti molto in questo viaggio, che inizia con la rivoluzione e ci porta attraverso tutta la vita dell’Imperatore consentendoci di esplorare i suoi aspetti come politico, tiranno, imperatore, amante, marito.
La sua sete di onore e potere, e il suo senso di superiorità, rappresentano il pulviscolo visivo che ha attratto Scott e lo sceneggiatore David Scarpa a mettere in scena quest’uomo e i suoi enormi paradossi. Un uomo che mentre medita sulla sua grandezza e il suo amore per Giuseppina, muore in cattività sull’isola rocciosa di Sant’Elena. Fino alla fine, si vede come il più grande francese di sempre e il salvatore dei suoi compatrioti, un uomo di guerra che risplende solo alla luce della battaglie. Forse il punto è che Napoleone Bonaparte era veramente vivo solo quando circondato da così tanta morte.
Non a caso, poco prima dei titoli di coda, Scott condivide con il pubblico i numeri di tutte le vittime che le guerre da lui vinte hanno provocato: milioni di morti. A parte la modernizzazione in Europa che ha portato avanti questo grande generale, quello che è considerato uno dei più grandi imperatori della storia in realtà era un generale temerario e spregiudicato, che è riuscito a fare grandi imprese ma che ha anche vissuto clamorose cadute.