Lo scorso 3 dicembre, l’Italia e il mondo venivano finalmente a conoscenza del frutto delle nuove campagne di indagine che hanno interessato l’area del santuario etrusco-romano connesso all’antica vasca sacra della sorgente termale del Bagno Grande a San Casciano, in provincia di Siena (ne abbiamo parlato qui).
A distanza di un paio di settimane, passato l’iniziale clamore e l’iniziale eccitazione per le scoperte fatte che continuano, anno dopo anno, a glorificare il sito della Valdichiana senese, proviamo ad approfondire un po’ la questione, parlandone con chi ne ha seguito sin da subito, e in prima linea, la vicenda archeologica.
La Dott.ssa Ada Salvi è Responsabile dell’Area Funzionale “patrimonio archeologico” per la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo, e Funzionario Archeologo competente per il territorio di San Casciano dei Bagni. Per quanto mi riguarda, Ada è anche una collega con cui, quotidianamente, mi trovo a collaborare e di cui ho modo, costantemente, di apprezzare la sconfinata esperienza sia in campo prettamente archeologico, che in materia di gestione e tutela del patrimonio culturale.
Ada le scoperte presentate martedì scorso a San Casciano si pongono sulla scia di quelle degli anni passati, che hanno fatto parlare di loro in tutto il mondo. Dal tuo punto di vista, queste nuove scoperte cosa aggiungono di nuovo e ulteriore al quadro delineato in precedenza? In che modo si arricchisce e si completa il patrimonio di conoscenze legato al santuario di San Casciano?
L’estensione degli scavi al santuario del Bagno Grande ha portato al rinvenimento del temenos, il muro che delimitava lo spazio sacro e il tempio costruito attorno alla grande vasca sacra. L’approfondimento dello scavo all’esterno della vasca ha messo in luce quello che resta di una struttura più antica, quadrangolare, risalente al III sec. a.C. che attesta la fase antecedente a quella monumentale costruita sotto il regno di Tiberio e di Claudio. Nelle complesse stratigrafie esterne alla vasca sono stati riportati in luce e scavati i livelli di vita con deposizioni di lucerne, unguentari di vetro, bronzetti votivi, ex-voto anatomici in terracotta dipinta e vasetti miniaturistici, oltre a centinaia di ossa di animali, testimoni dei complessi episodi rituali che avvenivano all’interno dello spazio sacro; sono stati individuate una varietà di specie tra cui maiali, polli, buoi, tantissimi daini, anche in contesti stratigrafici correlati a focolari, quindi ad episodi di arrostimento per pasti rituali, o a offerte, come all’interno di un piccolo pozzo a sud dell’ingresso al santuario, ma anche ossa con tracce di macellazione e lavorazione come un elemento per mobile ricavato da un osso di bue.
All’interno del deposito votivo nella vasca sacra, protetti da acqua termale e fango, sono emersi nuovi reperti eccezionali: quattro nuove statue, arti e teste votive oltre a strumenti rituali, gioielli, monete e iscrizioni in etrusco e latino, e centinaia di monete di età repubblicana ed imperiale. Quest’anno sono stati rinvenuti anche diversi oggetti d’oro, tra cui alcuni aurei (negli anni passati erano pochissimi), una corona e un anello. Le nuove, eccezionali iscrizioni in etrusco e in latino menzionano per la prima volta a San Casciano il nome etrusco di Chiusi, Cleusi, accanto a dediche alle Ninfe e alla Fonte calda, Flere Havens in etrusco, giuramenti sulla Fortuna e sul Genio dell’Imperatore.
Tra i reperti più particolari è un corpo nudo maschile raffigurato a metà, dedicato da un Gaio Roscio alla Fonte Calda, a testimoniare forse la guarigione della parte raffigurata in bronzo. Un piccolo sacerdote bambino databile alla fine del II secolo a.C., con una lunga iscrizione in etrusco sulla gamba destra, reca in mano una palla con i classici pentagoni cuciti, che ancora ruota tra le dita; una statua femminile di offerente con eleganti trecce che ricadono sul petto è quasi identica a quella rinvenuta nel 2022, forse realizzata dalle medesime mani.
Scendendo sempre più in profondità nel cuore della vasca, in quelli che sembravano essere gli ultimi livelli del deposito ma che invece si stanno rivelando più profondi e articolati del previsto, è apparso un reperto fragilissimo ma al contempo di estrema rilevanza storica e archeologica: si tratta di una tavoletta in bronzo con una lunga iscrizione in latino al centro della quale è la raffigurazione di due mani che si stringono, la dextrarum iunctio simbolo del patto matrimoniale, il gesto compiuto dagli sposi nel mondo romano al momento del matrimonio.
Ancora più giù la sorpresa di trovare un gruppo di ben sette serpenti in bronzo di differenti forme e dimensioni, dai piccoli serpentelli sinuosi con pochi dettagli a oggetti più grandi nei quali sono riconoscibili, già nella fase pre-restauro, gli occhi e i particolari della testa e delle squame.
Anche in questo caso è forte il richiamo ad alcuni dei rinvenimenti degli anni precedenti, prima fra tutte la statua turrita con dedica in etrusco alla fonte calda, che tiene un serpente spezzato il cui frammento mancante potrebbe essere riconosciuto in uno di quelli individuati quest’anno.
I serpenti, legati nella tradizione iconografica alla figura di Esculapio, dio della medicina, erano ritenuti avere poteri curativi e venivano tenuti nei santuari come creature sacre e utilizzati, come le lucertole, nelle pratiche di guarigione (pelle, piaghe, ulcere ed erano considerati mezzi di purificazione anche per guarire dalle malattie mentali). Erano ritenuti simbolo di fertilità, rinascita e rinnovamento per la loro capacità di mutare pelle e in questa accezione, legata alla rinascita, erano spesso associati alle uova e alle pigne, anche queste simbolo di buon auspicio, salute e fecondità, e rimandano a quei rituali di rinascita e rinnovamento già intuiti ad esempio grazie alla presenza di offerte raffiguranti bambini incappucciati con sembianze da vecchio, nei quali si possono ipoteticamente riconoscere iniziati travestiti durante riti di transizione, rigenerazione e passaggio.
Tra questi sicuramente l’elemento più straordinario è il grande serpente di quasi 90 cm crestato e barbato, con il corpo ricoperto da squame, che richiama ancora le pitture collegate al mondo ctonio e degli inferi etrusco (ad esempio la Tomba della Quadriga Infernale a Sarteano), ma soprattutto è confrontabile con alcune rappresentazioni a Pompei, dove serpenti agatodemoni – dal greco agatos e daimon, demoni buoni, simbolo di prosperità e buon auspicio – sono associati nelle botteghe e nei larari domestici alle divinità protettrici della casa e raffigurati insieme a uova e a pigne, esattamente come troviamo – questa volta fisicamente documentati – serpenti, uova e pigne nella vasca di Bagno Grande: il serpente come Genius Loci rivestiva dunque, probabilmente il ruolo di protettore della sorgente e aveva anche un ruolo fondamentale nelle pratiche di divinazione.
Sei la Funzionaria competente per il territorio di San Casciano, e sei – chiaramente – anche e soprattutto un’archeologa. Personalmente, che cosa suscita in te San Casciano? Quali sono gli aspetti che maggiormente colpiscono e stupiscono l’Ada Salvi archeologa di questo posto così unico e dei tesori che sta restituendo?
È un continuo e profondo senso di meraviglia e anche di rispetto per la stratificazione di storie, credenze e vite che questo luogo continua a rivelare, affondando in alcuni tra gli aspetti più intimi del nostro essere umani: la salute e la spiritualità.
Ogni reperto emerso, ogni frammento di iscrizione, ogni statua o offerta votiva racconta non solo la devozione delle genti che vi si recavano, ma anche un rapporto diretto, quasi palpabile, tra l’umano e il divino, tra la natura e il sacro. Il santuario di Bagno Grande appare un crocevia di culture, pratiche e spiritualità che si intrecciano attraverso i secoli: la persistenza della funzione sacra, dall’epoca etrusca fino al periodo romano, ci permette di osservare la trasformazione e l’adattamento dei culti, rivelando quanto profondamente il luogo fosse radicato nel paesaggio culturale e spirituale delle popolazioni.
Uno degli aspetti che non cessa di stupire è lo stato di conservazione dei reperti, non solo metallici, che presentano a volte un aspetto quasi “nuovo”, come se fossero stati fabbricati ieri, ma anche di quelli organici, come le uova integre con il tuorlo ancora all’interno o una ciocca di capelli, cosa che nei nostri territori accade solo eccezionalmente e raramente: avere questa quantità di dati tutti insieme e poterli affrontare con le metodologie di ricerca più avanzate ci mette di fronte anche alla grande responsabilità di non dispendere e non sprecare la eccezionale possibilità di ottenere informazioni altrimenti inaccessibili.
Il santuario rappresenta inoltre un luogo di eccezionale interesse per capire il rapporto tra individuo, comunità e dimensione spirituale: ad esempio il serpente agatodemone in bronzo, le varie offerte in metallo pregiato, le rappresentazioni di bambini invecchiati portano con sé significati complessi, legati alla guarigione, alla rigenerazione e alla divinazione. La sfida dell’archeologo non è solo “trovare” ma soprattutto capire quello che si è trovato: in questo l’equipe di studiosi che si occupano dei vari aspetti della vasca sacra, messa in piedi e coordinata da Jacopo Tabolli, rappresenta una dimensione eccezionale di confronto con le professionalità più diverse e anche di apprendimento. Per me rappresenta anche un grande sollievo e aiuto nella gestione dei complessi aspetti di tutela che sono chiamata ad adempiere.
Un altro aspetto eccezionale è quello di poter intravedere, soprattutto attraverso le iscrizioni che ne recano i nomi, le vite di personaggi specifici, e in questo senso abbiamo in serbo una sorpresa che ci auguriamo possa essere rivelata durante il secondo convegno dedicato a Bagno Grande, che si terrà a Siena presso l’Università per Stranieri il 29 e 30 gennaio prossimi.
Nella conferenza stampa di presentazione degli scavi, tutte le autorità intervenute hanno fatto riferimento all’importanza che il sodalizio e la comunione di intenti tra tutte le anime della cultura e della gestione del territorio stanno avendo nelle attività di indagine, tutela e valorizzazione del santuario e io credo che questo sia un tema assolutamente centrale che deciderà – in un certo senso – anche il presente e il futuro di San Casciano. Qual è la tua opinione in merito?
La collaborazione tra istituzioni, comunità e professionisti è un elemento fondamentale per il successo di qualsiasi iniziativa dedicata alla valorizzazione culturale e territoriale. Nel caso del santuario di San Casciano, sembra emergere un esempio virtuoso di questa sinergia. La complessità dello scavo e della ricerca, che presentano caratteri di unicità al di là dell’aspetto più visibile legato alla rappresentazione che ne hanno dato i media, porta con sé un interessante intreccio di sfide e opportunità, poiché coinvolge aspetti di tutela, conservazione, valorizzazione e ricerca in un contesto che richiede approcci interdisciplinari e lungimiranti.
Fino ad ora questo approccio integrato, che vede non solo Università, Soprintendenza e Comune ma anche istituti di ricerca, l’Istituto Centrale di Restauro del MIC e altre istituzioni, collaborare ai vari aspetti che determinano l’unicità del contesto e che sono talvolta anche molto complessi, ha prodotto risultati notevoli che si sono concretizzati nell’acquisto da parte del Ministero di due edifici dove verranno ospitati il Museo e gli uffici amministrativi, e da parte dell’Università di un Hub di ricerca, oltre alla prevista acquisizione (sono in corso le trattative) dei terreni interessati dalle strutture archeologiche per la creazione di un grande parco archeologico termale.
Tuttavia, è importante che questa sinergia si mantenga nel tempo per evitare che eventuali conflitti ostacolino i risultati, nella consapevolezza che un’occasione così unica non possa assolutamente andare sprecata.
Certamente stupiscono in qualche caso le sollecitazioni per ottenere tutto questo in brevissimo tempo, perché tutti noi sappiamo bene la situazione di sofferenza in cui si trova il personale del Ministero che tutela e gestisce il Patrimonio culturale, che unitamente alla complessità di gestione dei lavori pubblici nel nostro Paese, fanno sì che le tempistiche talvolta comunicate e i desiderata di varia natura assumano caratteristiche poco realistiche, e che a mio parere mal si conciliano con la necessità non solo di fare, ma di fare bene: abbiamo di fronte un’occasione che dobbiamo saper sfruttare anche prendendoci il tempo necessario per capire cosa vogliamo realizzare e come vogliamo realizzarlo.
Quello che è certo è che siamo tutti al lavoro per completare quanto progettato, e che una volta che Museo e Parco saranno operativi potremo veramente dire di aver cambiato il volto e la storia di un piccolo centro: San Casciano potrebbe diventare un esempio anche per altri territori, dimostrando come il dialogo e la partecipazione collettiva siano essenziali per preservare il patrimonio storico e trasformarlo in una risorsa per il presente e il futuro.