“RiEvolution” porta a Catania il futurismo e la street art

Catania ha un cuore futurista innestato a pochi passi da U Liotru, l’elefantino dal cuore lavico che batte da sempre al centro del corpo cittadino. Al Palazzo della Cultura è in corso (aperta fino al 7 gennaio 2024) una ipertrofica mostra sull’arte italiana del Novecento dal titolo olistico: “Ri Evolution – dal Futurismo alla Street Art”, a cura di Raffaella Bozzini e Giuseppe Stagnitta: 130 opere di 80 autori diversi e rappresentativi dell’empireo del Novecento. Ma il titolo non rispetta l’ordine cronologico del progetto espositivo, perché il Futurismo, ben rappresentato da pezzi originali provenienti dall’archivio del conte Leonardo Clerici Marinetti, discendente per via matrilineare del fondatore della prima avanguardia novecentesca, Filippo Tommaso Marinetti, è il vero cuore della mostra. Da esso diramano e irradiano le vene e le arterie, ovvero le esperienze avanguardistico-rivoluzionarie dell’arte italiana lungo più di un secolo, in una disposizione che prende vita attorno a quel cuore pulsante.

La mostra si manifesta secondo una linea non cronologica, che assegna alla sezione futurista curata da Clerici una posizione epicentrica, in cui la rassegna dei grandi innovatori rivoluzionari dell’arte novecentesca ha inizio dal centro: prima di attraversare, e dopo averlo fatto, l’antro magico, o “altare divinatorio” allestito dal conte Clerici, con i cimeli e i tesori della sua collezione familiare, oggi sotto l’egida e tutela della Fondazione Clerici Skriptura, con sede a Bruxelles e Venezia. L’esposizione è arricchita da contributi originali della collezione Bilotti, con i modelli scultorei recuperati da Marinetti sui calchi di Umberto Boccioni, che sarebbero altrimenti andati persi.

Marinetti a Catania scrisse, compose, concionò e animò la vita culturale che ribolliva sotto il vulcano, fin dal primo incontro con Giovanni Verga, nel 1909. I frammenti lirici, in forma autografa manoscritta, conservati ed esposti oggi nella sala dedicata al Palazzo della Cultura, riferiscono dei momenti catanesi del fondatore del Futurismo, tratti dal Libro del Cielo e dal Poema dell’Aria, dove l’Etna è evocato nella “grande Zeta” che traccia sulla “Marciante collina incandescente”, mentre invoca l’abbraccio con l’Africa e depreca i “pendagli dei cannoni europei”.

E poi si incontra la suggestione delle prime edizioni di Lacerba, delle stampe futuriste impresse a Milano, nella tipografia di corso Venezia, una preziosa rilegatura Vallecchi delle Fughe in prigione di Curzio Malaparte, e gagliardetti ricamati dalle donne triestine, commissionate da D’Annunzio dopo l’impresa di Fiume, con la scritta: “Cosa fatta capo ha”, in stampatello maiuscolo, e nodo gordiano tagliato a metà netta da un pugnale. Per finire con le recentissime produzioni futuriste realizzate dal conte Clerici in persona, che ha realizzato in collaborazione con un maestro vetraio veneziano un posacenere ispirato al romanzo marinettiano Venezianella e Studentaccio, scritto in Laguna: un oggetto d’arte raffinatissimo che l’autore ha chiamato “una fusione di acqua e fuoco”, assai opportunamente collocata in mostra proprio sotto l’Etna.

Exhibition View

Insomma, è perpetuando il motto marinettiano e futurista “Il passato ha sempre torto”, riproposto quale leit motiv della mostra catanese, che tale mostra va visitata. Il percorso infatti mette in moto, con la propulsione centralizzata del futurismo, una gimkana spazio-temporale dettata esclusivamente dall’arbitrio critico dei curatori, che accostano autori e opere secondo un andamento estetico intuitivo originale. È tuttavia riprodotta una ratio alternativa alla storia manualistica dell’arte, intonata alle combinazioni possibili di gusto e tendenza che trascendono le epoche e le scuole. Da De Chirico ai writer, passando per l’astrattismo e l’informale (Afro, Burri, Capogrossi, Fontana, i “ragazzi” di piazza del Popolo e altri), via lungo la Transavanguardia (i magnifici cinque lanciati al primo tiro da Achille Bonito Oliva), in una miscela di Balla, Boccioni, D’Anna, Depero, oltre al guru Marinetti, a Catania la tradizione diventa rivoluzione e la rivoluzione è immanente, permanente nella grande antologia italiana dell’arte del Novecento.

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