L’arte ha il potere di trasformare, di costruire ponti in luoghi segnati dalla distruzione. Questo è il cuore di Fixing Banksy (edito da Fve Editori), un racconto scritto da Alessandro Cini e che Gloria Gatti, nella sua prefazione, definisce come un viaggio intimo e universale al tempo stesso. Attraverso le parole dell’autore, ci immergiamo in una realtà fatta di macerie, ma anche di resilienza, dove l’arte non è solo un atto creativo, ma un antidoto contro la guerra.
A ottobre 2022, Banksy ha realizzato due opere a Borodyanka, lasciando un segno profondo sul paesaggio devastato dalla guerra. Una delle sue creazioni si trova su un muro di un palazzo sventrato, proprio di fronte alla piazza principale. L’opera raffigura una ragazzina, una ginnasta, che salta con eleganza sulle rovine del palazzo stesso, come se le macerie fossero parte integrante dell’opera.
La ragazza disegnata sembra sospesa, in equilibrio precario sopra un cumulo di macerie sottostanti otto piani di edificio crollati uno sull’altro. Si pensa che questa figura possa rappresentare Katya Dyachenko, una giovane ginnasta di undici anni di Mariupol, tragicamente scomparsa sotto le bombe nella sua casa.
Un altro lavoro di Banksy raffigura un giovane karateka che mette al tappeto un uomo più grande e anziano, una scena che qui chiamano “David and Goliath.” Il simbolismo è chiaro, dato il noto interesse di Vladimir Putin per le arti marziali.
A Borodyanka ha lavorato anche l’artista francese C215, pseudonimo di Christian Guémy, il quale ha creato molte più opere rispetto al celebre collega inglese. Guémy ha iniziato a dipingere quando i russi erano ancora presenti in città, scegliendo spesso luoghi privati e appartamenti bombardati invece delle strade principali. Le sue opere, che ritraggono persone comuni e soldati, portano il volto di storie vere, con nomi e cognomi spesso legati a chi ha perso la vita nel conflitto.
Alessandro Cini si è messo in gioco, raccontando il coraggio di entrare nei luoghi del conflitto e la forza di scommettere sull’arte come linguaggio universale per curare le ferite della storia.
In questa intervista, abbiamo chiesto all’autore, che è anche restauratore, le motivazioni, le sfide e i sogni che hanno dato vita a questo straordinario progetto, ispirato dall’urgenza di non restare spettatori passivi, ma protagonisti di un cambiamento possibile.
Alessandro, cosa ti ha spinto a intraprendere un progetto così ambizioso in un contesto di guerra?
Inizialmente ero partito semplicemente per lavoro. Mi trovavo in Ucraina per occuparmi della conservazione di monumenti storici, che rappresenta circa l’80% della mia attività come impresa di restauri. Dovevo valutare la possibilità di restaurare la Casa della Cultura di Irpin’, un progetto che già di per sé era significativo. Nel corso di questa missione, quasi per caso, ho incontrato la comunità di Borodjanka. Lì mi sono reso conto dell’urgenza di intervenire sui graffiti di Banksy e di C215, che erano in condizioni critiche e necessitavano di essere messi in sicurezza. Avendo già esperienza nel restauro di opere di Banksy, ho capito che potevo fare qualcosa di concreto. Nonostante la comunità locale non avesse i fondi necessari per affrontare l’intervento, non ci siamo fermati. Il progetto è partito lo stesso, perché era evidente che non si trattava solo di arte, ma di preservare qualcosa di simbolico per la rinascita della città.
Come descrivi nel tuo libro il contrasto tra distruzione (macerie) e creazione (arte)?
Il cuore di questo progetto sta proprio in questa opposizione: in un contesto di distruzione, l’arte diventa un modo per ripartire, per ricostruire. Mi sono chiesto: perché Banksy ha scelto Borodjanka per le sue opere e non altre città ugualmente devastate? La risposta è semplice: le città più grandi e note hanno avuto una forte copertura mediatica, mentre Borodjanka, una comunità più piccola, era rimasta nell’ombra. Banksy sapeva bene che, realizzando lì le sue opere, avrebbe acceso i riflettori su questa città dimenticata. L’arte, quindi, non è solo espressione estetica ma anche un messaggio di conoscenza e solidarietà, che dona visibilità alle comunità più trascurate. Questa idea è alla base del nostro progetto: creare un museo a Borodjanka che non solo preservi le opere d’arte ma contribuisca anche alla rinascita economica della comunità. Un museo può generare posti di lavoro, attrarre turismo e stimolare la ripresa economica. Anche se non si può pensare che da sole le opere di Banksy ricostruiranno Borodjanka, se riusciamo a creare 5-10 posti di lavoro diretti, a sostenere qualche ristorante o servizio locale, avremo comunque dato un piccolo ma significativo contributo alla ripartenza. In un luogo dove metà della popolazione è stata costretta ad andarsene, questo può fare una grande differenza.
Come descrivi l’esperienza del viaggio in Ucraina, quali emozioni emergono nel racconto?
È stata un’esperienza intensa, soprattutto emotivamente. Trovarsi faccia a faccia con la guerra è scioccante. Ci sono stati momenti di paura, come quando suonava l’allarme aereo durante la notte, ma anche tanta commozione. Ciò che colpisce di più è la forza e la resilienza delle persone che, da anni, convivono con questa realtà. La loro quotidianità è scandita da gesti normali, come andare a scuola o fare la spesa, ma sempre sullo sfondo della guerra. Ricordo quando stavo per partire e tentennavo, preoccupato per la situazione. Ho chiesto a una collega del posto com’era la vita lì, e lei mi ha risposto: “Ogni mattina preparo la colazione ai miei figli, li porto a scuola, vado al lavoro, torno a casa, faccio la cena e li metto a dormire. Questa è la vita, con o senza la guerra.” Quelle parole mi hanno fatto riflettere: se loro possono affrontare tutto questo con normalità, io non potevo tirarmi indietro per passare una settimana a contribuire.
Come si collega il titolo Fixing Banksy alla storia narrata? Perché è stato scelto questo riferimento?
Abbiamo scelto un titolo in inglese per aprire la possibilità di dialogare con un pubblico internazionale. Vorrei che questo progetto potesse raggiungere anche artisti, attivisti e sostenitori di tutto il mondo, soprattutto quelli che ho incontrato in Ucraina. La scelta del titolo riflette anche la nostra intenzione di mantenere una leggerezza sonora, quasi ritmica, che richiama lo stile comunicativo di Banksy, un po’ da rapper, diretto ma pieno di significati.
Quindi, secondo te, l’arte in qualche modo può essere una risposta alla guerra?
L’arte è da sempre una risposta potente alla guerra. Penso a Guernica di Picasso, un’opera che ha raccontato l’orrore della guerra civile spagnola in modo universale. Le opere che Banksy ha realizzato in Ucraina – sette in totale – rappresentano qualcosa di simile: una testimonianza visiva e immediata che, tra anni, sarà ricordata come un racconto simbolico di questa guerra. A differenza di Guernica, che è più esplicita e drammatica, Banksy usa l’ironia per trasmettere messaggi profondi. Un esempio è la ginnasta, un’opera apparentemente leggera ma che in realtà si ispira a una ragazza morta sotto le bombe. L’ironia è solo una maschera; il dolore è sempre presente.
Qual è il messaggio universale di questa storia, che va oltre il contesto della guerra in Ucraina?
Il messaggio è, il giovane allievo che butta in terra il vecchio maestro, l’animo di rivolta, andare contro i radicalismi, gli ismi in generale, andare contro ogni forma che imprigioni il pensiero. Il messaggio è la libertà. L’arte combatte ogni forma di oppressione e autoritarismo. È un linguaggio universale che resiste alle tirannie e protegge il pensiero libero. È un invito a non accettare passivamente le ingiustizie, ma a cercare sempre il cambiamento.
Vuoi aggiungere qualcosa?
Vorrei solo ricordare che questo libro non è solo un racconto, ma uno strumento per sostenere un sogno: costruire un museo a Borodjanka. Questo progetto non è fine a sé stesso; vuole essere un simbolo di rinascita e un aiuto concreto per una comunità che ha perso tutto. Per questo abbiamo lanciato un crowdfunding e stiamo cercando sponsor o sostenitori che credano in questa idea. Non è solo una questione di arte, ma di speranza.