Visto che quest’anno è tornato in auge il futurismo (e il successo della mostra alla Gnamc di Roma “Il tempo del futurismo” è lì a dimostrarlo), e poiché il futuro – più che il futurismo –, è oggi più che mai un oggetto misterioso da indagare, in tempi in cui tutto sembra cambiare vorticosamente sotto i bombardamenti delle nuove, mirabolantissime e intelligentissime tecnologie ultramoderne (leggi AI); noi proveremo, in questo elenco di Buoni e cattivi propositi per l’anno testè iniziato, a proporvi e sottoporvi qualche modestissima proposta per affrontare l’anno che verrà traendo spunto proprio dai testi e dai concetti di quei nostri futur-antenati che tanto avevano predetto e profetato di ciò che ora noi ci apprestiamo a vivere sulla nostra pelle.
L’arte sia libera e feroce
L’arte sia libera, feroce, sboccata quando serve, scorrettissima e spietata. Non si diano, non diciamo censure, ma cavillosi distinguo, inviti e poi inviti strategicamente ritirati, e ditini alzati per denunciare quei testi così sconvenienti e violenti e “sessisti” e di “pessimo esempio per i giovani” di cui non si è fatto che parlare in quest’ultimo giro di boa del 2024 a proposito di trapper e cantanti e giovinastri periferici rovinatori della gioventù.
Sentite un po’ cosa scriveva Marinetti: “La donna nuda è leale. La donna vestita è sempre un po’ falsa. La carne della donna è sempre buona. Lo spirito della donna tende alla cattiveria e alla perfidia”. E ancora: “Il cervello è il motore aggiunto e inadatto al chassis (la struttura portante delle varie parti che costituiscono una macchina, ndr) della donna che ha per motore naturale l’utero. Il cervello sforza, sfascia e deforma la donna che lo porta”. Parole di fronte alle quali il bitch pronunciato dai nostri Tony Effe e trapperia cantante è un blando eufemismo (“Prendo una bitch,/diventa principessa/Le ho messo un culo nuovo,/le ho comprato una sesta”).
Era sessista, Marinetti? A difenderlo, se di difesa ha bisogno, basterebbero le parole di Enif Angiolini-Robert, scrittrice e potessa parolibera, che, dalle colonne de “L’Italia futurista”, dove a seguito del marinettiano Come si seducono le donne prese avvio un dibattito sul “problema femminile”, risponde al creatore del Futurismo: “per questa bella sghignazzata che risuona altissima nel coro piagnucoloso dei nostri censori siete assolto anche dalle piccole perfidie sulle quali v’indugiate con piacere”, e perciò “tutte le donne intelligenti sono con voi, e vi perdonano sorridendo i paradossi”. Marinetti non era sessista: era un poeta, un agitatore, un artista, e come tale lasciava a briglia sciolta il suo eloquio, la sua creatività, la sua follia, la sua immaginazione; e, se a volte castronava, castronava da poeta.
Non ci sono buoni esempi da dare
L’arte non dia mai il buon esempio. Chi pensa o sostiene che l’arte debba “dare il buon esempio”, ai giovani o ai meno giovani, non ha capito nulla né dei giovani, né dei meno giovani, e neppure dell’arte. L’arte dei buoni sentimenti è triste e deprimente; l’arte che celebra gli eroi, siano essi politici o “civili”, è triste retorica da monumento funebre, anche se fatta sui muri a suon di bomboletta spray; l’arte che vuole piacere, è piaciona; l’arte che liscia il pelo ai difensori della morale, del buono e del giusto, non è né buona né giusta, è solo ordinaria. Nessuna buona forma d’arte ha mai dato prova di saggezza e di moralità. Marinetti: “L’arte è rivoluzione, improvvisazione, slancio, entusiasmo, record, elasticità, eleganza, generosità, straripamento di bontà, smarrimento nell’Assoluto, lotta contro ogni catena, danza aerea sulle cime brucianti della passione, distruzione di ruderi davanti alle divine velocità, varchi da aprire, fame e sete di cielo… Creare vivendo. Talvolta contraddirsi. Affermare, slanciarsi, battersi, resistere, riattaccare! Indietreggiare mai!”.
Non un balsamo, ma un alcool inebriante
L’arte non può dare esempi, l’arte è. Chi pensa che “i giovani” – se mai esiste una categoria univoca siffatta –, si faccia influenzare da un’arte “riprovevole”, non sa nulla d’arte né di psicologia. Il ragazzo, la ragazza, l’uomo, la donna, si trovano sempre da sé i propri cattivi maestri. Quando l’arte parla del nulla, quando si lambicca su questioni di stile e di linguaggio, non incide e non importa a nessuno, se non al circolino dei critici e dei professori. Quando la scrittura e la poesia parlano una lingua edulcorata, lambiccata, le loro parole non risuonano in nessuna testa. Quando la trap parla la lingua dei ragazzi, i ragazzi cantano e ripetono mille e mille volte le sue strofe. Se non capite quel linguaggio, lasciate perdere, ma non pensiate che esso possa dare alcun “cattivo esempio”: semplicemente, quelle strofe risuonano in una società che le ha già create, assimilate, diffuse e fatte sue. Marinetti: “L’arte deve essere non un balsamo, un alcool. Non un alcool che dia l’oblio, ma un alcool di ottimismo esaltatore, che divinizzi la gioventù, centuplichi la maturità e rinverdisca la vecchiaia…. Solo l’inebriante alcool dell’arte potrà finalmente sostituire e abolire il tedioso volgare e sanguinario alcool domenicale delle taverne del proletariato”.
Dalla pittura alla AI, vigore ai linguaggi
“Il presente non mai come in questi tempi apparve staccato dalla catena genetica del passato, figlio di se stesso e generatore formidabile delle potenze future. Le voci che si levano dal Mondo, i moti che il Mondo medesimo inaugura per opera dell’Umanità rivelata, suscitano echi e proiettano miraggi di meraviglia sulla distesa delle vicende a venire. Anche i profili delle cose, degli esseri, degli eventi sembrano mutarsi”. Così Marinetti cento e passa anni fa. E oggi, che di nuovo i profili delle cose, degli esseri, degli eventi sembrano mutarsi grazie allo sviluppo della AI? Diamo linfa ai nuovi e ai vecchi linguaggi. L’arte rimanga ancorata, o torni ad ancorarsi, al complesso sviluppo delle proprie specificità, dei propri linguaggi, dei propri mestieri, della propria storia. La specificità dei linguaggi, la loro articolazione, il loro rispecchiare la complessità della vita è la linfa vitale dello sviluppo delle civiltà. L’impoverimento del linguaggio, il suo schiacciarsi su una presunta “semplificazione”, voluta dalle nuove dittature tecnologiche (AI) o dalla pseudo-democrazia digitale, per cui vince chi acchiappa più consensi e per acchiappare consensi devi abbassare il livello qualitativo delle tue proposte, è un abbaglio per gli allocchi. Al contrario, vincerà chi saprà coniugare seduzione e professionalità, universalità e specificità, capacità profetica e memoria storica. La pittura torni a far pittura, la scultura scultura, il cinema cinema, la letteratura letteratura, e così via. E la nuovissima AI, che faccia i suoi esperimenti d’intelligenza extra-umana, o sovrumana, come le più aggrada e ci aggrada, senza che questo divenga né un tabù né un nuovo idolo da adorare. Che non siano gli artisti ad inchinarsi alla banalizzazione e all’appiattimento del linguaggio da parte della AI, ma sia la AI a fornire nuovi spunti per la creatività degli artisti.
Tornare a creare
L’arte torni a parlare per simboli, per metafore, per analogie, e lasci stare l’appiattimento da sociologia del presente a cui anni di frustrazione creativa ci hanno fatalmente condotti. Non più realtà, ma più immaginazione; non più cronaca, ma più slancio profetico e inventivo. Papini (1914): “A forza di allontanarci in cerca di sempre maggiore novità le possibilità autonome [dell’arte] sembrano esaurite. Il mare dell’invenzione sembra tutto esplorato e si sta per sbarcare da un’altra costa sulla terraferma da cui s’era partiti. Il cerchio si chiude. L’arte ritorna alla realtà… ma se il metodo prendesse piede e si spingesse all’ultime conseguenze più rigorose ne verrebbe che il miglior quadro di natura morta è una camera ammobiliata” (sic). Gli artisti escano allora dalle camere ammobiliate, dalle tristi mercanzie di accumuli seriali di oggetti, e tornino liberamente a creare, a immaginare, a profetizzare.
Rinnovarsi sempre, elettrizzare l’anima
L’arte innovi sempre, sempre, sempre. Umberto Boccioni, in Trascendentalismo fisico: “Verrà un tempo in cui forse il quadro non basterà più. La sua immobilità, i suoi mezzi infantili saranno un anacronismo nel momento vertiginoso della vita umana! Altri valori sorgeranno, altre sensibilità di cui noi non concepiamo l’audacia. L’occhio dell’uomo percepirà il colore come emozione in sé. I colori moltiplicati non avranno bisogno di forme per essere compresi e forme vivranno per se stesse al di fuori degli oggetti che le esprimono. Le opere pittoriche forse saranno vorticose architetture sonore e odorose di enormi gas colorati, che sulla scena d’un libero orizzonte elettrizzeranno l’anima complessa di esseri nuovi che non possiamo oggi concepire. Usciamo forse dai concetti tradizionali di pittura e scultura che imperano da quando il mondo ha storia? Giungiamo alla distruzione dell’arte come è stata intesa fino ad oggi? Non lo so! Non importa saperlo! L’essenziale è marciare in avanti”.
in copertina: Nicola Verlato