Ogni anno, il 25 novembre, si celebra in tutto il mondo la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, un fenomeno che purtroppo è cronaca quotidiana e non accenna a diminuire. Dal dossier annuale del Viminale emerge che, relativamente al periodo 1° gennaio – 12 novembre 2023, sono state uccise 102 donne, di cui 82 in ambito familiare/affettivo e 53 per mano del partner/ex partner. Dati che confermano un aumento rispetto alla precedente rilevazione.
Nello stesso lasso di tempo sono state registrate anche 8.607 denunce per stalking, 1.494 ammonimenti del Questore per violenza domestica e 182 allontanamenti per lo stesso reato. Invece di cercare le ragioni dei loro crimini a posteriori, anticipiamoli: i nuovi mostri lasciano indizi prima di uccidere.
Anche la violenza non fisica è violenza è meno riconoscibile, più subdola, ma dalla violenza verbale a quella fisica il passo è breve, dal ceffone al femminicidio. È importante individuare quali sono i campanelli di allarme è per questo D.i.Re. – Donne in Rete contro la violenza –, abbraccia progetti per la sensibilizzazione nel mondo dei media, come quello lanciato nel 2021 da YSL Beauté, “Abuse is not Love” contro la violenza nelle relazioni intime.
Nove segni di allerta: indifferenza / ricatto / umiliazione / manipolazione / gelosia / controllo / intrusione / isolamento / intimidazione.
Queste le parole chiavi per capire se la relazione è sana o no.
Ma le donne sono stanche di dover essere vigili, di dover rinunciare alla loro libertà individuale perché gli uomini non sono capaci di reggere l’abbandono.
Dovrebbero essere loro a parlarne, scriverne, invece ne scrivono soprattutto le donne, le fotografie sui giornali sono sempre delle vittime e quasi mai dei carnefici.
I carnefici sono dipinti come i “bravi ragazzi” che sono stati colti da un raptus, ma come ha scritto la sorella di Giulia Cecchettin, la ragazza tristemente nota alle cronache di questi giorni per il suo efferato omicidio per mano dell’ex fidanzato Filippo Turetta, è stato il vostro bravo ragazzo a uccidere e a premeditare.
L’omicidio di Giulia ha scosso tutta l’Italia, e tutti hanno voluto in qualche modo far sentire la loro voce. E anche la comunità artistica si è sentita chiamata in causa.
“Se domani sono io, mamma, se non torno domani, distruggi tutto. / Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima”. La poesia di Cristina Torres Cáceres (condivisa sui social fin dai primi giorni del terribile ritrovamento del corpo dalla sorella di Giulia, Elena Cecchettin), è diventata un inno di denuncia contro la violenza sulle donne e i femminicidi. I versi di “Se domani non torno” hanno invaso la rete, migliaia di condivisioni, di post e stories dedicati. Soprattutto di donne, di ragazze, ma anche di uomini.
Sui social opere contro la violenza
E i social si sono riempiti anche di immagini. Immagini di artiste, e di artisti. “Prima la chiamava amore” è la scritta che accompagna la foto, drammatica e intensissima, di Nadia Frasson, in arte Enne Effe, performer trevigiana, piedi delicati immersi in un inquietante rosso sangue.
Non solo artiste, ma anche molti artisti (uomini) si sono messi in gioco e hanno fatto sentire la loro voce attraverso le loro opere, è importante che anche gli uomini diventino soggetti attivi alla lotta contro la violenza sulle donne. La violenza di genere è un fenomeno strutturale e non è una questione di donne, ma di uomini.
E così, ecco Tvboy – tra i più noti street artist italiani, da molti anni di stanza a Barcellona – che ha postato su Instagram il suo ultimo murales che riporta lo slogan: “basta violenza sulle donne. Non dovremmo proteggere le nostre figlie, ma educare i nostri figli #giuliacecchettin”.
E Domenico Pellegrino, artista palermitano, scrive, sotto la foto della sua opera dedicata alla ragazza uccisa: “sono morta combattendo”.
Dal sapore amaro la vignetta di Valentino Menghi, postata sempre su Instagram: “Ogni volta che un politico deride la proposta dell’insegnamento dell’educazione sessuale nelle scuole”, scrive, “pensate a quel posto vuoto dove avrebbe dovuto sedersi Giulia” (il riferimento è chiaramente all’intervento di alcune settimane fa di Rossano Sasso, deputato della Lega e già sottosegretario all’Istruzione durante il governo Draghi, che ha bollato l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole come una “porcheria”, ndr).
Mr. Savethewall ha pubblicato su Instagram, con la scritta “E questo lo chiami amore?”, una tela con un cuore graffiato dagli artigli di una bestia, che richiama però, in un cortocircuito di rimandi, anche alle tele di Fontana. Come dire, anche l’arte può parlarci delle dinamiche dell’oggi, anche le più drammatiche.
Muri e panchine come testimonianza
A Milano, in Ticinese, sul Wall of Dolls, il muro delle bambole dedicato proprio alla violenza sulle donne, è è apparso un lavoro dal titolo “Dolor silente”. Sempre a Milano, ma nel quartiere Gallaratese, è invece da poco terminato il murale Donne che reggono il quartiere di Jdl – artista olandese che ha esposto le sue opere accanto a Banksy e a Keith Haring –, ispirato all’importanza delle figure femminili, che portano il peso sociale sulle loro spalle e sollevano la comunità. Una figura femminile come moderna Atlante che sorregge l’umanità.
Anche l’Azienda Trasporti Milanesi, ATM, ha prodotto una campagna sul tema della violenza di genere, e per farlo ha chiamato Bahar Sabzevari, artista iraniana residente a New York. Sabzevari si batte contro la discriminazione di cui è oggetto la donna nel suo Paese. Per un mese, sui cartelloni in metropolitana e sui profili social della Atm si potranno ammirare le opere dell’artista, in cui ritrae volti femminili con capigliature mostruose (forse perché uno dei modi di protestare delle donne iraniane era proprio quello di tagliarsi i capelli). Ad un anno dalla morte della ventiduenne Mahsa Amini, uccisa dalla polizia religiosa perché non indossava nel modo giusto lo shador, le iraniane non si arrendono e continuano la loro lotta contro il regime.
Ancora a Milano, alle 29 panchine rosse già esistenti e che verranno valorizzate da una targa progettata dall’artista Francesco Garbelli, saranno presentate – nell’ambito dell’iniziativa “Non sei sola”, ideata e curata da City Art, prevista per il 25 novembre – altre 10 Panchine Rosse, affidate ad altrettanti Artist*. Per l’occasione è stata organizzata anche una biciclettata che culminerà con la performance collettiva “Portatrici d’Acqua” a cura del Laboratorio Kilili con scarpe rosse e foulard.
Le artiste e gli artisti coinvolti nel progetto sono: Giulia Sarubbi, Elisabetta Oneto, Fiorella Cicardi, Federica Zianni, Tamara Ferioli, Loretta Cappanera, Anna Finetti, Leonardo Totino, Gruppo Flessibile, e Gabriella Kuruvilla. Panchine che non vengono solo semplicemente dipinte o colorate, ma che diventano veri laboratori e installazioni di testimonianza di un disagio, di un allarme sociale verso i legami tossici che troppo spesso si tramutano in omicidi.
Ecco allora che Gabriella Kuruvilla ci presenta una panchina transennata come se fosse una scena del crimine, con intorno pezzi di giornale che parlano del corpo delle donne, il numero verde 1522 impresso sopra, e un babydoll inchiodato alla panchina strappato e sporco a simboleggiare una violenza.
Sempre il 25 novembre, a Palermo, invece, a Palazzo del Poeta, una performance racconta il “silenzio” delle donne attraverso quattro podcast su storie vere, e 50 opere d’arte create dall’Intelligenza Artificiale che prende spunto dallo stile dei grandi artisti del passato. Il silenzio delle donne come lo avrebbero interpretato Munch, Casorati, Modigliani, Schiele e molti altri. In una regione dove negli ultimi anni sono aumentati i casi di femminicidio una performance che mescola linguaggi diversi per dare voce a chi la voce non ha più. Dopo la manifestazione, le immagini verranno battute all’asta da Zonta Palermo ZyZ e il ricavato verrà interamente devoluto alle associazioni che sostengono le donne vittime di violenza.
Ancora nel capoluogo siciliano verranno poste quattro panchine, simbolo di Palermo, Roma, Torino, Milano, che racconteranno con un QR code, scaricabile dal cellulare, storie di femminicidi avvenuti nelle quattro città.
Mostre ed eventi, artiste e artisti in prima linea
Non solo opere singole, ma anche mostre dedicate al tema. Ecco allora Canto D’Amore, nato da un’idea dell’artista Valeria Bovo, colpita dall’omicidio di Giulia Tramontano – uccisa dal compagno all’ottavo mese di gravidanza –, mostra curata da Alessandra Redaelli che si apre proprio il 25 novembre. Oltre centosessanta le opere appese nella hall del Padiglione F dei Docks Dora di Torino, tra gli artisti presenti LeoNilde Carabba, classe 1938, femminista storica, co-fondatrice della Libreria delle donne di Milano e della Cooperativa Beato Angelico – uno dei capisaldi del movimento delle artiste femministe – insieme a Carla Accardi, Eva Menzio, Susanne Santoro e Nedda Guidi. Ma ci saranno anche interventi teatrali dell’Asola di Govi con Pino Potenza, ed un altro pezzo della compagnia “il Teatro dell’Errore” con il gruppo Mamè; e sempre ai Docks Dora, va registrato il fatto positivo che non si sottraggano alla giornata neanche le forze dell’ordine, con l’intervento della Commissaria Capo Paola Fuggetta Divisione Polizia Anticrimine della Questura di Torino, che parlerà di prevenzione con l’apporto di un video della dottoressa Roberta Di Chiara.
Giovanna Lacedra, anche lei presente ai Docks Dora con la performance “What is Love?”, si ispira a una frase di Hermann Hesse: “If I know what love is, it is because of you.” (Se so cos’è l’amore è grazie a te). Violenze, abusi, oltraggi e torture psicologiche subite dalle donne nel corso di relazioni malate e distorte sono il tema principale di questa dura ma coinvolgente performance. Le protagoniste di questo lavoro sono donne sfilacciate, azzerate, plagiate. Perché gli uomini che le insultano, le picchiano, le deridono sono gli stessi che prima di tutta questa violenza avevano sussurrato loro: “If I know what love is, it is because of you”.
Le relazioni tossiche sono al centro del lavoro di Paola Gandolfi, che da sempre lavora con la pittura sull’identità femminile, e che in “Reportage”, in mostra alla Galleria Alessandro Bagnai di Firenze, racconta con nove grandi tele – pensate come una sequenza di frames cinematografici – una donna, dapprima sola, poi affiancata da un uomo, in una relazione apparentemente armonica, ma nella quale si percepisce presto un elemento innaturale. Due corpi coinvolti non in una danza ma in una lotta di posizione e di supremazia. Il giallo, usato nelle diverse tonalità vuole fare luce in una relazione sempre più nociva.
Anche Romina Bassu racconta, nei suoi quadri, di stereotipi femminili, di oggettivazione della donna, di consumo dei corpi, di male gaze, addentrandosi nei percorsi psicologici che riducono il corpo a un qualcosa disgiunto dal sé. Temi che attraversano la nostra cultura, alla luce dei numerosi casi di femminicidi o del rinnovarsi di denunce di molestie.
“Il popolo delle donne” è invece il nuovo lavoro di Yuri Ankarani – video artista e film-maker italiano – e Marina Valcarenghi (giornalista e attivista politica negli anni Sessanta e Settanta, nonché psicoanalista nelle carceri, presso i reparti dedicati alla violenza sulle donne) ne è il soggetto. Il film è incentrato sul monologo della protagonista, nel cortile Legnaia dell’Università di Milano, che attraverso letture di testimonianze di tribunali, racconta come l’insicurezza femminile sopravviva, nonostante la progressiva conquista di autonomia economica e sociale. Quanto più il mondo delle donne, viene tuttavia alla ribalta, tanto più si acuisce la violenza insofferente di una parte del mondo maschile.
Infine, in prima linea le attiviste di Non Una di Meno manifesteranno a Roma e a Messina il 25 novembre al grido: TRANSFEMMINISTƏ INGOVERNABILI CONTRO LA VIOLENZA PATRIARCALE.
Quel che è certo è che nessuno può sentirsi escluso da questa guerra, se non la combattiamo tutti insieme non sarà possibile vincerla.