La mostra che a giorni aprirà alla Triennale di Milano intitolata “Pittura in Italia” mi ha fatto fare un piccolo viaggio nel tempo. Anni fa avevo aperto un blog e lo avevo chiamato Pittura Italia: così, secco, inequivocabile, quasi ignorante. Pensavo di raccontare, quasi che le pagine web fossero le pareti su cui appendere i quadri, quello che da un punto di vista inevitabilmente soggettivo poteva essere lo stato dell’arte della pittura italiana degli anni Duemila. Non volevo presentare situazioni storicizzate, quella ormai è storia e i punti di vista, per quanto variabili in base al giudizio e al pregiudizio, denotano qualcosa di acquisito su cui siamo un po’ tutti d’accordo. Invece, la pittura italiana prodotta cavallo dei Novanta e Duemila era (è) qualcosa di ancora aperto, a maggior ragione se pensiamo agli artisti meno agée. Ma non direi nulla di sconvolgente se dicessi che oggi in pittura non c’è più una scuola di Piazza del Popolo e la ragione di questa assenza è secondo me la stessa che una volta ne spiegava la presenza: tu chiamalo spirito del tempo se vuoi.
La stra-citatissima fluidità è solo la conseguenza di una situazione economica, tecnologica e sociale che ha reso l’artista – almeno nella enclave dell’arte contemporanea e ancor più in quella della pittura italiana – un operatore di settore zelante con se stesso che conduce una vita fatta di relazioni, senza però che queste relazioni portino alla creazione di un senso comune del dipingere: poco male, il tempo passa e le cose cambiano, non è colpa di nessuno. Lo stesso vale per i costruttori di movimenti: una volta le condizioni sociali e culturali potevano consentire a un ABO di inventarsi la Transavanguardia ma oggi ciao còre, si parla troppo e i famosi tempi fluidi hanno messo sott’acqua le “piccole Montparnasse”. Oggi nell’arte e in pittura si parla troppo e l’ipertrofia comunicativa dei social rende stupidi, ma non “stupidi come un pittore”, per dirla con Marcel Duchamp.
Una caratteristica della pittura in Italia oggi secondo me è proprio questa, l’essere costituita da monadi isolate intente soprattutto a portare a casa la pagnotta (cioè la mostra) e un po’ meno a fare la rivoluzione. Che noia questi pittori ragionieri e che noia pure i critici, che anziché fare come Rene Ricard con Basquiat fanno i fighetta. Un’altra caratteristica è che secondo me oggi la pittura in Italia ne esclude troppi, è vero che solo uno su mille ce la fa e non è detto che sia il più bravo, ma oltre a quell’uno mi pare che ci sia almeno una decina di pittori 40/50enni di cui già adesso si può dire che avrebbero meritato di più. Una volta, neanche tanto tempo fa, c’era la filosofia italiana: oggi è sparita dai radar, in compenso ci sono tante voci clamanti. Idem per la pittura: l’Italia ha bravi pittori, ma i suddetti “stupidi” dove si sono persi? E se, come diceva Alois Riegl, ogni stile è all’altezza della sua epoca, qual è lo stile dell’epoca dell’Intelligenza Artificiale? Una pittura artificiale?
P.S. Quel mio blog chiamato Pittura Italia aveva il futuro già scritto, riassumibile nell’espressione “propositi non mantenuti” e Dante mi manderebbe all’Inferno con gli accidiosi.
Photo Credits: Gianni Politi, Insostenibile dare un titolo (Bruciare da dentro), 2020-2021, dettaglio, courtesy l’artista e Galleria Lorcan O’Neill, foto Giorgio Benni