L’ultimo remake live-action della Disney arriva sullo schermo non tra i migliori auspici, muovendosi con la cautela di chi, nel timore di inciampare, finisce per procedere senza slancio. Biancaneve, affidato alla regia di Marc Webb, giunge sugli schermi avvolto nel manto della controversia, piรน oggetto di dibattito che di autentica attesa, trascinando con sรฉ il peso di una produzione travagliata, segnata da polemiche piรน rumorose della sua stessa poetica filmica.
Non c’era bisogno di una mela avvelenata per avvertire il sentore del disastro: una campagna promozionale tiepida, le dispute sulla scelta del casting e l’ormai consueta tensione tra le spinte progressiste e la tempesta reazionaria hanno finito per lasciare sulla pellicola il marchio dell’indecisione. Se il cinema, come lโarte tutta, vive nel rischio e nellโaudacia, Biancaneve si ritrova invece prigioniero di un’equazione che mira a soddisfare tutti, finendo per non convincere nessuno.

Disney si trova oggi in una crisi dโidentitร , sospesa tra lโambizione di riscrivere il mito e la paura di tradirlo. Il risultato? Unโopera senza volto, senza magia, un canto stonato che cerca la melodia giusta tra le macerie della memoria collettiva. Questa fiaba immortale, che per decenni ha acceso lโimmaginazione di generazioni, qui si riduce a un canovaccio senza mordente, sbiadito come un vecchio affresco su cui troppi hanno provato a ridipingere senza coerenza.
La protagonista, Biancaneve, interpretata dalla talentuosa Rachel Zegler, si muove in un universo che dovrebbe essere incantato ma che risulta asettico, privo della magia palpabile che animava il classico del 1937. Lโeroina moderna, indipendente e determinata, appare intrappolata in un copione che non osa mai veramente esplorare il suo potenziale. La sua parabola di crescita, che avrebbe potuto tradursi in una narrazione potente sulla scoperta di sรฉ e sulla resistenza allโoppressione, si riduce a unโombra di ciรฒ che avrebbe potuto essere.
Se lโoriginale Biancaneve era il sogno febbricitante di un’epoca che cercava conforto nellโanimazione, questo remake si limita a una messa in scena priva di fascino, un meccanismo narrativo che procede per inerzia senza mai trovare il proprio battito. Perfino i sette nani, un tempo cuore pulsante della fiaba, vengono qui ridotti a marionette digitali, svuotati di quellโumanitร buffa e commovente che li aveva resi immortali.
E poi cโรจ la Regina Cattiva, che nel classico disneyano era unโicona di terrore sublimato, una presenza tanto affascinante quanto spaventosa. Gal Gadot, purtroppo, non riesce a restituire la stessa inquietante regalitร : il suo personaggio si perde in unโesecuzione troppo marcata, fatta di smorfie e toni esasperati, che la privano di quella sottile, glaciale crudeltร che avrebbe potuto renderla memorabile.

Nemmeno il comparto visivo riesce a salvare il film dal naufragio. Il worldbuilding, piatto e artificioso, sembra piรน un videogioco senza texture che un regno da fiaba. La fotografia, invece di avvolgere la storia in atmosfere evocative, opta per unโestetica generica, che lascia un senso di freddezza e distacco. E se lโanimazione tradizionale del 1937 era un miracolo di fluiditร e calore, qui lโabuso della CGI genera un effetto straniante, che priva il film di qualsiasi consistenza tattile.
La musica, elemento fondamentale nella mitologia disneyana, qui viene trattata come unโappendice priva di anima. I riarrangiamenti delle canzoni storiche mancano di quel tocco lirico che le aveva rese iconiche, e la componente musicale, anzichรฉ esaltare la narrazione, sembra trascinarsi per inerzia, incapace di lasciare il segno. Questo film avrebbe potuto essere una rilettura vibrante, un ponte tra la tradizione e lโinnovazione, un atto di coraggio in un panorama cinematografico sempre piรน privo di audacia. Invece, รจ un esercizio di equilibrismo sociale e produttivo che finisce per annullare qualsiasi guizzo creativo.