Conservazione e innovazione: il restauro di manufatti in nitrato e acetato di cellulosa

Una giovane restauratrice, Miriam Damiano, si sta dedicando alla conservazione di manufatti in nitrato e acetato di cellulosa, materiali tipici del design industriale tra la seconda metà dell’Ottocento e il Novecento. Questo progetto, diventato anche una tesi di laurea, si avvale della collaborazione con YOCOCU APS di Roma, un’organizzazione fondata nel 2008 che promuove la green conservation, di cui approfondiremo in un prossimo articolo.

I sette manufatti esaminati, custoditi presso la Fondazione Plart di Napoli, coprono un arco temporale che va dal XIX secolo agli anni ’80 del XX secolo. Il Plart, entrato a far parte dei Giacimenti del Design Italiano nel 2010, è un centro dedicato alla storia dei materiali sintetici e alla promozione dell’uso consapevole delle plastiche. Dal 2021, è stato riconosciuto come Istituzione di Alta Cultura, inserito nei Luoghi del Contemporaneo grazie al progetto del MiC per la mappatura dell’arte contemporanea.

Tra gli oggetti restaurati troviamo:

  • Un pettine a tre denti in finta tartaruga (marchio KROKO);
  • Un pettine a quattro denti;
  • Una scatola cerise rossa della scuola di René Lalique;
  • Un porta sigarette francese in finta madreperla;
  • Occhiali Banana di Thema;
  • Due spille animaliér, Volpe e Gatto, firmate Lea Stein.

Nonostante il loro valore storico e tecnico, i manufatti in nitrato e acetato di cellulosa presentano gravi problematiche di conservazione. Questi materiali, infatti, sono soggetti a fenomeni di degrado come la fuoriuscita di plastificanti, che genera patine untuose, crepe o deformazioni, e la sindrome dell’aceto, un processo di idrolisi che produce acido acetico, accelerando il deterioramento e provocando cattivi odori. Per preservare questi oggetti, si è resa necessaria una ricerca approfondita sui protettivi più adatti. Tra i materiali testati figurano cera microcristallina, Regalrez 1094, chitosano in etere di cellulosa e collagene in etere di cellulosa.

I test di laboratorio, condotti attraverso cicli di invecchiamento accelerato e analisi spettroscopiche, hanno evidenziato che chitosano e collagene sono risultati i protettivi più efficaci, grazie alla loro adesione al substrato, facilità di rimozione e assenza di residui dannosi, garantendo così la reversibilità del trattamento. Cera microcristallina e Regalrez 1094, al contrario, hanno mostrato limiti significativi, come una protezione temporanea contro l’umidità, opacizzazione della superficie e alterazione cromatica.

Il chitosano, un biopolimero biodegradabile derivato dalla chitina (presente in crostacei e funghi), si è rivelato un prodotto innovativo per il restauro. Grazie alle sue proprietà antimicrobiche e chelanti, è in grado di creare una pellicola protettiva sottile e trasparente, senza alterare l’essenza dei manufatti. Oltre al restauro, il chitosano trova applicazione in settori come l’enologia, il giardinaggio e l’industria alimentare, contribuendo alla riduzione dell’uso di plastiche non biodegradabili.

Questi oggetti, spesso sottovalutati nel panorama della conservazione, meritano un riconoscimento adeguato per il loro ruolo di icone del design internazionale. La loro fragilità richiede soluzioni innovative che coniughino tecnologia, sostenibilità e rispetto per il patrimonio culturale. Il futuro del restauro può così diventare un laboratorio per la sperimentazione di materiali e metodi all’avanguardia, aprendo nuove strade verso una conservazione più consapevole e sostenibile.

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