Ci sono artisti che si ergono strenuamente come detentori e difensori di antiche tradizioni artigianali, quelli che, pezzo per pezzo, tramandano sapienza ai posteri e, in alcuni casi, ai figli e ai nipoti. E’ questo il caso di Carlo Zoli, scultore e ceramista faentino di assoluta maestria, la cui famiglia ha plasmato l’argilla e la cultura artistica della regione per generazioni.
Attraverso i suoi lavori che intrecciano mito, storia e leggenda, Carlo si avventura in un viaggio che attraversa l’umanità e il tempo, scegliendo temi che riecheggiano l’eco di un’epoca antica eppure ancora così presente. Egli descrive il suo processo creativo come un atto di demiurgia, dove da una semplice visione nascono forme tridimensionali, mescolando tradizione, mito e innovazione in un balletto di terra, fuoco e colore.
E oggi, dopo essere stato insignito del primo premio nella categoria della ceramica alla XIV Florence Biennale, Carlo si appresta ad affrontare una nuova sfida, un ciclo di personali che inizieranno il prossimo 7 marzo con la mostra ‘L’infinito volgere del tempo’ nella prestigiosa sede di Palazzo Guadagni Strozzi Sacrati a Firenze. In questa occasione, noi di Artuu abbiamo voluto conoscerlo meglio attraverso un’intervista esclusiva…
Carlo, potresti raccontarci cosa ti ha spinto inizialmente verso il mondo della ceramica e come la tua eredità familiare ha influenzato il tuo percorso artistico?
Faenza, si sa, è la culla dell’arte ceramica e la mia è una famiglia di ceramisti da generazioni, a partire da mio bisnonno Carlo che lavorava nel rione di Borgo Durbecco a inizio ‘900, poi mio nonno Paolo, già pittore presso i fratelli Minardi, che dal 1918 divenne titolare con Pietro Melandri, Lino Fabbri e Amerigo Masotti della Bottega “La Faience”, e infine mio padre Francesco, pittore e modellatore, che è stato docente di Decorazione artistica all’Istituto d’Arte faentino “G. Ballardini”. La passione per questa arte antica fa quindi parte del mio DNA; sono cresciuto tra le opere di mio padre ma presto ho iniziato a usare la creta non come arte applicata bensì come mezzo per esprimere la mia idea di arte trovando nella modellazione dell’argilla la mia vocazione.
La tua prossima mostra personale ‘L’infinito volgere del tempo’ a Firenze sembra essere un punto di svolta nella tua carriera. Cosa rappresenta questa esposizione per te e come hai selezionato le opere da presentare?
Dopo aver vinto il primo premio nella categoria della ceramica alla XIV Florence Biennale, di cui sono onorato, ho ricevuto l’invito della regione Toscana ad esporre le mie opere nella prestigiosa sede di Palazzo Guadagni Strozzi Sacrati dove, dal 7 marzo al 13 aprile, si potranno ammirare trentacinque terrecotte policrome selezionate dalla giovane curatrice Greta Zuccali, per ripercorre la mia poetica dagli anni novanta fini ad oggi, secondo un filo conduttore del tutto inedito ovvero la circolarità del tempo, da cui il titolo della mostra. Tutte le opere ruotano intorno a questo concetto, quelle della nuova serie “L’infinito volgere del tempo” ma anche le opere delle serie “Quiete” e “Tempesta” a cui mi dedico ormai da trent’anni e che raffigurano i due volti inscindibili dell’esistenza.
Le tue opere esplorano temi come il mito, la storia e la leggenda. Quali sono le tue principali fonti di ispirazione e come scegli di integrarle nel tuo lavoro?”
La mia prima fonte di ispirazione è stata il cavallo e non l’ho più abbandonata perché è un simbolo atavico eppure attualissimo di vitalità, libertà e intelligenza; un animale nobile, compagno dell’esistenza umana, nel bene e nel male. Progressivamente ho scelto soggetti tratti da storia, mitologia e leggenda, ma anche dalla letteratura cavalleresca e dalle tradizioni cristiane, attingendo da romanzi, film, documentari e soprattutto viaggiando; sono nate così le mie creature fantastiche e allo stesso tempo familiari perché richiamano archetipi, sogni e utopie, parte della memoria collettiva.
Potresti descrivere il tuo processo creativo, dalla concezione di un’idea alla realizzazione finale di un’opera in terracotta policroma?
Il mio processo creativo è quello del demiurgo; parto dall’idea ovvero da una ben definita figurazione nella mente e cerco di riprodurla con la materia che prende forma tra le mie mani, con l’aiuto degli utensili tradizionali. Creo modellando l’argilla che viene poi fermata con la cottura; ogni volta un pezzo unico che nasce altresì dalla costante sperimentazione tecnica e dalla ricerca di sempre nuovi materiali da unire alla terracotta, per dare forma alla mia fantasia. Ho così iniziato a inserire smalti e rifiniture in oro, al terzo fuoco, poi ho aggiunto la foglia d’oro e da ultimo sto impiegando resine e gesso, oltre a originali configurazioni spaziali.
Nella serie ‘L’infinito volgere del tempo’, l’elemento del cerchio diventa un simbolo potente. Potresti spiegare il significato dietro questa scelta e come si collega alla tua visione dell’esistenza?
L’elemento del cerchio diventa protagonista nel sottolineare una concezione del tempo circolare e non lineare. I personaggi inseriti nelle loro orbite richiamano i concetti filosofici che da Pitagora a Eraclito arrivano fino a Nietzsche ovvero “l’eterno ritorno dell’uguale” come scorrere incessante di vita e morte, in cui ogni attimo deve essere vissuto per sé stesso.
La curatrice Greta Zuccali ha definito la tua opera come una ‘costante ricerca dell’umano’. In che modo ritieni che il tuo lavoro dialoghi con le questioni umane contemporanee?
Il mio lavoro è in continua connessione con il nostro presente, con i suoi drammi e le sue sfide. Come artista non posso fare altro che mettermi in connessione profonda con ciò che mi circonda e trasferirlo nelle mie opere, facendole diventare la rappresentazione plastica di ciò che vedo.
Al giorno di oggi, non posso negare che l’orizzonte fatto di guerre e crisi umanitarie, mi porta inevitabilmente a creare personaggi drammatici, avvelenati dalla cattiveria e dal dolore.
Dopo aver vinto il primo premio nella categoria della ceramica alla XIV Florence Biennale, come credi che questo riconoscimento abbia influenzato la percezione del tuo lavoro e la sua ricezione dal pubblico?
Il premio della XIV Florence Biennale è arrivato per me come una grande sorpresa che mi ha da una parte reso orgoglioso del mio lavoro e dell’altra motivato ad andare avanti in questa ricerca costante di bellezza.
Sento che il premio e la successiva esposizione presso Sala delle esposizioni dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze hanno reso più famigliare il mio lavoro all’occhio del pubblico, contribuendo ad avvicinare la mia opera ad una platea sempre più ampia di persone.
Alcune delle tue opere fanno esplicito riferimento alla Toscana e alla sua civiltà antica, fino agli Etruschi. Puoi parlare del tuo legame con questa regione e di come influisce sulla tua arte?
Il percorso espositivo della mostra a Firenze si completa con alcuni soggetti strettamente connessi alla Toscana in particolare la serie dedicata a “Pegaso” cavallo alato nato dal collo di Medusa e divenuto simbolo della Regione per i valori positivi che simboleggia: pace e volontà di combattere per la libertà; opere tra cui si trova anche la figura di Lars Porsenna, re etrusco di Chiusi, che ottenne la resa di Roma e che nel contesto della mostra incarna l’antieroe, colui che con tenacia e coraggio riesce a sfidare, e sconfiggere, il potere stabilito.
Quali sono i tuoi progetti futuri? C’è qualche nuova direzione o tema che vorresti esplorare nel tuo lavoro?
La mia mente e la mia immaginazione non si fermano mai. Molto spesso la notte, a letto, penso a quali miglioramenti e a quali ulteriori dettagli poter aggiungere alle opere, dettagli che inserisco come fossero elementi di speranza.
Una cosa che ho notato in quest’ultimo periodo, e che posso dire mi spaventa un po’, è che nelle ultime opere realizzate, dense di dolore e sofferenza, non riesco ad aggiungere altro. E’ come se la mia mente non contemplasse una via di uscita alla drammaticità della nostra esistenza e quindi non mi permettesse di aggiungere altro. Le mie opere sono il diario di una vita, ognuna rappresenta perfettamente un periodo e la sua percezione. Oggi tutto è opprimente, teso e non riesco a vedere vie d’uscita.