Speciale Artisti Biennale 2024 (pt. 12)

Continua la nostra indagine sugli artisti invitati alla Biennale Arte di Venezia. Un totale di 332 artisti, provenienti da tutti i paesi del mondo e di tutte le generazioni. Le prime undici puntate sono state pubblicate qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 1)qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 2), qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 3) qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 4) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 5) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 6) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 7) qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 8)qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 9) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 10) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt.11). Di seguito, ecco la dodicesima puntata. Per raccontarvi ogni artista in poche righe, con un’opera rappresentativa della sua ricerca.

Fred Kuwornu, Bologna, Italia, 1971. Vive a New York City, USA

Fred Kuwornu

Regista, produttore cinematografico e attivista italiano di origine italo-ghanese che incarna l’essenza dell’artista impegnato, creando attraverso la sua arte strumenti di provocazione e promozione del cambiamento sociale per incentivare una visione maggiormente inclusiva ed equa della società italiana e del mondo. Attitudine riconducibile alla sua formazione universitaria nell’ambito delle scienze politiche, che ha nutrito le riflessione di Kuwornu sulle vicende e le condizioni degli afrodiscendenti all’interno delle società occidentali. Le sue opere, spesso connotate da una profonda esplorazione della diaspora africana e delle questioni di identità e appartenenza, hanno ricevuto ampi consensi critici e sono state esposte in importanti gallerie e musei in tutto il mondo.

Fred Kuwornu Blaxploinitalia

Il film realizzato dall’artista per questa Biennale, We Were Here (2024), nutre il dibattito sulle discriminazioni subite dalle persone di colore narrando ed interrogando la storia dell’arte e le rappresentazione dei neri africani nella cultura visuale europea dal Rinascimento ai giorni odierni. Attraverso l’esecuzione in prima persona della voce narrante crea una connessione empatica con il fruitore, il quale è costretto a confrontarsi apertamente con l’autore. Il contributo di Fred Kuwornu è stato riconosciuto e celebrato da numerose istituzioni, che hanno contribuito alla crescita del creativo considerato un esponente di spicco del contemporaneo degno di collaborare con i grandi nomi del cinema. Con le sue narrazioni visive continua a ispirare e a sfidare, dimostrando la forza del potere trasformativo dell’arte, intesa come veicolo culturale e mezzo per progredire verso la giustizia sociale.

Grace Salome Abra Kwami, Worawora, Ghana, 1923–2006

Grace Salome Abra Kwami

È stata una pioniera dell’arte ghanese nota per il profondo impegno nella promozione dell’arte e della cultura del suo Paese e nella conservazione del patrimonio artistico africano. Dopo essersi dedicata all’insegnamento, Kwami inizia i suoi studi artistici presso la School of Art and Craft di Achimota solamente nel 1951, primo passo di una lunga e florida carriera che la consacrerà nel panorama artistico africano ed internazionale.

Grace Salome Abra Kwami Mallam 1954

La sua produzione artistica si distingue grazie ad un’attenta esplorazione delle tematiche legate alla storia, alla cultura e all’identità africana. Con le sue opere, Grace Salome Kwami ha cercato di narrare e omaggiare le tradizioni, le usanze e le eredità culturali del Ghana rappresentate attraverso i colori, i costumi tipici e le espressioni fiere dei soggetti ritratti.
L’artista ha partecipato a numerose mostre e esposizioni in tutto il mondo, esportando l’arte ghanese ad un pubblico globale e contribuendo così a rompere gli stereotipi e le rappresentazioni negative dell’Africa. La sua eredità artistica e culturale continua a vivere tramite le sue opere, che sono attualmente esposte in importanti collezioni e musei in tutto il mondo.

Lai Foong Moi, Negeri Sembilan, Malaysia, 1931–1995, Singapore

Lai Foong Moi Pensieri diversi

È stata una figura iconica, riconosciuta come la prima donna originaria della Malesia a tenere una mostra personale a Singapore. Il vissuto personale di Lai Foong Moi è inseparabile dalla sua estetica e dalle riflessioni portate avanti nella sua ricerca artistica, che esplora i concetti di nazione e identità in una Malesia influenzata e segnata dalla guerra e dal periodo post-coloniale.

Lai Foong Moi Labourer Lunch Break 1965

Presente alla Biennale di Venezia con “Labourer (Lunch Break)” (1965), un ritratto introspettivo ed enigmatico, che cattura lo sguardo del fruitore immobilizzato sulla figura posta al centro della composizione, raffigurata in un momento di contemplazione mentre guarda oltre i confini della cornice. L’opera ha un’impronta sociale in quanto eleva il soggetto, un bracciante agricolo, dandogli un aspetto riflessivo e profondo, ma allo stesso tempo riconoscibile tramite la camicia blu, segno distintivo dei lavoratori migranti cinesi, chiamati “coolie”, che a partire dal XIX secolo si sono recati in Malesia per svolgere lavori “umili”.
Considerata una delle artiste malesi più influenti di tutti i tempi, con la sua presenza nel panorama artistico nazionale ed internazionale ha permesso al mondo di conoscere la cultura e la storia della propria nazione, troppo spesso ignorate dalla comunità artistica internazionale.

Wifredo Lam, Sagua la Grande, Cuba, 1902–1982, Parigi, Francia

Wifredo Lam

È stato un artista visionario attratto dall’estetica dei movimenti pittorici afrocubani la cui opera ha esercitato enorme influenza sul mondo dell’arte contemporanea. Wilfredo Lam  ha trascorso lunghi periodi della sua vita a Madrid, Parigi ed infine ad Albissola Marina, dove ha prodotto un corpus di opere in ceramica. L’esoterismo è centrale nel suo universo visuale, profondamente influenzato dalla santeria afrocubana, dalle cerimonie e dai rituali.

Wifredo Lam The Jungle

Negli anni tra il 1941 e il 1952, diventa un osservatore attento degli altari domestici cubani a cui dedica oltre cento opere legate alle pratiche spirituali del suo popolo. Troviamo come tema ricorrente nella sua produzione la “femme cheval” (donna dalla testa di cavallo), una figura femminile posseduta da un “orisha” (entità soprannaturale della religione dell’Africa occidentale) considerata uno spirito anticolonialista.
Lam ha creato un linguaggio artistico unico e riconoscibile, attraverso la sua straordinaria abilità nel fondere elementi stilistici della tradizione cubana con le influenze dell’arte moderna europea e africana, unendo forme organiche a simboli enigmatici. Le sue opere sono esposte in alcuni dei più prestigiosi musei e collezioni del mondo, e il suo contributo all’arte contemporanea continua ad essere celebrato e studiato da critici, storici dell’arte e appassionati.

Judith Lauand, Araraquara, Brasile, 1922–2022, São Paulo, Brasile

Judith Lauand

Figura iconica del mondo dell’arte contemporanea brasiliana, la sua straordinaria carriera artistica ha attraversato più di sette decenni, durante i quali ha lasciato un’impronta indelebile nel panorama artistico nazionale e internazionale. Figlia di immigrati libanesi, trascorre l’infanzia e la fanciullezza ad Araraquara, centro urbano molto importante a livello economico situato nei pressi di San Paolo. Lauand abbandona presto lo stile figurativo e accademico per dedicarsi ad una variegata sperimentazione di cui “Acervo 290, concreto 18”, opera scelta per la Biennale, rappresenta solamente gli inizi. Il rapporto tra forma e colore è al centro della riflessione dell’artista che sviluppa complesse strutture a partire da figure semplici, oppure crea nuovi poligoni e forme organiche, generando ritmo e dinamismo sulla tela.

Judith Lauand Acervo 290 concreto 18

Le figure geometriche del triangolo e del rombo sono soggetti ricorrenti nella suo lavoro intorno alle quali nascono composizioni movimentate ed eleganti, rafforzate dall’uso del colore e del contrasto.
La sua ricerca artistica ha spesso esplorato le possibilità della composizione e dell’illusione ottica, creando opere che invitano lo spettatore a riflettere sulla natura della percezione visiva e della realtà.
Judith Lauand ha partecipato ad eventi artistici di rilievo guadagnandosi uno status di rilievo nell’arte brasiliana del XX secolo, e un posto d’onore nelle collezioni di importanti musei e gallerie internazionali. Tuttora, la sua ricerca dell’armonia tra forma, colore e movimento rimane una fonte di ispirazione per coloro che cercano di spingersi oltre i confini dell’espressione artistica e della creatività visiva.

Maggie Laubser, Bloublommetjieskloof, Sudafrica, 1886–1973, Strand, Sudafrica

Maggie Laubser

È stata una pioniera dell’arte modernista sudafricana, vissuta in un periodo di grande cambiamento sociale e politico per il Paese, che ne ha influenzato la produzione spingendola a sviluppare una profonda connessione con la terra, la gente e la cultura  sudafricana. Laubser è conosciuta per il suo stile distintivo e per la sua abilità nel catturare l’essenza della vita rurale sudafricana tramite il mezzo pittorico. I suoi dipinti sono caratterizzati da tinte brillanti, forme audaci e da una sensibilità unica verso il paesaggio.

Maggie Laubser Portrait of a Woman wearing a Sari against a Floral Background


In questa edizione della Biennale, sarà possibile ammirare l’opera “Meidjie”, forse il ritratto di una giovane che abita nella fattoria della famiglia dell’artista o nelle sue vicinanze, dove ha a lungo risieduto a causa delle difficoltà economiche sperimentate dopo la morte del suo mecenate. Nella sua pittura emerge un senso di empatia e stima nei confronti delle persone che la circondavano, con le quali aveva instaurato una relazione intima a causa degli anni trascorsi nell’ambiente rurale, isolata dal centro urbano di Città del Capo. Il rispetto dimostrato dalla pittrice nei confronti della gente umile trasmette la portata intellettuale e progressista di una donna e un’artista dalla grande sensibilità capace di mettere in luce gli aspetti più semplici ed ignorati della società sudafricana.
Maggie Laubser è universalmente apprezzata dalla critica d’arte, presente in diverse mostre e collezioni pubbliche e private a livello internazionale che hanno riconosciuto la portata culturale del suo lavoro.

Simon Lekgetho, Schoemansville, Sudafrica, 1929–1985, Ga-Rankuwa, Sudafrica

Simon Lekgetho

Artista sudafricano la cui opera ha rappresentato un importante contributo all’arte del paese durante un periodo di grande trasformazione e lotta per i diritti civili. Lekgetho è noto per i suoi sforzi nel dare voce alle esperienze e alle lotte della comunità nera sudafricana tramite la sua arte. Con le sue opere comunica la complessità delle questioni sociali, politiche e culturali, offrendo uno scorcio sulla quotidianità vissuta dai sudafricani neri durante l’apartheid. Conosciuto come una figura centrale nel panorama artistico sudafricano del XX secolo, nonostante la sua breve vita il pittore è stato anche un mentore per le generazioni successive di artisti, grazie alla capacità di ispirare e incoraggiare i giovani ad esplorare la propria identità tramite l’arte.

Simon Lekgetho Bones and Calabash


Sebbene sia famoso per le sue nature morte e i ritratti, il pittore non ha mai ricevuto una vera e propria formazione artistica. Le sue tele rilevano un’esplorazione del colore, dell’ombra e della forma dettate dalla geometria, strumento attraverso il quale appesantisce lo sguardo dei soggetti severamente rivolti allo spettatore. Lineamenti forti e tratti sicuri rafforzati dalla pittura sono le caratteristiche tipiche della sua produzione di ritratti, altresì connotata da un’incredibile maestria nell’uso del colore sorprendente per autodidatta.

Celia Leyton Vidal, Santiago, Cile, 1895—1975

Celia Leyton Vidal<strong><strong> foto di Cecilia Rosa Lafquen

Pittrice, muralista, educatrice, scrittrice e direttrice artistica cilena, nonché figura centrale nella storia dell’arte femminile degli anni Trenta, la sua vicinanza al popolo mapuche e la sua sensibilità nei confronti della critica sociale le valsero il riconoscimento della comunità in cui ha trascorso venticinque anni della sua vita.
Celia Leyton Vidal, è stata una figura eccezionale nel panorama culturale cileno del XX secolo. Dotata di una mente brillante e una passione sconfinata per l’arte, riflette nelle sue opere una grande comprensione della società e della cultura cilena, concentrandosi sui concetti di identità, storia e politica. Con le sue opere, Leyton è diventata un’icona che ha contribuito significativamente alla cultura visuale e letteraria cilena, pubblicando saggi e racconti che hanno conquistato la critica.

Celia Leyton Vidal<strong> <strong>Presencia 1540 elaustral librocelia

L’artista ha esercitato un’influenza duratura sul panorama nazionale, contribuendo alla crescita culturale e artistica del Paese a cui ha lasciato un’enorme eredità intellettuale. La sua vita è stata un costante impegno per promuovere la cultura e la consapevolezza sociale, attraverso arte e  attivismo. Ciò nonostante è stata emarginata dalla storiografia artistica, essendo scarsamente rappresentata nei musei.

Celia Leyton Vidal<strong><strong> Autoritratto


L’opera selezionata per la Biennale è un complesso autoritratto, dove la figura della pittrice si unisce ad un’intricata rete di segni e simboli della cultura mapuche che in un certo senso la separano dalla propria identità soggettiva per assumere un ruolo collettivo. Difatti, si ritrae indossando il trarilonko (fascia per capelli d’argento), alcuni chaway (orecchini), una trapelakucha (pettorale d’argento) e una trariwe (fusciacca intrecciata), elementi che sintetizzano le caratteristiche dei costumi tradizionali cileni.

Lim Mu Hue, Singapore, 1936–2008

Lim Mu Hue Autoritratto

È stato uno dei maggiori maestri della xilografia di Singapore, produzione a stampa a cui si aggiunge un ‘erudita attività come pittore che comprende dipinti realizzati con varie tecniche artistiche, a volte con inserti scultorei. Esposto in Biennale è possibile ammirare un suo piccolo autoritratto, appartenente al periodo giovanile, capace di restituire il carattere e l’ambizione dell’artista, ma anche le sue ansie e insicurezze legate alla sfida rappresentata dalla costruzione della nazione di Singapore. L’opera è stata scelta nel 1970 come copertina della sua prima mostra personale tenutasi presso la Camera di Commercio Cinese. Nel dipinto, Lim appare seduto nel suo studio circondato da tele astratte dai colori brillanti, mentre osserva il fruitore con un occhio solo attraverso l’ironico espediente degli occhiali rotti, indossati per offrire al fruitore i riflessi delle opere presenti nell’ambiente circostante. A confronto con un precedente autoritratto, datato 1955, “Self Expression” (1957-1963 circa) è un’affermazione di maturità e sicurezza che esalta la fusione degli stili modernisti occidentali pur mantenendo un approccio estremamente realista rispetto alla condizione di Singapore.

Lim Mu Hue A Piece of Ice Clear Heart

La sua straordinaria carriera artistica lo ha visto esporre in rinomate istituzioni nazionali e internazionali, tra cui il Singapore Art Museum, la National Gallery Singapore e la Biennale di Venezia. Le sue opere, acclamate dalla critica, hanno contribuito a definire l’ambiente artistico della nazione d’origine, esplorando temi come l’identità culturale e il cambiamento urbano.

Lim Mu Hue ha ricevuto numerosi riconoscimenti per il suo lavoro, inclusi il Premio Nazionale per le Arti di Singapore, e ha svolto un ruolo attivo nella promozione dell’arte e della cultura attraverso workshop, conferenze e programmi educativi. Oltre alla sua pratica artistica, ha condiviso le sue conoscenze e la sua passione come educatore, lasciando un’impronta duratura sulla scena artistica nazionale.

Romualdo Locatelli, Bergamo, Italia, 1905–1943, Manila, Filippine

Romualdo Locatelli

Artista bergamasco cresciuto nella bottega di famiglia, completa la sua formazione all’Accademia di Carrara, rivolgendo poi lo sguardo all’isola di Bali che sarà centrale nella sua produzione. Come dimostra l’opera “Legong Dancer” (1939), realizzata proprio durante il soggiorno in Indonesia, raffigurante il movimento sinuoso di una giovane ballerina che tiene in mano un ventaglio. Le pennellate intense e le attente lumeggiature richiamano la musicalità della danza Legong, mentre il soggetto viene interrotto dal taglio fotografico scelto per il dipinto. Il Legong è un genere di danza tradizionale balinese tipico del XIX secolo, originariamente associata agli ambienti reali e solo in seguito divenuta parte integrante della dimensione rurale del villaggio e delle cerimonie religiose.

Romualdo Locatelli Danzatrice Barong

Le danzatrici bambine e le giovani fanciulle sono figure ricorrenti nella produzione di Locatelli intorno agli anni Quaranta (Danzatrice Barong; Danzatrice giavanese; Giovane balinese), raffigurate in scenari sospesi ed esotici che inevitabilmente richiamano l’esperienza di Gauguin a Tahiti.

L’instabilità dovuta alla Seconda Guerra Mondiale spinge Romualdo a spostarsi da Bali a Manila, nelle Filippine, dove il pittore diverrà maggiormente conosciuto nell’ambito della pittura orientale nota come “Mooi Indie”. Nel Paese stringe numerose frequentazioni negli ambienti diplomatici, rapporti che gli consentiranno di esporre a New York nel 1941, presso la Douthitt Gallery. Le opere di Romualdo Locatelli si trovano in collezioni pubbliche e private di tutto il mondo, soprattutto in Oriente dove forse ha prodotto le sue opere migliori.

Bertina Lopes, Maputo, Mozambique, 1924–2012, Roma, Italia

Bertina Lopes

Rinomata pittrice e illustratrice che ha lasciato un segno nel panorama artistico internazionale. Durante la sua prolifica attività, ha partecipato a mostre collettive e personali in numerose prestigiose gallerie ed istituzioni culturali internazionali, in particolare a Roma, città dove ha trascorso gli ultimi anni della sua esistenza. I dipinti di Lopes, sono riconoscibili per la particolare fusione di stili e tecniche uniche, oltre che per la personale interpretazione dei temi dell’identità, della storia e della cultura africana. Caratteristiche che le hanno garantito il rispetto e l’apprezzamento della critica d’arte e del pubblico.
Bertina Lopes ha realizzato uno straordinario complesso di opere connesse all’attivismo politico e alla critica sociale. Elementi formali riconducibili alla cultura artistica europea e al patrimonio visuale del continente africano si incontrano sulla tela dell’artista, che esprime il suo bisogno di libertà e affermazione personale in risposta alla situazione repressiva del proprio Mozambique.

<strong>Bertina Lopes <em>Acrobacia 2<em> Stunt 2<strong>


Nelle sue opere è chiaramente riconoscibile l’influenza cubista che si esprime in composizioni presentanti diverse prospettive e volumi disposti sullo stesso piano. Immaginario di riferimento che sceglie di modificare attraverso l’aggiunta di maschere e totem posti a generare forme evocative che richiamano la dimensione della danza con audaci pennellate. Nelle opere di Lopes, è possibile trovare paglia, piume e tessuti colorati incorporati nella tela. I suoi Totem restituiscono le cerimonie Nyau e alle danze Tufo, tradizioni locali del Mozambico, oggetto di sprezzo durante il periodo coloniale. Nella sua ricerca si riflette la sensazione di essere straniera in Italia e, allo stesso tempo, il forte rapporto con la sua eredità mozambicana. Parallelamente all’attività artistica, Lopes ha ricoperto un ruolo fondamentale nella promozione della consapevolezza culturale e nell’educazione artistica, costituendo un esempio per gli artisti connazionali.

Amadeo Luciano Lorenzato, Belo Horizonte, Brasile, 1900–1995

Amedeo Luciano Lorenzato

Artista brasilinao nato da genitori italiani immigrati in Brasile nella città di Belo Horizonte, uno dei primi centri urbani brasiliani costruito con uno sviluppo pianificato. Quasi di contrasto, Lorenzato si rivolge spesso alle forze vitali della natura che gli offrono spunti formali chiarimenti ricollegabili alla tradizione pittorica post impressionista europea, per esempio a Matisse. Come possiamo evincere da Araucàrias (1973), dove le linee rigidamente dettate dagli alberi proiettano ombre al limite dell’astrazione lungo un tracciato accidentato e terroso posto nella parte inferiore della composizione. Sono conifere sempreverdi tipiche del Brasile meridionale, adoperate nella costruzione delle dimore dei coloni durante il periodo dell’immigrazione europea nell’Ottocento. Questi alberi, dominanti nell’iconografia artigianale brasiliana di inizio Novecento erano considerati simboli del gusto europeo. L’artista usufruisce di questo simbolo evocativo come strumento di narrazione dei racconti di immigrazione e diaspora legate alla storia brasiliana. Il dipinto fa parte di una selezione di opere in cui il pittore raffigura numerose piante brasiliane di rilevanza storica.

Amadeo Luciano Lorenzato Pôr do Sol

Pittore in gran parte autodidatta, Lorenzato ha basato gran parte della sua produzione sulle osservazioni dei soggetti quotidiani che incontrava nella sua città natale, raffigurando paesaggi, nature morte e scene del suo quartiere. Allo scopo, di tradurre il proprio ambiente attraverso uno sguardo ridotto all’essenziale, alle geometrie, ma arricchito da pigmenti saturi, composti a mano, e da pennellate definite.

Alla fine degli anni Venti, l’artista torna in Italia con la famiglia, più precisamente ad Asti, città dove lavora come pittore murale. Nel 1925, inizia a frequentare l’Accademia delle Arti di Vicenza, ma desideroso di visitare altri stati europei abbandona presto gli studi per intraprendere un moderno grand tour. Viaggio che ebbe un impatto importante sul suo stile, non solo perché gli permise di assorbire la cultura e l’arte europee, ma anche perché gli consentì di conoscere meglio la storia della pittura.

Anita Magsaysay-Ho, Zambales, Filippine, 1914–2012, Manila, Filippine

Anita Magsaysay Ho

È stata una pittrice conosciuta per le sue nobilitanti scene di lavoratrici filippine che l’hanno resa centrale nella storia del modernismo del Sud-Est asiatico. L’etica del lavoro si riflette anche nel suo Autoritratto (1944), dove si ritrae all’opera con il cavalletto vicino e gli strumenti del mestiere pronti all’uso. Persino lo straccio bianco che tiene in mano, sporco di nero, sembra fornire una rappresentazione della pittura strettamente collegata a questione pratiche, materiali, potremmo dire artigianali. Questo ritratto autoriflessivo appare profondamente legato all’identità filippina dell’artista e alla devozione dimostrata nel ritrarre altri soggetti al pari di se stessa.

Il suo stile pittorico materico, costruito su pennellate spalmate, trascinate e spesso colmo di colore donano una certa consistenza alla forma. Magsaysay-Ho è stata una delle “Tredici Moderne”, un gruppo di pionieri modernisti filippini negli anni ’50 che hanno sfidato le convenzioni artistiche tradizionali e abbracciato nuovi stili e tecniche.

Anita Magsaysay Ho Woman With Birds of Paradise

Ha studiato presso la Scuola di Belle Arti dell’Università delle Filippine sotto la guida di noti artisti filippini come Fernando Amorsolo e Guillermo Tolentino. In seguito, ha proseguito gli studi presso la Cranbrook Academy of Art nel Michigan, USA.
Nel corso della sua carriera, Magsaysay-Ho ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti per il suo contributo all’arte filippina, tra cui il Republic Cultural Heritage Award nel 1963 e la Presidential Medal of Merit nel 2009. I suoi dipinti sono preziosi per collezionisti e appassionati d’arte sia nelle Filippine che all’estero, consolidando il suo status di figura fondamentale nella storia dell’arte moderna filippina.

MAHKU (Movimento dos Artistas Huni Kuin), territorio indigeno Kaxinawá (Huni Kuin), Acre, Brasile, 2013

MAHKU Movimento dos Artistas Huni Kuin<br><br>

MAHKU, movimento degli artisti Huni Kuin che esordisce formalmente nel 2013 confermandosi come una vera corrente a seguito di alcuni workshop universitari incentrati sul disegno e tenuti nella regione brasiliana dell’alto Rio Jordão, vicino al confine con il Perù.
Se dovessimo scegliere un’opera manifesto per MAHKU, la scelta ricadrebbe sulla pittura murale realizzata per la facciata del Padiglione Centrale del Paese, che raffigura la storia di kapewë pukeni (il ponte-alligatore). Leggenda che narra l’attraversamento del confine tra il continente asiatico e quello americano attraverso lo stretto di Bering: alcuni uomini trovarono un alligatore che si offrì di traghettare loro sulla schiena in cambio di cibo.

MAHKU Movimento dos Artistas Huni Kuin Mythology of the Brazilian Amazon

Collaborazione uomo-animale che si interrompe per la fretta degli esseri umani che di fronte alla scarsità degli animali disponibili decidono di catturare un piccolo di alligatore da addestrare, tradendo così la fiducia del primo compagno di viaggio che si inabissò scomparendo nel mare. Secondo la mitologia brasiliana da questa scelta deriva la separazione dei popoli in luoghi diversi. Il mito evidenzia come gli artisti di questo collettivo agiscano da ponte tra contesti e territori lontani, collegando gli aspetti visibili della loro ricerca alla forma invisibile delle loro visioni, tramite la traduzione delle pratiche tradizionali indigene nei parametri e nelle convenzioni dettate dal panorama artistico internazionale.

Esther Mahlangu, Middelburg, Sudafrica, 1935, vive a Mpumalanga, Sudafrica

Esther Mahlangu

A soli ottantotto anni, l’artista Esther Mahlangu supera in età la vita democratica del suo Paese, la Repubblica del Sudafrica, portando con sè l’esperienza dell’apartheid e della sua dissoluzione. Divenuta simbolo di resilienza della cultura ndebele, che non manca mai di celebrare e preservare, l’artista usufruisce delle tecniche della tradizione per realizzare dipinti sugli edifici, su superfici nuove, e più spesso tele. Mahlangu dipinge attraverso l’usanza ndebele appresa dalla madre e dalla nonna fin dall’infanzia, ossia creando ogni dettaglio a mano libera, senza usufruire di righelli o bozzetti preparatori con il solo ausilio di un pennello di piume di galline e prediligendo le linee rette e l’equilibrio nella composizione come possiamo apprezzare in “Untitled (1990).

Esther Mahlangu Senza titolo

Le forme geometriche, le tinte tenui e le linee bianche con spessi contorni neri racchiudono nella tela le simmetrie e gli elementi decorativi ripetitivi che caratterizzano i murales astratti ndebele. Mahlangu accumula forme angolari e motivi in un gioco intricato di richiami alla tradizione rielaborati secondo il suo gusto personale. Continua ad usare tonalità della terra, create impastando argilla, terriccio e sterco di vacca, difatti i colori piatti e decisi delle sue opere fungono come elemento di risalto delle sfumature blu e viola parte dell’eredità familiare.  L’astrazione geometrica che si può apprezzare in questi lavori è rimarcata dal continuo riproporsi di tali semplici figure che rendono però l’intera immagine piuttosto complessa. In sostanza simmetrie di linee, figure e colori sono assolutamente predominanti.

Attraverso il proprio lavoro, Esther Mahlangu sembra voler esaltare la dinamicità della tradizione, emancipandola dalla comune visione statica, immutabile, per dimostrare come al contrario sia un ambito mobile ed in continua evoluzione, pronto a inglobare stimoli differenti e orientati al futuro.

(Schede a cura di Francesca Calzà)

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