Sono andata a trovare la scrittrice Farida Alvarez e il documentarista Michele Vicenti, autori del documentario breve ‘’Western Sahara’ s phosphate, from disputed lands to your plate’’, che esplora l’occupazione marocchina del Sahara occidentale e l’impatto ambientale e umano dell’estrazione intensiva di fosfato, risorsa chiave per l’agricoltura industriale. Il film racconta anche la resistenza del popolo saharawi attraverso la storia di Fatimatu, una rifugiata che coltiva verdura nel bel mezzo del deserto, in condizioni climatiche e politiche estreme.
Come nasce l’idea del documentario?
Farida: Nel 2022 ho fatto volontariato nei campi profughi in Algeria, insegnando inglese. L’anno dopo, raccontando l’esperienza a Michele, gli ho parlato della film school presente nei campi. Lui ne è rimasto subito colpito.
Michele: Sì, da documentarista mi sembrava incredibile trovare una scuola di cinema in quel contesto, ai confini del mondo occidentale. Poi ho iniziato a studiare orticoltura e un giorno Farida mi ha mostrato un articolo su Instagram su Growing Hope, il progetto di Fatimatou. La sua storia ci ha ispirati.
Quali difficoltà avete incontrato nel raccontare questa storia?
Farida: A livello logistico nessun problema, ma ci siamo interrogati a lungo su come bilanciare la narrazione tra il racconto umano e quello politico.
Michele: Non si trattava di inventare nulla, ma di decidere cosa e come raccontarlo in 15 minuti. Più studiavamo, più trovavamo contenuti forti e d’impatto. Per questo ora pensiamo a un documentario-lungometraggio.

Quanto è durata la ricerca?
Farida: Circa due o tre mesi, a partire da un convegno a Londra con diverse ONG. Dopo quell’incontro, abbiamo capito l’importanza di approfondire.
Michele: È stato un punto di svolta, abbiamo deciso di agire subito.
Come può una storia così localizzata ispirare azioni su scala globale?
Michele: Abbiamo raccontato i fatti senza pietismo. Fatimatou stessa descrive la situazione con forza e dignità: “ci arriva un camion d’acqua ogni tre mesi, sta sotto il sole nei contenitori di plastica”, in pratica non hanno acqua. Il messaggio potente esiste nella fattualita’ delle cose.
Farida: Il progetto si chiama Growing Hope, parla di speranza, non solo di tragedia. Abbiamo scelto di escludere immagini dal tono tragico.

Quali responsabilità ha la comunità internazionale?
Michele: Il vero problema è il sistema alimentare globale. Il fosfato è una risorsa strategica, e il Marocco ne trae enormi profitti, mentre 175.000 saharawi restano abbandonati a loro stessi. In attesa di un referendum che li renda davvero indipendenti.
Farida: È fondamentale sensibilizzare sull’origine del fosfato e sulla dipendenza che abbiamo da questa risorsa. Serve consapevolezza.
Il progetto continuerà?
Michele: Sì, Left Wild prosegue con storie di giustizia sociale e ambientale. Inoltre, vogliamo realizzare un documentario-lungometraggio e un progetto di impact filmmaking per mobilitare il pubblico.
Farida: Speriamo di andare nei campi profughi entro fine anno. Il 2025 segna i 50 anni dell’occupazione: un momento cruciale.

Come seguirvi?
Michele: Siamo su YouTube e Instagram con LeftWild. Per aggiornamenti sul documentario-lungometraggio c’è Stezzo Films, la produzione indipendente con cui stiamo lavorando. Speriamo inoltre di portare Fatimatou in Europa, magari coinvolgendo giovani agricoltori per aiutarla. È una portavoce potentissima.
Farida: Lei stessa dice chiaramente: Potete aiutarci venendo qui o inviando fondi. Il progetto ha un enorme valore umano e simbolico.
Grazie per il vostro lavoro. Speriamo di vedere presto il documentario lungometraggio e di poter contribuire alla sua realizzazione!