Vedere le mostre alla Villa Reale di Monza regala sempre grandi emozioni: il Belvedere poi offre una vista che vale tutta la visita, da una parte lungo il cannocchiale dei Giardini Reali, idealmente verso Vienna, e dall’altra parte lungo il grande Viale Cesare Battisti verso Milano. Ad impreziosire questo gioiello la mostra dedicata a Vivian Maier considerata, e a ragione, una delle pioniere e massime esponenti della street photography.
Unseen. Le foto mai viste di Vivian Maier è il titolo della mostra che la Villa Reale di Monza dedica, sino al 26 gennaio 2025 a questa straordinaria fotografa. Realizzata da Vertigo Syndrome in collaborazione con diChroma photography, è la più importante esposizione mai fatta in Italia su questa straordinaria, riservatissima artista. 220 opere, divise in nove sezioni.
Con la scatto silenzioso della sua Rolleiflex Vivian Maier ha immortalato per quasi cinque decenni il mondo che la circondava. Dai banchieri di Midtown ai senzatetto addormentati sulle panchine dei parchi, alle coppie che si abbracciavano o, molto spesso, riprendendo sé stessa.
Vivian Maier è oggi riconosciuta come una delle più importanti fotografe del XX secolo, nonostante il suo lavoro sia rimasto sconosciuto fino a poco prima della sua morte. Nata nel 1926, a New York, ha documentato con incredibile meticolosità la vita quotidiana nelle città americane, in particolare a Chicago e New York, per quasi quattro decenni, dagli anni Cinquanta agli anni Novanta. I suoi oltre 150.000 negativi coprono una vasta gamma di soggetti, spaziando dai ritratti di strada agli scatti di architettura, dai paesaggi urbani agli interni domestici, catturando con un occhio unico e sensibile le sfumature della vita ordinaria.
La storia misteriosa di Vivian Maier è un elemento cruciale che contribuisce al fascino senza tempo della sua figura. Non è solo la straordinaria qualità delle sue fotografie a catturare l’immaginazione del pubblico, ma anche la sua vita segreta e il contrasto tra la sua esistenza quotidiana e il suo talento nascosto.
Vivian ha lavorato per decenni come bambinaia, conducendo una vita apparentemente comune e anonima. Era descritta come una donna severa, riservata e solitaria. Tuttavia, nel silenzio e nella privacy, sviluppava un ineguagliabile talento fotografico, documentando con cura ogni aspetto del mondo che la circondava.
Ciò che rende ancora più intrigante la sua storia è che, durante la sua vita, nessuno era a conoscenza della vastità e della qualità della sua opera. Conservava gelosamente i suoi scatti in scatole e bauli, apparentemente senza mai cercare riconoscimento o pubblicazione. Questo “segreto” ha reso la sua scoperta nel 2007 ancora più sorprendente. Quando lo scrittore John Maloof acquistò casualmente i suoi negativi in un’asta, il mondo fu introdotto a un’artista completa che, fino a quel momento, non aveva lasciato traccia della sua immensa produzione fotografica.
La vicenda di Vivian Maier tocca corde emotive profonde, perché rappresenta il classico archetipo dell’artista incompreso e invisibile, che realizza opere d’arte straordinarie nel silenzio, senza clamore o riconoscimenti. È una storia di talento, ma anche di mistero e solitudine, che ha colpito l’immaginario collettivo e ha contribuito a trasformarla in un’icona. Questa combinazione di segretezza personale e la forza visiva delle sue fotografie ha dato vita a una leggenda affascinante, dove l’arte e la vita si intrecciano in modo unico, facendo di Maier una delle figure più enigmatiche e celebrate del mondo della fotografia contemporanea.
Uno degli aspetti più straordinari dell’arte di Maier è la sua capacità di combinare il realismo umanista europeo con lo stile dinamico della street photography americana. Cresciuta in parte in Francia, ha portato con sé l’influenza del vecchio continente, fondendo questa sensibilità con l’energia e la modernità delle città americane. Le sue opere sono paragonate a quelle di maestri come Robert Frank, Diane Arbus, Robert Doisneau e Henri Cartier-Bresson, che come lei hanno saputo cogliere l’essenza dell’umanità attraverso la fotografia di strada.
In questa esposizione, curata da Anne Morin, si passa da una sala all’altra come in una sorta di racconto della percezione del mondo dell’artista.
Si va dagli autoritratti che esplorano la sua identità attraverso soluzioni visive innovative, come il riflesso in uno specchio, una vetrina o la silhouette proiettata della sua ombra, mostrando la sua abilità di raccontarsi attraverso lo spazio che la circonda. L’attenzione per le persone comuni, in particolare alle donne che Vivian incontrava per strada. Lo sguardo sull’America del dopoguerra dove racconta il contrasto tra l’utopia del Sogno americano e la realtà vissuta dalle persone ai margini della società, mostrando la disuguaglianza sociale, il malessere e le contraddizioni nascoste dietro l’apparente prosperità. E poi i suoi bambini, quelli che Vivian Maier ha fotografato durante la sua carriera di bambinaia. Le fotografie a colori dei quartieri operai di Chicago, la raccolta di filmati in Super 8, dove Maier continua la sua esplorazione della vita cittadina, questa volta in movimento.
Insomma, ognuna delle nove sezioni mostra uno spaccato del lavoro dell’artista e ci permette di scoprire una straordinaria fotografa che con le sue immagini profonde e mai banali racconta la “vita americana” della seconda metà del Ventesimo Secolo.