“Da oggi i progetti non sono più teorici, le cose stanno avvenendo sul serio“: così Gennaro Sangiuliano esattamente un anno fa agli Stati Generali della Cultura del Sole24Ore. E in poco tempo ha fatto tanto: il raddoppio di tre grandi musei italiani – la Pinacoteca di Brera e Palazzo Citterio a Milano, gli Uffizi “diffusi” con la Villa di Careggi e Montelupo Fiorentino e il Museo Archeologico di Napoli con Palazzo Fuga – e qualche conquista, dalla salvezza di Villa Verdi alla soppressione della macchina mangiasoldi ItsArt chez Franceschini, dal recupero dei tesori nascosti alle nuove assunzioni nel settore dei Beni culturali, dal “gemellaggio” Louvre-Museo di Capodimonte alla riforma dei musei italiani con l’aumento del numero di quelli autonomi.
Ha fatto lavorare il personale dei musei nei giorni festivi, che è già una gran cosa, ottenendo risultati non smentibili perché i numeri parlano chiaro. Ha messo un limite alla cassa del denaro pubblico tradotto (nel vero senso del termine, cioè che passa attraverso) i contributi al cinema italiano: lo faceva notare ieri Bruno Vespa in un articolo sul Giorno citando i casi di film che totalizzavano 20 spettatori e 20 euro di incassi e percepivano vagonate di contributi statali.
Sangiuliano è stato un buon ministro, se avesse avuto la possibilità di finire la legislatura avrebbe fatto anche di più, magari guardando al settore privato (nel mondo dell’arte leggi: gallerie private), tanto bistrattato quando si parla di cultura e che pure fa stare in piedi la cultura stessa. Tutto ciò alla luce di una visione che voleva fare dell’Italia “una superpotenza della Cultura”. E’ stato un eretico, magari un po’ naive come l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, un outsider, un maverick, che ha fatto tanto scardinando un po’ il sistema.
Oggi il testimone passa ad Alessandro Giuli, giornalista, saggista, già Presidente (dal 2022 all’altro ieri) del Maxxi di Roma. Vice direttore del Foglio dal 2008 al 2015 e condirettore fino al 2017, ha anche diretto il settimanale Tempi e scritto diversi saggi di cultura politica. Nel febbraio 2018 Alessandro Giuli era su quel palco del Teatro Manzoni di Milano da cui Edoardo Sylos Labini aveva lanciato il nuovo movimento culturale CulturaIdentità, insieme, tra gli altri, ad Angelo Crespi, Federico Mollicone e Giampaolo Rossi. Lo abbiamo visto ospite di programmi TV di approfondimento e proprio alla tv da Floris non più tardi di tre mesi fa aveva fatto una dichiarazione programmatica: “La politica deve rimettere al centro la cultura”. Anzi la politica se ne stia alla larga, dalla cultura: sì al merito, no alle nomenklature.
I criticoni di turno hanno già tirato in ballo Sgarbi e Morgan al Maxxi che parlano di cazzi e fighe, fanno i bru bru e dicono che il neo Ministro non ha terminato gli studi di Filosofia, fanno la boccuccia a culo di gallina e citano i suoi trascorsi giovanili di militante ma chi se ne frega, si badi alle cose concrete, si badi alla capacità di prendere in mano la situazione e risolvere i problemi: che, nella cultura come nel resto dei settori vitali del Paese, sono tanti.
E quindi benvenuto ad Alessandro Giuli, prosegua quell’opera di scardinamento del sistema anchilosato della cultura italiana già avviato dal suo predecessore nel nome di una rivoluzione creativa e creatrice: sono tanti territori da conquistare in un settore che fino a ieri era appannaggio dell’amichettismo de sinistra.