Sono gli ultimi giorni per poter visitare “Vulci. Produrre per gli uomini. Produrre per gli dèi” alla Fondazione Luigi Rovati di Milano fino al 5 agosto. Una bellissima esposizione al piano ipogeo della Fondazione, risultato di un grande lavoro svolto, dove grazie a prestiti importanti sono esposti capolavori provenienti dalle collezioni di undici importanti istituzioni pubbliche ed enti privati, oltre ad una selezione di reperti inediti appartenenti alla collezione della Fondazione.
La mostra è la prima di un ciclo dedicato alle metropoli etrusche, fortemente voluto all’apertura della Fondazione. Iniziare da Vulci, come spiegano i co-curatori Giuseppe Sassatelli e Laura M. Michetti in uno degli Incontri dedicati della Fondazione, è stata quasi una sfida: è una di quelle città di cui si è scoperto molto negli ultimi anni e vi è inoltre una importante dispersione del patrimonio archeologico nei musei di tutto il mondo.
Non solo reperti antichi. L’esposizione, attraverso i materiali esposti, non si ferma a presentare pezzi archeologici importantissimi ricostruendo il valore della città di Vulci ma entra in dialogo con l’opera contemporanea dell’artista Giuseppe Penone. I reperti archeologici sono messi a confronto con le opere dell’artista, in particolare con i vasi. Il suo inserimento nasce infatti per il suo grande lavoro proprio sui vasi e sul concetto di manualità.
È lui stesso a dichiarare che il vaso è il primo capitale umano:
“C’è un momento senza il quale tutti questi passaggi non sarebbero esistiti: è l’invenzione del vaso. Un vaso di pietra, di legno e, con il fuoco, di creta. Un pugno di terra, la cui forma sosti tuisce le mani congiunte per bere, permette di spostare l’acqua nello spazio, di bere nel tempo. Non è solo un’invenzione tecnica, è l’invenzione del capitale che ancora governa e accompagna la nostra evoluzione. Vaso capitale” (G.Penone, Scritti, a c. di F. Stocchi, Electa, Milano, 2022, p.263, n. 217)
La scultura Cocci (1982) presenta frammenti di vasi raccolti dall’artista stesso in un’area archeologica sarda poi composti con una matrice di gesso in cui la mano e la sua impronta ridanno funzionalità all’oggetto. Il coccio diventa, in questo modo, un nuovo oggetto. L’opera Il vuoto del vaso (2005) mostra come l’uomo lavora la creta al suo interno e come il vaso è oggetto d’uso e scultura. Il vaso è circondato da alcune radiografie delle mani, utili per riuscire a comprendere la manualità, la gestualità, la mano dell’artista all’interno del vaso. Una riflessione sul processo creativo tanto cara all’artista e sulla materialità delle forme. Così anche Terra su terra – bacile (2005), dove dal “ramo” di bronzo nasce il vaso e dunque la scultura.
Le opere di Penone trovano spazio in mezzo a reperti archeologici davvero importanti, divisi per tematiche in un percorso che mostra Vulci come metropoli dalle sue origini fino alla conquista romana: Simulacri di immortalità; Paesaggio liminare; Artigiani immigrati, artigiani locali; Da Atene a Vulci: immagini in viaggio; Bronzi per la guerra, bronzi per la pace; Devozione d’argilla.
Le prime fasi presentate guardano al rituale funerario che ovviamente per queste comunità antiche era caratterizzante ed identitario. La stessa locandina dell’esposizione mostra una coppia di mani in lamina d’argento e oro appartenenti ad una statua rinvenuta nella tomba di un personaggio di rango principesco vissuto in età orientalizzante.
Emerge il grande rapporto con il mondo greco registrato con le ceramiche di altissimo livello. Mondi che si intersecano. Ceramiche attiche prodotte ad Atene invadono le città etrusche ed in particolare Vulci: “il 40% dei vasi attici trovati in Etruria vengono da Vulci, luogo che ha accolto più di tutti. I contenuti erano funzionali all’ideologia, alla religione. Veicolo di tanti miti che hanno caratterizzato il mondo di Atene, come il mito di Ulisse e della maga Circe oppure la nascita di Athena dalla testa di Zeus. Il mondo etrusco entra in contatto con il massimo del racconto greco e dell’epica, lo approfondisce” spiega Michetti. Questa condivisione con il mondo greco emerge, fra gli altri, con il Pittore di Micali, pittore locale che oltre a riprendere la tecnica attica a figure nere, si ispira anche nel mito e nella narrazione.
Vari esemplari mostrano questo contatto e questo incontro di culture. Diverse manifestazioni di artigianato di Vulci fanno della città una ricca testimonianza di una cultura materiale importante, grazie ai ritrovamenti nelle necropoli, nei santuari e negli spazi urbani. L’immagine che ne viene fuori è dunque quella di una “città che produce”, che elabora sti moli esterni ma crea anche dei propri linguaggi, ben visibile ad esempio nelle terrecotte rin venute dall’edicola di Ponte Rotto.
Una grande mostra con reperti spettacolari che prova a legare antiche metropoli a quelle contemporanee, riuscendoci. Un percorso espositivo coinvolgente con un allestimento chiaro e che mira a toccare le emozioni dei visitatori, creando un legame emotivo con i contenuti esposti. L’esposizione è ovviamente frutto di una visione della Fondazione che vede l’arte “come continuum storico fra antico e contemporaneo, nelle opere esposte Giuseppe Penone plasma la materia-tempo con le proprie mani, in un antico gesto che diventa esso stesso scultura contemporanea”. Una mostra sicuramente da non perdere.