Attualmente tra i più rilevanti collettivi di arte urbana emergenti in Italia, Guerrilla SPAM ci racconta il proprio modo di vedere il mondo dell’arte in questa intervista a 360 gradi.
Guerrilla SPAM (qui il sito) è un progetto di street art che nasce, come si legge nel manifesto nel loro blog «come spontanea azione non autorizzata negli spazi pubblici. Agisce in modo diretto, non invasivo, rispettando lo spazio come luogo di tutti. È anonimo, libero e autonomo. Il suo principale scopo è comunicare con le persone». Un gruppo di artisti che, nel protestare contro la disinformazione mediatica, si rivolge direttamente al cittadino, utilizzando lo spazio urbano al pari di un museo, una galleria o una fiera, senza far pagare il biglietto e senza vendere alcuna opera esposta. Attualmente tra i più rilevanti artisti urbani emergenti in Italia, il collettivo ci racconta il proprio modo di vedere il mondo dell’arte in questa intervista a 360 gradi.
So che il progetto Guerrilla SPAM e’ germogliato dall’unione di diverse “teste” che si sono incontrate nell’Accademia di Belle Arti di Firenze. Come è nata questa unione?
Ci siamo conosciuti a Firenze e siamo diventati amici. Abitavamo insieme e durante questa convivenza, senza deciderlo ed in modo molto spontaneo, abbiamo cominciato ad attaccare dei poster nelle strade. In un secondo momento abbiamo scelto il nome SPAM, a volte ci firmavamo solo così, richiamando il concetto di “messaggio non desiderato dall’utente”. Successivamente e’ stato aggiunto il nome Guerrilla riferito all’attacchinaggio in strada che, sotto un certo punto di vista, può intendersi come una guerriglia. Il gruppo e’ vario: oggi alcuni di noi si sono trasferiti a Torino, altri invece sono rimasti a Firenze.
Come è nato il vostro rapporto con la strada?
Dopo il primo attacchinaggio sulle pareti del bagno dell’Accademia, che fu un po’ la “prova zero”, abbiamo deciso di andare per le strade. In quei primi anni gran parte delle scelte fatte dal gruppo non erano molto pianificate, le potremmo descrivere come azioni inconsce e spontanee. Allo stesso modo è nata l’idea di utilizzare lo spazio urbano. I primi attacchinaggi erano un’uscita come tante altre: invece di andare a bere una birra in piazza, andavamo ad attaccare poster. C’era la volontà di usare lo spazio pubblico per “dire qualcosa”, tuttavia, le nostre, non erano uscite programmate a tavolino. Al contrario, oggi Guerrilla SPAM è molto più strutturato, abbiamo compiti e funzioni differenziate, e ci alterniamo nei progetti; comunque sia, ci piace ricordare che tutto è nato in modo spontaneo e con molta naturalezza.
Tra le diverse tecniche che si possono utilizzare in strada, perché Guerrilla SPAM ha scelto la carta?
Anche questa e’ stata una scelta non pianificata. Riflettendoci negli ultimi anni siamo arrivati a credere che la città stessa nella quale eravamo, ovvero Firenze, ci ha condizionato nel supporto da utilizzare. Se fossimo vissuti in città come Torino o Milano probabilmente avremmo cominciato ad utilizzare gli spray o altri strumenti. Nascendo però a Firenze, siamo stati inconsciamente influenzati dal valore storico dei muri e degli edifici. E’ una città abbastanza opprimente, c’è quasi un gioco di forze che ti obbliga ad agire in un determinato modo, senza scelta. Frequentavamo l’Accademia di Belle Arti e di conseguenza il centro storico; sarebbe stato molto strano e limitativo utilizzare gli spray. Di conseguenza abbiamo optato per l’utilizzo della carta, realizzando disegni in bianco e nero. Anche la scelta dei colori è stata casuale, più che altro dettata da un discorso economico perché le fotocopie in bianco e nero non costavano niente… Abbiamo iniziato con dei fogli A3 che fotocopiavamo ad una copisteria vicino l’Accademia e che incollavamo insieme.
Che cos’è la Poster Art per Guerrilla SPAM?
È una tecnica pratica e veloce. Il nostro principale obbiettivo rimane quello di comunicare con le persone nello spazio pubblico. Per fare questo cerchiamo di avere un segno chiaro e dei contenuti il più possibile comprensibili, che tuttavia possono avere più livelli di lettura, più significati e interpretazioni. Essere chiari quindi senza però fare lo slogan da manifestazione come “abbasso la guerra” o “viva la natura” che sono tutti pensieri condivisibili ma poco stimolanti a livello di interazione sociale perché producono solo un “si, sono d’accordo” o un “no, non lo sono” senza generare riflessioni nuove. Invece il poster, che può essere studiato e lavorato con calma per settimane prima di essere affisso, è una forma di espressione complessa, sia a livello estetico che concettuale, in quanto a differenza della tag o dello stencil fatti in velocità sul momento, può essere concepito con calma e studio. A distanza ormai di quasi dieci anni da quando abbiamo iniziato, adesso lavoriamo molto con la pittura su muro (più in linea con quel muralismo di altri tempi, come quello messicano, che con l’odierna street art) ma non abbiamo mai abbandonato il poster, che rimane per noi un gesto spontaneo, non autorizzato e essenziale per esprimerci quotidianamente. È una forma di parola che ci viene naturale e che ci permette di affermare la nostra cittadinanza attiva; è un modo per dire che lo spazio pubblico è anche nostro, senza trasformarlo però in proprietà privata, perché, dei nostri poster, ognuno poi può fare quello che vuole, staccarseli come bruciarli.
So che nelle vostre opere ci sono dei riferimenti a Durer, Pontormo, Goya, Bosch e Brueghel. Me ne volete parlare?
In realtà i riferimenti sono moltissimi. Per diverso tempo Bosch, Brueghel e i fiamminghi sono stati una grande fonte d’ispirazione, non dal punto di vista stilistico, ma nella ricerca dei simboli e allegorie. Esempi come i proverbi illustrati da Brueghel ci hanno fatto comprendere l’uso delle metafore per raccontare storie e per trasmettere valori. A partire da questi spunti siamo tornati indietro nella timeline dell’arte, interessandoci a tutto il periodo medioevale. Nel Medioevo si incontrano raffigurazioni sproporzionate, alcune volte goffe e sbilenche, che non mirano a copiare la natura ma a rappresentare attraverso i simboli dei significati. Al contrario, con la prospettiva e gli studi di Leon Battista Alberti, il Rinascimento ha inseguito l’idea della copia del reale, una missione a dir poco idealistica (proprio come il mito della “città ideale”, che si consolida, appunto in quei tempi).
In generale, non amiamo l’arte romana e rinascimentale perché il mondo di oggi, quello globalizzato (da intendere la globalizzazione nel suo lato più negativo), ci sembra il riflesso di quello che e’ stato pensato in queste due società strettamente connesse tra di loro. Il medievalista Le Goff, in uno dei suoi testi, fa un parallelismo tra l’organizzazione delle strade dei romani e quelle del Medioevo: nel primo caso le vie erano perfette, squadrate, con diversi strati e tipologie di terra proprio per essere efficienti nel permettere il trasporto di truppe e merci. Nel secondo caso, invece, le strade romane cadono in disuso, spuntano i sentieri sterrati che portano alle chiese, alle case, ai mercati dei paesi, sono in terra battuta e si creano col calpestio dei viandanti. Questo parallelismo diventa una metafora di ciò che rappresentano il mondo greco-romano e rinascimentale rispetto a ciò che è stato il Medioevo. Le strade romane sono come quei canoni di bellezza riproposti per secoli che in qualche modo hanno globalizzato anche l’arte, i sentieri medievali, invece, ci conducono verso una ricerca più naturale e simbolica, ricca tuttavia di fosse, fallimenti, tentativi andati a vuoto; sono meno funzionali ma più originali. In linea con questa ricerca abbiamo lavorato molto anche sull’arte paleocristiana, egizia, cretese e micenea. Il muro di 120 metri realizzato a Bologna sulla Bolognina riprende, ad esempio, molti elementi dell’arte egizia. Siamo interessati anche all’arte mesopotamica e bizantina e, già da tempo, studiamo l’arte dell’Africa sub-sahariana, una forma di creazione che non si dovrebbe neppure chiamare “arte”. Spostandoci più avanti nella timeline dell’arte, altri riferimenti sono Durer, Pontormo, Beccafumi, Goya, Grosz, Dix, e i muralisti messicani. Insomma, tutto tranne quel rinascimento fiorentino che tutti amano.
Nel corso del tempo avete allestito diverse mostre non autorizzate. Cosa pensate dei criteri espositivi della strada? Secondo voi esistono?
È interessante come si stratificano le opere in strada e anche in questo caso vediamo un legame concettuale con il Medioevo. In questo periodo storico le architetture si costruivano in modo organico, con un rispetto, forse inconsapevole, verso il contesto esistente. Con il Gotico, l’uomo ha eretto grandi stabili monumentali, belli quanto mostruosi; basta pensare alla cattedrale di Orvieto in piazza del Duomo: se si osserva la struttura di questa piazza si nota che e’ circondata da molteplici piccole abitazioni color tufo e pietra di un altezza media di circa un piano, interrotte dalla grande cattedrale bianca e nera. Santa Maria Assunta, pur nella sua folgorante bellezza, spezza l’ordine organico del contesto come un monolite caduto dallo spazio. In linea con i criteri di progettualità urbanistica medioevale, sui muri oggi si possono trovare tag, stencil o poster, a volte anche leggermente sovrapposti, stratificati, esattamente come nel Medioevo si costruivano case l’una attaccata all’altra. Basta guardare il profilo di Ponte Vecchio o i vicoli di Siena e Cortona: bagni arrabattati e sporgenti si affiancano a capriate che vanno da una casa all’altra, e archetti in mattoni sorreggono i muri aggrappandosi un po’ qui e un po’ la, proprio come i moderni segni e disegni stratificati nello spazio urbano. Poi arriva il cartellone di sei metri per tre con la pubblicità di una bibita a rovinare tutto… come la cattedrale gotica nella piazza di Orvieto. Quindi forse il criterio espositivo migliore, nella strada, è non avere criterio avendo però cultura.
Cosa pensa Guerrilla SPAM dello spettatore urbano? E questo spettatore, vuole davvero vivere l’arte attraverso la strada?
Innanzitutto lo spettatore urbano vive lo spazio in maniera non consapevole e, secondo noi, l’aspetto più negativo di come questo affronta l’arte (che sia in un contesto urbano o in un ambiente chiuso) e’ che la vede, la osserva, la analizza e la capisce in modalità rapide e non attraverso letture lente. Modalità molto simili all’acquisto consumistico, al concetto di vedo-compro-consumo, processo che si realizza in tempi piuttosto veloci. Altro esempio rappresentativo di queste dinamiche di assimilazione e’ il web e le chat, in cui l’apprendimento, la navigazione e il dialogo risultano frenetici. La lettura lenta non esiste più e, ovviamente, questa è una perdita. Anche la pubblicità ha influito molto nello sviluppo della comunicazione veloce: per essere efficace, utilizza un linguaggio che non deve avere tempi di lettura, deve essere recepito all’istante senza lasciarti pensare. Questo meccanismo è l’opposto di ciò che dovrebbe essere utilizzato nella comprensione dell’arte, ma il pubblico è abituato a procedere secondo tale modalità. Uguali dinamiche si verificano nello spettatore urbano: che sia la cupola del Brunelleschi o uno stencil, si riduce spesso a non comprenderne il significato, ma allo stesso tempo ne fa una foto da pubblicare sui social o da inviare ad un amico. Oltretutto chi cammina per strada spesso non ne sa nulla di arte, anzi l’uomo comune se pensa all’arte, spesso la identifica in due modi: con quelle cose vecchie che trova nei musei, o con quelle cose nuove e incomprensibili che trova nelle gallerie (come troppo spesso accade con l’arte contemporanea). Il caso della Street Art, con tutti i suoi contro (che sono più dei pro), ha il piccolo merito di aver avvicinato le persone ad un certo tipo di arte attraverso il rapporto quotidiano, anche se la maggior parte di ciò che si vede in strada non sono prodotti di qualità estetica e concettuale profonda, e quindi viene da chiedersi se lo spettatore ne abbia guadagnato o meno.
Come funziona, secondo voi, il mercato della Street Art?
Rispetto a questo discorso facciamo una piccola premessa: per far funzionare le cose in modo sano non ci dovrebbe essere una mercificazione dell’arte perché quando si attribuisce un valore economico ad una creazione, questo valore prevale su altri valori fondamentali ovvero quelli estetici e concettuali. Oggi è folle pensare all’arte disconnessa dal mercato, ma allo stesso tempo questo meccanismo sancisce la fine della fruizione e soprattutto della libertà di fruizione. Proprio in funzione di ciò a noi piace lasciare l’inesattezza del valore economico delle nostre opere, lasciando lo spettatore libero. Per quanto riguarda il mercato della Street Art, funziona come il resto del mercato dell’arte. Il pubblico dei collezionisti è però diverso, principalmente suddiviso in due gruppi: da un lato c’è chi colleziona serigrafie e stampe che hanno costi più accessibili, dall’altro chi colleziona opere di prezzo maggiore come tele, sculture, installazioni ecc.. In Europa e nelle grandi città è diffusa la commercializzazione delle opere d’arte urbana, ma nelle piccole realtà come Firenze il mercato e’ ancora debole. Al di là della Street Levels Gallery o dello studio di Clet all’interno del quale vende opere e souvenir, non esistono gallerie a Firenze che espongono e commerciano arte urbana.
In realtà quello della vendita è per noi un discorso secondario perché il reale nostro sostentamento avviene attraverso progetti, lezioni nelle scuole, laboratori di pittura e muralismo pubblico. Siamo più improntati sul discorso della didattica, che sul vendere opere. Di tele ne abbiamo fatte una volta sola per un progetto a Torino presso la galleria Galo Art Gallery, che si componeva di una serie di dipinti ad olio e un’esposizione in strada in parallelo (puoi dare un’occhiata al lavoro nel libro Alla mia Nazione). Lo stesso vale per la galleria Lazlo Biro a Roma dove abbiamo esposto con Hogre opere che bruciavamo ogni giorno sui muri dello spazio, o con la USB Gallery di Jesi con cui abbiamo da poco sviluppato un lavoro sull’Africa con installazioni precarie, in carta e foglia d’oro, create appositamente per quello spazio sotterraneo, non badando alla vendibilità dei pezzi.
Poi vendiamo libri, che sono nostre autoproduzioni (tranne qualche saltuaria collaborazione), stampe, disegni, serigrafie e sketch. L’unico intermediario con cui siamo in contatto è Galo, innanzitutto perché prima di essere un gallerista è un artista (e la differenza si nota) e poi perché c’è un legame di amicizia dietro. Per queste motivazioni è l’unico gallerista con cui lavoriamo attualmente, altrimenti vendiamo i lavori attraverso i nostri canali senza dare a persone che non conosciamo delle percentuali sulla vendita. Detto questo non pensiamo che sia necessario fare i puristi ed essere totalmente abietti al mercato, anzi è parte integrante del sistema, però, preferiamo dedicare il nostro tempo a studiare dei progetti pubblici piuttosto che dipingere tele per i collezionisti.