Un incontro sorprendente, ricco e innovativo in cui arte e scienza, passato e futuro, sensibilità artistica e calcolo si intrecciano dando vita a nuovi spunti di ricerca e riflessione. Ecco cosa aspettarsi da “Variabile Altemps – un dialogo tra arte contemporanea, archeologia e intelligenza artificiale” di Gabriele Gianni, progetto che rimarrà in esposizione fino al prossimo 17 novembre, presentato dalla Carla Fendi Foundation a Palazzo Altemps e curata da Marco Bassan, Chiara Giobbe e Ludovico Pratesi.
L’installazione, articolata in quattro opere audio-video, nasce come evoluzione del precedente lavoro dell’artista intitolato “Artificial Creation”, anch’esso commissionato e prodotto dalla Carla Fendi Foundation nel 2023 in occasione del Festival dei Due Mondi di Spoleto. Frutto di una stretta collaborazione tra l’artista e gli archeologi e di una sintesi tra creatività e ricerca, lo sviluppo dell’opera prende le mosse dalla creazione di un complesso algoritmo di analisi e generazione. Questa intelligenza artificiale è stata addestrata grazie ai dati e alle immagini presenti sulla piattaforma “MNR Digitale – Collezioni e Archivi”. Si tratta di una piattaforma online resa disponibile a partire dallo scorso maggio 2024 e che ha permesso di raccogliere e mettere in dialogo le schede delle opere e gli archivi fotografici e storico documentali dislocati nelle diverse sedi del Museo Nazionale Romano.
Servendosi delle oltre 500.000 immagini catalogate, Gianni ha costruito dei modelli generativi estremamente precisi, capaci di analizzare il corpus delle opere scultoree (che comprende ritratti, frammenti e statue) da molteplici prospettive. L’artista sottolinea: “La collaborazione con gli archeologi e l’utilizzo della piattaforma sono stati due strumenti preziosissimi, perché grazie ad essi e al supporto dell’AI ho potuto lavorare con un approccio libero. Quando i risultati hanno cominciato ad arrivare e i modelli hanno generato immagini che ritenevo un punto di partenza, ho cominciato a distaccarmi dalla parte scientifica e a immergermi nel mio lavoro di artista“.
La prima videoinstallazione che incontriamo, è un’oscillazione sui ritratti in marmo di palazzo Altemps che ragiona sulla relazione tra costruzione e decostruzione. Le immagini dell’archivio subiscono un mutamento che riporta il blocco di marmo al suo stato grezzo per poi ricostruire l’opera. Qui il passaggio dell’AI viene segnato da alcune inserzioni in oro, elemento allegorico che allo stesso tempo arricchisce e nasconde l’aspetto delle opere. Il processo metamorfico, così fluido e dispiegato nel corso di 55 minuti (particolare che vuole anche esasperare l’aspetto di iper-produttività della macchina), fa sì che dall’opera scaturisca una riflessione sul tempo.
Questo cambiamento continuo, questo gioco in cui tutto viene distrutto e poi ricostruito, rende impossibile orientarsi. Non c’è nulla che ci possa suggerire se il processo sia al suo punto di inizio o sia giunto al termine, né ci è possibile individuare il momento in cui ci troviamo davanti al ritratto originale. Dissolvendosi questi confini, raggiungiamo una soglia dove il passato, il presente, e un futuro ipotetico convergono, evidenziando una difformità tra lo scorrere del tempo esperito dall’uomo e quello generato dalla macchina.
Specularmente, nella sala adiacente, è stata installata l’opera che rappresenta l’aspetto più scientifico della ricerca dell’artista. Le immagini di 63 ritratti appartenenti alla collezione del museo sono state analizzate dall’algoritmo che ne ha valutato i rapporti aurei, di simmetria e proporzione. Il processo, che viene mostrato a partire dal ritratto originale, ha permesso di ipotizzare una ricostruzione del frammento scaturita proprio dai calcoli dell’AI. Gianni spiega: “Questo lavoro che ho presentato, che è un po’ lo specchio dell’altro, vuole prima di tutto ricordarci che analizzare e utilizzare i dati è una responsabilità. Restituire tecnologia mi è sembrato inoltre il modo migliore per dare qualcosa in cambio e creare una relazione col museo; i dati generati per quest’opera non solo possono essere riutilizzati, ma aprono anche la strada a nuove ricerche archeologiche sui frammenti e sulla loro ricostruzione”.
L’opera successiva si concentra non sui ritratti, ma sul patrimonio statuario, ricostruendo attraverso i vari modelli di intelligenza artificiale una nuova oscillazione. A differenza del lavoro incontrato nella prima sala, qui ci ritroviamo davanti ad un Apollo, una Demetra, una Venere. Si tratta figure intere e rappresentate con dimensioni nettamente superiori rispetto alla prima installazione. Queste figure, che si muovono ancora tra l’aggiunta dell’oro e l’assenza di informazione, hanno la forza di suscitare una sensazione di rapimento e di proiettarci in una dimensione che sfiora il sacro.
Procedendo, quasi a voler creare una composizione ad anello, si arriva davanti all’ultimo lavoro in esposizione. Ultimo lavoro che è però anche un’integrazione dell’opera da cui era partito tutto, ovvero “Artificial Creation”, improntata sullo studio del rapporto tra atto creativo e numero. L’artista ha qui voluto intraprendere un discorso dialettico con la macchina, ponendole questioni riguardo alla natura del nulla, dell’unità, della simmetria e della proporzione fino ad interrogare l’algoritmo stesso sulla sua capacità di riprodurre le emozioni, generare bellezza ed utilizzare strategie cognitive umane. Un dialogo che ci immerge in uno stato riflessivo intenso, accompagnato dallo scorrere delle immagini del progetto originale che sono state contaminate e integrate da quelle di palazzo Altemps. L’opera di partenza rompe così il legame con la sua funzione temporale e si riadatta ad uno spazio nuovo.
In “Variabile Altemps”, l’uso della tecnologia da parte dell’artista non si limita a un mero strumento di creazione, ma diventa un atto di riattivazione delle opere antiche, porta alla luce un concetto filosofico profondo. Palazzo Altemps, già da tempo aperto al dialogo con l’arte contemporanea, offre uno spazio in cui le installazioni moderne possono interagire con il patrimonio storico artistico, creando un’occasione per l’affiorare di un nuovo senso di queste opere, stimolando una riflessione attraverso contrasti e parallelismi.
Le statue, scolpite da un blocco di pietra informe, trasformate in capolavori dall’ingegno degli scultori antichi, deteriorate e reintegrate, non smettono di scrivere la loro storia. “Le opere antiche – afferma il curatore Ludovico Pratesi – devono continuare a vivere, poiché hanno sempre avuto una vita propria, caratterizzata da metamorfosi e trasformazioni. Gabriele Gianni, con il suo lavoro, ha dato un’ulteriore tappa a queste vite”. L’artista, dunque, non è solo un creatore, ma anche un mediatore tra passato e presente. Riconosce l’importanza del gesto di trasformazione e riesce a ricostruire il significato di un capolavoro che, a sua volta, ha già conosciuto molteplici incarnazioni.