Il Tempo del Futurismo? Come Sanremo: bistrattato e popolare. Tra proroghe e molte novità…

Può sembrare bizzarro – antigrazioso direbbero i futuristi – iniziare raccontando quanto accaduto al Festival di Sanremo: coperto d’improperi prima dell’apertura e trionfalmente popolare negli esiti. Gli altezzosi, quelli che s’illudono tra loro di contare qualcosa, giudicavano improponibile la rassegna tradizionale italiana, la trovavano gretta, insensibile alle istanze contemporanee, ai diritti delle minoranze, alla dissoluzione climatica, etc, sollecitavano ancora i “nobili” pistolotti tra una canzone e l’altra e qualche bacetto in bocca proibito. Eppure il Festival degl’impresentabili si è concluso con un trionfo numerico e di gradibilità del Paese senza precedenti, con tutti i record stracciati, con ascolti post-festival mai visti e decine di milioni di visualizzazioni. Ridicolizzati anche quelli dell’irraggiungibile Amadeus, l’onnipotente paladino dei diritti. Forse meglio ricordare che le manifestazioni pubbliche, siano artistiche, musicali, cinematografiche o letterarie, alle volte possono riguardare anche gli umili mortali che, nel caso dei numeri del Festival, si è costretti ad ammettere che han convinto anche i più esigenti.

Achille Funi Composizione uomo che scende dal tram olio su tela cm 1175 x 1325 1914

Sta andando così anche per la mostra Il Tempo del Futurismo a Roma, che annuncia la proroga dell’apertura fino al prossimo 27 aprile: dal 2 dicembre al 19 febbraio dichiarati oltre 80.000 visitatori e catalogo (Treccani) esaurito e ristampato: mai viste tante presenze dalla mostra dedicata dalla GNAMC a Van Gogh: incredibile per l’Avanguardia criptata e ripudiata per oltre 80 anni e anche oggi – con ogni evidenza – mal digerita dai soliti noti.

Così vanno le cose e lo stepitìo sdegnato di questi mesi, il giudizio a priori d’impresentabilità, le beghe e le esclusioni curatoriali, il ritiro delle opere dalla mostra, la smania di presenzialismo televisivo e radiofonico degli esclusi, la presunta indecenza curatoriale rispetto alle scelte e alle datazioni, i complotti governativi, alla fine hanno sortito l’effetto esattamentre contrario. Cosa vuol dire tutto questo? Mah, senza ribadire attribuzioni di qualità sul Futurismo già riconosciute dalla storia, i detrattori han sbagliato strategia non ricordando il motto Male se ne parli purchè se ne parli, pur tanto caro ai profeti dell’arte contemporanea, che cavalcano da decenni la tigre esausta della dissacrazione fino a raggiugere oggi livelli di banalità assoluta, pur camuffata da avanguardia e amplificata dai proclami roboanti diffusi ai quattro venti dai signori del lusso che governano a milionate il sistema.

Invece il Futurismo, con ogni evidenza numerica, ha conquistato la gente, ovvero ha ribadito la sua funzione storica popolare, i suoi intenti dichiaratamente virali, la sua ossessione per la gioventù e la sua emancipazione, anche lavorativa: è questo è il miglior risultato della mostra, il più calzante storicamente, ineccepibile perché riscontrabile numericamente in modo incontestabile.

Ma fino ad oggi, tra articoli e servizi televisivi sdegnati, credo non si sia abbastanza trattato sulle novità della mostra, che nasconde autentiche novità degne di attenzione, oltre quelle decine di capolavori già consacrati unanimemente

De Pistoris Federico Pfister Donna e ambiente olio su tela cm 200×130 192

La mia idea è quella di fare una mostra in divenire che si rinnova come pensavano i futuristi“, così scrive testualmente il curatore Simongini, descrivendo le intenzioni della proroga. Verranno aggiunti autentici capolavori con datazioni importanti: lo studio de La Città che sale di Umberto Boccioni del 1910, Ritmi di oggetti di Carlo Carrà del 1911 e Profumo di Luigi Russolo, pure del ’10, meraviglia di transito dal Divisionismo e inamovibile dal Mart di Rovereto fino ad oggi, con tutti i grandi musei internazionali che hanno confermato i loro prestiti (Moma e Metropolitan di New York, Estorick Collection di Londra, Kunstmuseum Den Haag de l’Aia e la quasi totalità dei prestatori privati).

Ma, nel silenzio degli “specialisti”, la mostra presenta novità nazionali rilevanti.  

Gino Galli Dinamismo meccanico e animale olio su tela cm 62×68 1914 16

La riscoperta del vituperato Achille Funi con un incredibile Uomo che scende dal tram del ’14; il Dinamismo meccanico di Gino Galli, un protagonista considerato di seconda linea, amico e allievo di Balla (l’ennesimo..), forse il primo a ricevere informazioni da Düsseldorf sul miracolo delle Compenetrazioni iridescenti che lo condurranno sulla soglia dell’Astrazione, artista-curatore presente invece in tutte le grandi mostre sul Futurismo dei ’10-’20 e aggregato all’Arte Meccanica nel ’22.

Giuseppe Cominetti, invisibile seguace di Severini che lo presenterà a Boccioni nel ’10 addirittura come possibile firmatario del Manifesto della pittura futurista. Pur di estrazione simbolista, ormai in fin di vita, Marinetti presenterà a Roma nel ’29 la sua personale, a dimostrazione della sua considerazione in ambito futurista. Lo sconosciuto Mario Monachesi (non Sante, pure presente in mostra), ribattezzato Chesimò dallo stesso Marinetti per distinguerlo dall’altro, sarà protagonista nei ’30 del Gruppo Boccioni di Macerata, sviluppando sonorità importanti in ambito musicale, incredibilmente assente anche nella pur lodevole Nuova Enciclopedia del Futurismo Musicale di Daniele Lombardi. Estro musicale pressochè inedito, che si aggiuge a Russolo, Balilla Pratella, Silvio Mix e Franco Casavola.

Fides Testi Stagni Rifornimento nel deserto olio su compensatol cm 82 x 81 1930 31

Il Rifornimento nel deserto di Fides Testi Stagni del ’31, ennesima donna-futurista, con le pur esposte Benedetta Cappa Marinetti, Barbara, Regina, Marisa Mori, esporrà alle Biennali del ’34 e ’36, alla Quadriennale del ’35, a dimostrazione di quanto il Futurismo abbia promosso il talento femminile – unica Avanguardia ad averlo fatto – pur in presenza dell’abusato disprezzo della donna citato provocatoriamente da Marinetti riferendosi però alla donna passatista-custode-del-focolare: quindi, con ogni evidenza numerica, Fides e le altre futur-donne disinnescano l’ennesimo pregiudizio strumentale sul Futurismo.

Concludendo questa rapida ricognizione con il capolavoro di Arte Meccanica Donna e ambiente dello sconosciuto De Pistoris (Federico Pfister, svizzero di nascita), grande formato 200×130 cm del ’22, che ho serenamente scambiato per un eccellente Prampolini (esposto a fianco), per la sua incredibile struttura formale e la risoluzione cromatica sfavillante.

Una nota merita Leonardo Dudreville, presente in mostra con un Paesaggio visionario del ’14 e una Vetrina di fioraio del ’15, già operativo in ambito futurista nel ’10, messo al corrente da Boccioni in una lettera dell’ormai prossimo lancio del Manifesto della pittura futurista, che poi lo ostacolerà negandogli l’ingresso nel Movimento, costringendolo verso la costruzione di Nuove Tendenze da protagonista, dove, vale ricordarlo, Antonio Sant’Elia lancerà il Manifesto dell’Architettura, prima del suo passaggio – con relativo scippo – nel Futurismo.

Infinite cose di cui parlare, infiniti artisti, letterati, scenografi, musicisti da riscoprire, infinite storture da smascherare, infinite mostre futuriste da poter costruire: il Dizionario del Futurismo edito da Vallecchi annovera oltre 10.000 futuristi operativi, molti ancora nei cassettoni della nonna.

Tanto piovve che spuntò il sole. Fino al 27 aprile, a Roma.

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