Gestire i rifiuti, recuperare i rifiutati. Non è solo un problema ecologico, ma una questione che abbraccia il campo dell’etica, del sociale, della stessa logica con cui ci muoviamo nella vita e nella società. E che, da riflessione occasionale ed eccezionale, deve diventare un paradigma, un modus operandi che ci accompagni nella vita di tutti i giorni. È questo il senso che emerge dalla prima edizione (si parla già di un format che porrebbe diventare itinerante) del Festival dei Rifiutati che si è tenuto il 28 e 29 settembre a Massa, nella sede del Cermec, il consorzio Ecologia e Risorse di Massa e Carrara, l’azienda di smaltimento rifiuti dei due comuni. Voluto da Lorenzo Porzano, amministratore unico del Cermec e lui stesso già in passato promotore di numerose iniziative in campo sociale (tra le altre cose, ha portato beni di prima necessità in Ucraina), ma anche di mostre, eventi culturali, iniziative legate all’arte e agli artisti, il Festival ha le carte in regola per diventare, da evento eccezionale, un grande attrattore di energie, che spaziano dall’arte alla cultura alla musica, per ragionare su un approccio nuovo, diverso e più consapevole al tema del rifiuto. “Che non è solo la questione, oggi diventata importantissima, di un approccio più corretto e virtuoso alla questione della lotta allo spreco, del riciclo dei materiali, dell’attenzione all’ambiente”, spiega Porzano. “Ma anche una questione che a tutti noi, donne e uomini di questo tempo, come cittadine e cittadini, deve stare a cuore come approccio all’apertura, alla non-esclusione di nessuno dal vivere sociale. Rifiuti e rifiutati sono due parole che devono essere rivalutate nel linguaggio comune e nel pensare collettivo, perché anche a partire dal linguaggio, dai pensieri, dai comportamenti si fonda una società più equa, più armoniosa con l’ambiente, più inclusiva”.
Obiettivo, trasformare l’evento, che ha visto la partecipazione di centinaia di persone negli spazi di lavoro degli operatori del Cermec (una vasta area di diversi capannoni a nord di Massa), in un appuntamento itinerante e permanente. “Abbiamo intenzione”, ci spiega ancora Porzano, “di mettere in piedi una sorta di call for artists, per chiamare a raccolta i migliori talenti, le migliori menti, i migliori artisti e artigiani non solo della zona, che è importantissima per la ricchezza della sua proposta anche in termini di manodopera e di aziende specializzate in ambito artistico, ma da tutt’Italia: perché il tema del recupero, sia in termini ambientali che in termini umani e sociali, diventi una priorità da affrontare con una maggiore consapevolezza e una maggiore attenzione verso le persone che, per le ragioni più disparate, sono state ‘rifiutate’ dal tessuto sociale”. Ma in che modo? “Stiamo pensando e lavorando già a una sorta di festival itinerante per le piazze e le città d’Italia, con il coinvolgimento di enti pubblici, Comuni e altri consorzi dello smaltimento dei rifiuti. Da evento unico, il Festival ha l’ambizione di diventare un progetto permanente, che attraversi le città grandi e piccole d’Italia, che coinvolga gli spazi dei consorzi per la gestione dei rifiuti di tutta la penisola, portando in giro la sua attenzione al tema al rifiuto ma con un approccio positivo e propositivo al vivere sociale. Il volto gioioso delle opere degli artisti deve diventare il viatico, per tutti noi, per affrontare anche questi temi con serenità, gioia, divertimento, creatività. Con un’anima inclusiva e pop”.
Ecco allora il senso di quello che si è visto e vissuto nella due giorni di dibattiti, di performance, di opere, di filmati, di ragionamenti e maratone oratorie all’interno dell’area di lavoro del Cermec. Non una due giorni “di vacanza”, in cui gli operatori del Cermec, assenti, avessero lasciato il posto agli esperti e al pubblico: ma, anzi, una vera ondata di partecipazione collettiva che ha visto riuniti gli operatori del settore, gli artisti, il pubblico, le autorità, i volontari, i rappresentanti delle associazioni e varie personalità impegnate nel sociale con un obiettivo comune. Un obiettivo che ha coinvolto attivamente il pubblico, fatto di singoli, di coppie, di famiglie, di bambini e di ragazzi, ma anche di artisti e operatori del settore arrivati da tutt’Italia. Persone che al tema dell’ambiente hanno dedicato la loro vita, come l’architetto Tiziano Lera, che da Lucca dove è nato, e da Forte dei Marmi dove abita, ha portato la sua attenzione al tema di un’architettura biosistemica e attenta all’ambiente in tutto il mondo, dall’Europa all’Asia; o come Fra Mario Vaccari, vescovo di Massa Carrara-Pontremoli, che ha testimoniato l’impegno della Diocesi nell’occuparsi sempre di più e in maniera sempre più fattiva per il recupero degli ultimi, di chi è in difficoltà, di chi ha problemi nell’integrarsi in una società sempre più globalizzata e meno inclusiva; o come il direttore della Caritas Don Maurizio Manganelli, il parroco di Regina Coeli Padre Carmelo, ma anche le autorità, i sindaci delle due città, di Pietrasanta, culla ormai riconosciuta del contemporaneo, il prefetto, i vertici dei carabinieri. Ma, cosa importantissima, artisti, cittadini e operatori, a ragionare insieme e “giocare” sullo stesso tavolo, e non con ruoli distanti o separati.
“Aiutato da amici curatori, giornalisti e artisti, ho volutamente scelto di rimescolare le carte, anche sul piano simbolico dell’arte”, ci spiega Porzano. “La tentazione di dividere anche fisicamente le opere, tra quelle di artisti già affermati e quelle di artisti meno o pochissimo conosciuti, magari con un forte legame col territorio ma non affermati a livello nazionale, poteva essere forte. Ma alla fine, riflettendo, ci siamo accorti che la prima barriera da abbattere era, oltre a quella linguistica, anche quella allestitiva”. Così, le opere si sono alternate all’interno degli spazi senza gerarchie, creando un unico contenitore visivo dove le opere di artisti già affermati, come le due sculture create appositamente per l’occasione da Giuseppe Veneziano (una, un Padre Bio con le sembianze di un Padre Pio verde, in plastica riciclata, che tiene in mano una piantina, e l’altra con un Atlante che tiene sulle spalle un mondo tragicamente nero a causa dell’inquinamento) erano esposte a fianco delle fotografie di Annalisa Ceccotti, che presentava le foto di Andrea Bocelli, che con la sua fondazione, la ABF, aiuta gli ultimi e gli sfortunati; mentre nello stesso spazio faceva bella mostra di sé la sedia Apotropaica di Tiziano Lera, architetto e designer che ha sempre lavorato sulla sostenibilità, creata con i ciottoli di scarto delle cave di marmo e con tre spirali che lavorano sul tema dell’energia e dell’elettromagnetismo terrestre.
O che nello stesso padiglione stessero fianco a fianco le grandi e bellissime sculture in stoffa dell’artista argentina Florencia Martinez, che mimano degli abbracci a simboleggiare il valore dell’amore e dell’inclusione, le foto di Andrea Pepe dedicate agli ultimi della terra, e i cuori coloratissimi dell’artista Mafalda Pegollo realizzati con la polvere di scarto di altri materiali; e ancora, il video di Giovanni Motta dedicato al suo personaggio-simbolo JonnyBoy, trafitto come un San Sebastiano come metafora delle “cicatrici che l’umanità infligge a se stessa”, convivevano nello stesso spazio con le opere che il pittore siciliano Paolo Amico realizzava live con un copertone di motocicletta, esempio di come gli elementi del riciclo possano essere anche strumenti del dipingere, e non solo il loro soggetto: “ho utilizzato un rifiuto come un copertone per dare vita a un’opera che ho intitolato Il gabbiano fenice”, ci spiega l’artista, “dove si vede un gabbiano (animale presente in tutte le discariche, ndr) che si trasforma in fenice e che, come la fenice, rinasce dalle proprie ceneri, esattamente come i rifiuti possono rinascere dalle proprie ceneri tornando a nuova vita”.
Gabbiani che sono anche i protagonisti dei quadri di Gianluca Della Tommasina, un pittore che, nella vita, è operatore Cermec, ma che da sempre dipinge con passione, a dimostrazione di come l’arte impegnata nel sociale e gli stessi lavoratori di un settore così importante possano, all’occasione, confrontarsi a partire dallo stesso linguaggio.
Del resto le opere, le installazioni, le performance che si sono succedute all’interno del festival sono state davvero molte. Certo, tra le più importanti, impossibile non citare quella che ha realizzato, apposta per l’occasione, l’artista parmense Giacomo Cossio, che solitamente dipinge, con vernici ad acqua e non tossiche ma dalle tinte pop e psichedeliche, le piante, creando installazioni di grande impatto visivo che ci portano a riflettere sul rapporto tra natura e artificio, tra ambiente naturale e attività umana, e anche sui temi di una società sempre più votata al culto dell’immagine esteriore e meno alla cura del sé, alla maschera anziché alla sostanza effettiva dei fenomeni. Per il festival, l’artista ha creato una grande installazione fatta solo di rifiuti, anch’essi trasformati, grazie al potere mimetico e metamorfico del colore, in una grande installazione ambientale monocroma (colore? verde, ovviamente), che aumenta la plasticità e l’iconicità della massa dei rifiuti. Un monumento molto attuale e contemporaneo, se si pensa all’importanza del tema del rifiuto nel contemporaneo, dove l’aumento delle scorie non trattate o mal gestite rischia di soffocare terre e mari, e di uccidere flora e fauna. “L’opera”, ci dice l’artista, “si intitola Green, ed è una copertura di rifiuti umani di vernice color verde. È un’opera che vuole essere una metafora del nostro stesso comportamento, perché mi sembra che noi facciamo un po’ questo: abbelliamo il mondo con un po’ di vernice e pensiamo di avere il mondo in tasca”.
Ma molte sono state anche le opere, la presenza, l’entusiasmo manifestato in vari modi dagli stessi operatori Cermec. Come Stefano Bonuccelli che, ad esempio, da operatore di trattamento rifiuti si è improvvisato artista, installando una grande morsa meccanica (quella con cui si raccolgono e si assemblano i rifiuti), che, così piantata proprio al centro dello spazio espositivo, ricordava una piovra gigante o uno strano personaggio tra il fumettistico e il fantascientifico (e che, senza che il suo “autore” lo sapesse, ricordava in qualche modo il famoso robot meccanico I can’t help Myself del duo di artisti cinesi Sun Yuan e Peng Yu, che spalava uno strano liquido rosso alla Biennale di Venezia di qualche anno fa). Ma qual è il senso di questa morsa che, come un ready made duchampiano, sembra guardarci tra il giocoso e il minaccioso al centro del Festival? “Rappresenta una fantastica occasione”, la definisce Bonuccelli, “per ricordare a tutti che dietro il trattamento e smaltimento rifiuti c’è molto lavoro, duro, onesto, di gente che si impegna e che crede in quello che fa. E che festival come questi aiutano a portare allo scoperto, per riportare l’attenzione sull’importanza di questo tema”.
Ancora sul tema della corretta gestione dei rifiuti era la installazione-performance dei ragazzi della Felipe Cardeña crew, che nel corso di tutto il festival hanno realizzato due grandi pannelli, ricoperti con il classico pattern coloratissimo e floreale caratteristico dello stile dell’artista cubano, i cui personaggi principali, che svettavano in mezzo ai fiori, erano un’onda del mare trasformata in personaggio dei fumetti (Ondina Feliponda), e un Pesce-pulitore con tanto di scopa in mano (Il Felipesce pulitore). Come in altre occasioni, nelle quali i ragazzi che appartengono alla crew dell’artista cubano hanno collaborato con associazioni come il WWF, realizzando anche le celebri borse, di cui sono state vendute oltre 200mila esemplari per finanziare le oasi WWF, che portavano al centro il Felipanda, sorta di Panda rap con tanto di collana d’oro, parrucca color verde e septum al naso. Un impegno, insomma, che da simbolico può a volte diventare concreto, attraverso azioni di volontariato che porta soldi alle iniziative concrete di difesa dell’ambiente.
“Un’occasione importante”, l’ha definita Giovanni Motta, “proprio perché il tema dell’abbandono degli oggetti, che a me sta molto a cuore, perché collegato a un oggetto c’è anche sempre una memoria emotiva, un passato, una storia; e l’importanza di essere qua è proprio legata al fatto che è fondamentale far capire alle nuove generazioni quanto può essere importante recuperare sia la sostanza ma anche la memoria degli oggetti che ci circondano ogni giorno”.
Un imperativo, quello di un utilizzo consapevole della gestione dei rifiuti, che per Giuseppe Veneziano, decano degli artisti neopop italiani, dovrebbe diventare “una religione per tutti”: “è questo, ci spiega, “il senso del mio lavoro dedicato a Padre Bio: far diventare questo tema un imperativo categorico, una vera e propria forma di religione, perché la difesa dell’ambiente è fondamentale per la salvezza del nostro pianeta. Ed è bello che anche l’arte possa parlare a tutti di temi così importanti, anche con una forma che può apparire leggera o ironica, come nel caso delle mie sculture”.
Sempre dedicate al tema del rifiuto sono anche le opere di Gabriella Kuruvilla, composte con pezzi di giornali e vecchi scontrini; e così, sempre utilizzando fogli di giornali come sfondo, sono realizzati i quadri di Sara Forte.
Filippo Tincolini ha lavorato invece sul tema del rifiuto con un approccio più concettuale, rappresentando una modella intrappolata dentro un sacco della spazzatura. La scultura si intitola Venus bag, e fa ironicamente anche il verso al linguaggio della moda, pur testimoniando un tema estremamente caldo e scottante: quello della violenza di genere. “Venus Bag”, ci dice Tincolini, “rappresenta un’ulteriore visione del rifiuto: il rifiuto di genere, con l’esclusione e la violenza che vengono esercitate tutti i giorni sulle donne”.
Anche Andrea Crespi ha sviluppato il suo lavoro con un approccio eminentemente concettuale. Nel quadro presentato in mostra si legge in controluce, in mezzo ai suoi caratteristici segni optical, una frase: “Don’t Waste your Time”. Un invito, dunque, a non sprecare il tempo. “Il tema”, ci dice Andrea Crespi, “è appunto quello dello spreco, che per quanto riguarda i rifiuti è un tema cruciale, perché la consapevolezza dell’importanza di non sprecare le risorse, i materiali, l’energia e il cibo è uno dei primi passi per un comportamento rispettoso e consapevole. Io con la mia opera ho voluto portarlo in un altro ambito, quello del tempo, che è la risorsa più importante che abbiamo, e che assolutamente non va sprecata come stiamo facendo con tante altre nostre risorse naturali”.
Non poteva poi mancare Paolo Nicolai, che, ci racconta Lorenzo Porzano, è stato il primo a intervenire all’interno dello spazio iniziando una collaborazione con Cermec, e diventando di fatto uno di quelli che hanno dato vita al Festival con lo stesso Porzano. “Utilizzo materiali di recupero per le mie composizioni”, ci racconta Nicolai, “ispirate alla classicità e ai modelli di artisti come Fidia, Prassitele, Michelangelo e Canova. Lavoro con materiali di ogni tipo: marmo, teflon, PVC, vetro, persino medicinali scaduti e aghi di tatuaggi usati. Non volendo usare marmo o bronzo, perché le risorse naturali si stanno via via erodendo, ho scelto di trasformare questi scarti in materiali nobili, dando una mia personale reinterpretazione della classicità con un occhio alle tematiche ambientali”.
Come alle tematiche ambientali è sempre stato legato il lavoro di Lorenzo Filomeni, in arte Lofilo, che per realizzare i suoi lavori ha utilizzato nel corso del tempo i materiuali più vari, dalle scaglie di ruggine ai filtri delle sigarette, con cui ha realizzato i lavori presenti al Festival. Infine, anche lo scultore Alfio Bichi ha messo la sua energia e la sua creatività per sensibilizzare, in maniera eclatante e spettacolare, sul tema del riciclo: nel corso del festival ha infatti realizzato numerose sculture tagliando scarto di legnami e di alberi con la motosega. Come a ricordare che anche dagli scarti possono nascere grandi opere.