Letteralmente “allestimento della vetrina”, l’ultima creazione del fondatore di Crosby Studio è stata commissionata dal celebre museo parigino come naturale proseguimento della mostra curata da Olivier Gaber Louvre Couture. Art and fashion. Statement pieces. Un degno omaggio del prezioso dipartimento di Arti Decorative, Louvre Couture presenta al pubblico oggetti iconici, testimoni della tradizione artistica e stilistica che da secoli contraddistingue Parigi e ispira geni di ogni epoca.
Il design e la moda di oggi dialogano con i capolavori delle collezioni permanenti, creando un parallelismo che evidenzia l’evoluzione estetica mantenendo come comun denominatore la bellezza. Percorrendo i 9000 mq della mostra è evidente un approccio che guarda oltre al semplice paragone tra l’antico e il moderno, optando per un confronto piú dinamico che metta in luce eco e richiami della storia.
Solitamente durante la visita a un museo si passano ore e ore a osservare opere appartenenti a tempi e spazi lontani, viaggiando con la fantasia tra fastosi abiti e preziosi manufatti: tra le sensazioni che attraversano il nostro cervello, la memoria è senza dubbio quella che ci permette di custodire gelosamente tutti i frammenti di queste esperienze. Con Lèche Vitrine Harry Nurjev rende concreto il concetto di ricordo usando come linguaggio la semplicità talvolta banale di oggetti onnipresenti nella nostra quotidianità, con provenienza e fattura differenti, molti dei quali non hanno alcuna rilevanza storico-artistica. Lo stridente contrasto tra la natura dei prodotti esposti in vetrina e il contesto della Galerie Sultana che li ospita crea un cortocircuito concettuale, secondo cui l’ambiente esterno investe il contenuto di un’aura implicitamente sacra, ma la familiarità dei singoli elementi colpisce dritto al cuore del pubblico.
Mi piace l’idea delle Madeleine de Proust e mi piace pensare che gli oggetti possano evocare ricordi. (Harry Nurjev, intervista a Vogue 23 ottobre 2024)
La trasparenza della vetrina crea un gioco di riflessi che rendono l’interno desiderabile e prezioso, proprio come l’effetto che fa l’allestimento di un negozio di moda o di una gioielleria: la dinamica che si instaura nella mente del visitatore conduce al focus del display di Nurjev, ovvero il desiderio incontrollato di acquistare, consumare e ricominciare lo stesso circolo vizioso.
Un vecchio telefono fisso, un portachiavi, statuette di figure egizie e elleniche, profumi terminati, specchietti di auto, tutto rientra in un’unica cornice omologato dalla medesima tinta argentata, come a azzerare le origini e offrire un nuovo inizio nelle mani di qualcun altro.

Icone del consumismo che si accumulano in un eccesso senza freno, a volte dovuto a istinti egoistici, altre per un vero e proprio culto, altre ancora per banale noncuranza, che santifica prodotti figli di macchine e non di mani antiche.
L’opera diventa un piedistallo per accettare, condividere o denigrare la nostra cultura: possiamo scegliere se osservare e trovare distrattamente corrispondenze con il nostro passato, o se acquistare al bookshop quegli stessi oggetti per sentirsi parte di un avvenimento e creare con esso nuovi ricordi.
La domanda sorge spontanea: abbiamo davvero bisogno di ció che giorno dopo giorno accumuliamo nelle nostre vetrine? I ricordi necessitano per forza di un corpo per essere tramandati?