Estate 1947, Nizza. Nella palestra di un club di judo tre uomini fanno la loro conoscenza e ancora non sanno di essere destinati a diventare tra i più influenti artisti del secondo Novecento. Si chiamano Armand Fernandez (poi in arte denominato Arman), Claude Pascal, poeta, e Yves Klein. I tre amici oltre al judo condividono anche la passione per i viaggi, la creazione artistica e poetica e la frequentazione della spiaggia di Nizza dove scelgono di dividersi il mondo: Arman avrà la terra e le sue ricchezze, Claude l’aria e Yves il cielo e il suo infinito. La mostra Yves Klein e Arman. Le Vide et Le Plein presso la Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, parte del circuito MASI Lugano, concretizza la loro spartizione del cosmo. Dal 22 settembre 2024 al 12 gennaio 2025, sarà infatti possibile visitare l’esposizione curata da Bruno Corà.
A Lugano vengono per la prima volta messi a confronto i due artisti francesi, esponenti di punta del Nouveau Réalisme. Appartenenti alla stessa corrente artistica ma con una filosofia di pensiero nettamente diversa, le opere nella Collezione Olgiati sono presentate attraverso un confronto diretto e cronologico, grazie al progetto allestitivo dell’architetto Mario Botta.
Sessanta opere degli artisti sono messe in relazione all’interno di un percorso parallelo che si divide verticalmente. Come spiega lo stesso Mario Botta nel corso di una conversazione con Corà: “Ho cercato un confronto chiaro fra il linguaggio dei due artisti: da una parte un percorso espositivo per Klein, dall’altra per Arman. Cinque cappelle absidali per l’uno, altre cinque per l’altro e, nel mezzo, il camminamento dei visitatori”. Questa forma allestitiva mette in evidenza in maniera limpida le differenze tra i due: il vuoto in Klein e il pieno di Arman, così come sottolinea il titolo, Le Vide et Le Plein.
Il nome scelto per la mostra non è casuale, Klein infatti nel 1958 fece una sua personale intitolata Le Vide alla galleria di Iris Clert a Parigi, destinata a diventare una mostra storica nella vita dell’artista, il quale decise di lasciare gli spazi espositivi completamente vuoti. Due anni dopo, Arman nella stessa galleria, espone le sue opere in una mostra dal titolo Le Plein, riempiendo completamente lo spazio di detriti, vecchi mobili e oggetti vari. Inevitabilmente il pubblico fu portato a sviluppare un confronto tra le due esposizioni, come se queste rappresentassero due parti distinte di un progetto d’insieme. Era quindi chiaro già dal principio che i due artisiti fossero tra loro complementari.
Da un lato la leggerezza della forma, la spiritualità e l’incorporeo, dall’altro l’edonismo, l’accumulo, il consumismo e la concretezza della vita. Due facce della stessa medaglia che si completano a vicenda come fossero yin e yang, sacro e profano.
“Diventeremo uomini aerei, conosceremo la forza di attrazione verso l’alto, verso lo spazio, verso il nulla e ovunque allo stesso tempo; dominata così la forza di attrazione della terra, la eviteremo letteralmente in totale libertà fisica e spirituale!” sono le parole di Yves Klein nel suo discorso pronunciato in occasione della mostra di Jean Tinguely a Düsseldorf nel gennaio del 1959. É come se l’entità fisica delle sue opere passasse in secondo piano rispetto alla leggerezza e al vuoto che le contraddistingue, sicuramente influenzato dalla filosofia Zen e dal soggiorno dell’artista di circa un anno e mezzo in Giappone. Arman dall’altro canto, stimolato dalla produzione industriale, riempie le sue opere di oggetti fino alla saturazione, enfatizzando l’importanza delle cose materiali, si autodefinisce infatti pittore del suo tempo.
I due artisti alimentano a vicenda la propria vocazione artistica, senza perdersi mai di vista l’uno con l’altro. Sarà proprio Klein a spronare l’amico alla realizzazione di un’arte che sia solamente sua, a ritagliarsi un proprio territorio espressivo. Arman infatti, all’inizio degli anni Cinquanta era pittore di un’astrazione che però conservava retaggi paesaggistici e figurativi. Si trattava di un tipo di pittura estremamente comune tra gli artisti del periodo, motivo per cui Klein lo spinge ad abbandonare questo stile mondano e a trovare un suo prorpio linguaggio. L’esortazione dell’amico spinge Arman a sperimentare tecniche diverse, come l’uso di timbri inchiostrati che gli permettono di produrre una serie di impronte su vari supporti. Questo piccolo gesto sarà basilare per tutta la carriera artistica di Arman, aprendogli la strada prima alle impronte degli oggetti, le sue Allures d’Objets, e poi alle opere in cui regna il sovrabbondante accumulo degli stessi.
Il percorso espositivo, dal lato di Klein, si apre con i suoi monocromi, oltre a quelli del celebre blu, come i due Monochromes bleu sans titre, emergono anche monocromi del giallo, del rosa e del bianco. Questa prima sezione si chiude con Monochrome or sans titre, in foglia d’oro su vetro.
Impossibile non citare le famose e amate Antropometrie di Yves Klein, impronte dei corpi di modelle cosparse di pigmento puro blu e resina sintetica su carta e su tela, su cui si imprimono quella che l’artista definiva una “traccia di vita.” La Collezione Olgiati ne espone cinque esemplari, realizzati nel 1960, di cui il più significativo è forse Anthropométrie sans titre (ANT 116), unico pezzo esposto della serie di forma circolare. Leggerezza e fragilità investono quest’opera all’interno della forma perfetta del cerchio, dove la relazione con la cultura giapponese è evidentissima.
Il versante dedicato ad Arman si sviluppa partendo da una serie di Cachet, lavori creati dall’artista obliterando timbri inchiostrati su carta o pannelli, proseguendo poi con le Allures d’Objets del 1958. Queste venivano realizzate immergendo nell’inchiostro gli oggetti più svariati, come scarpe, utensili, collane di perle, cinghie, gusci d’uovo, fornelli a gas o parti meccaniche e appoggiandoli su tela o su carta, dove lasciavano la loro impronta. Ogni linea degli Allures è condizionata dall’immediatezza e dall’intensità del gesto che, liberato dalla ripetitività, acquista una nuova forza espressiva.
Nel 1959 Arman inizia a realizzare le Accumulations e le Poubelles, lavori costituiti da rifiuti “incarcerati” in teche di plexiglass. In mostra alla Collezione Olgiati ne sono esposti svariati esempi, come Les Mains, un accumulo di mani di bambole portato a termine nel 1961, Fiat pas Lux II del 1960, composta da lampadine usate per automobili o anche Sans titre (Accumulation de vis) del 1963, dove un’infinitàdi viti è stipata su un vassoio in legno.
A rendere il legame tra i due artisti ancora più evidente, sono i ritratti dei due amici presenti in mostra: quello di Arman realizzato da Klein e viceversa. Questo ci permette di vedere come i due erano visti agli occhi dell’altro, confrontando i due punti di vista. Arman realizza nel 1960 Premier portrait-robot d’Yves Klein, le Monochrome unendo gli oggetti che gli ricordano l’amico come una sua fotografia, pezzi di fumetti, alcuni abiti, pezzi di carta del suo celebre blu e pagine del libro di Gaston Bachelard, L’Air et les Songes. Portrait relief d’Arman risale invece al 1962, anno della prematura scomparsa di Klein. Si tratta di una scultura in bronzo ricoperta da pigmento puro e resina sintetica, posta davanti a un pannello in foglia d’oro, dove la sagoma blu di Arman risalta imponente sullo sfondo giallo.