Leonor Fini, tutto il suo “immaginario debordante surrealista” a Palazzo Reale

Ribelle, indipendente, spirito libero e gagliardo (“la furia italiana a Parigi” la chiamava Max Ernst), Leonor Fini (1907-1996) è stata più una donna del nostro tempo che del suo tempo, come dice Tere Arcq che firma, con Carlos Martìn, la curatela di “Io sono Leonor Fini”, una delle più ampie e complete retrospettive dedicate all’artista italo-argentina, ora a Palazzo Reale di Milano (fino al 22 giugno, la produzione è di MondoMostre con il supporto dell’Estate di Leonor Fini). 

È una di quelle mostre da vedere, complice anche un allestimento “eccessivamente leonorfiniano” che a qualcuno potrà non piacere, ma che aiuterà il grande pubblico a prendere confidenza con un’artista dalla vita e dalla personalità debordante (andate a vedere anche solo su wikipedia quanto è lunga la sua bio). Che cosa si vede a Milano? Un centinaio di opere tra dipinti, disegni, ma soprattutto tante sorprendenti fotografie del tempo e poi qualche video dell’Istituto Luce che omaggia la Fini e poi bozzetti e abiti che lei stessa ha immaginato per il teatro alla Scala

Leonor Fini, che attraversa il Surrealismo e ne fa una cosa tutta sua, è stata prima di tutto una performer, una primadonna, una protagonista. Ha vissuto la sua vita come un’opera d’arte: “Ho sempre immaginato che avrei avuto una vita molto diversa da quella che si immaginava per me, ma ho capito fin da subito che per poterla vivere mi sarei dovuta ribellare”, ha scritto. Questa mostra milanese, intelligentemente scandita in nove sezioni tematiche e non in ordine cronologico, ha il merito di mappare la sua produzione e procede per libere associazioni: si comincia con i temi che fondano la sua pittura (gli archetipi della sfinge, dell’uomo dormiente, del travestimento) e si procede con il periodo degli esordi, quando era prima allieva e poi compagna di Achille Funi e abitava a Milano, per poi approfondire la spinta surrealista, la sessualità fluida e disinibita.

Una parte importante dell’esposizione è giustamente dedicata agli archetipi femminili ricorrenti, una ai rituali e alle metamorfosi, una ai lavori di scena, fino al gran finale con l’Autoritratto con il cappello rosso che chiude enigmaticamente il percorso espositivo, aperto significativamente con una delle sue celebri massime “Sono una pittrice. Quando mi chiedono come faccia, rispondo: ‘Io sono'”. 

A Palazzo Reale si vedono, in ordine sparso, sfingi, donne-amazzoni, giovani seminudi sdraiati e lascivi, mezzi busti di donne che sorgono dalle acque di un lago e ancora stranissime nature morte, fiori, donne bendate, streghe, individui che paiono usciti dai peggiori incubi. Alcuni dipinti sono di una bellezza struggente (come Le Bout du Monde, del ’48), altri rivelano una mano non sempre all’altezza di altre “compagne di strada” come Leonora Carrington, che le fu amica e amante.  Ma il vero capolavoro che emerge è la estrema modernità e libertà di una donna che in una vita ne ha vissute cento, ed è per questo che vale la pena tirare le fila della sua esistenza. 

Leonor Fini nasce a Buenos Aires: suo padre è argentino, di origini beneventane, la madre è triestina. I genitori si separano quando Leonor è ancora una bambina e litigano così tanto da contendersela: per evitare che il padre la rapisse per strada, la madre comincia a vestire Leonor da maschietto, un’attitudine che l’artista non perderà anche da grande. Dopo una rocambolesca fuga dall’Argentina, madre e figlia approdano prima in Slovenia poi a Trieste: qui Leonor comincia a manifestare una certa attitudine per il disegno e prende lezioni di pittura.

Passano pochi anni e si trasferisce a Ferrara: è solo il primo di infiniti spostamenti di un’anima inquieta. Diventa allieva, poi collaboratrice infine compagna di Achille Funi. La coppia, nel frattempo, va a Milano: qui Fini espone alla Permanente, conosce Carrà. Sironi, Campigli, realizza il mosaico con le Amazzoni che c’è in Triennale, sempre insieme a Funi. Questione di pochi anni: nel 1931 è già a Parigi, assetata di vita. La città diventerà, al netto dei tanti viaggi e soggiorni in giro per il mondo, la sua casa. Si fidanza con un giovane intellettuale, André Pieyre de Mandiargues, poi conosce Max Ernst, da cui è molto attratta (dall’uomo, non dal suo Surrealismo): Leonor Fini – e questo la mostra a Palazzo Reale lo spiega bene – non ha mai apprezzato la misoginia e l’omofobia di certo mondo surrealista.

Era ispirata dall’anima onirica del Surrealismo, di cui apprezzava i giochi e i paradossi visivi, ma credeva fortemente che il tradizionale schema binario maschile/femminile fosse superato. Per lei ogni donna è una sfinge: prima di tutto ambigua. Comunque sia, la relazione con Max Ernst si accende durante un viaggio a New York che porta a Leonor Fini anche preziosi contatti: conosce Christian Dior e Elsa Schiapparelli, per la quale creerà una boccetta a forma di busto femminile per il suo profumo Shocking (anche questo in mostra a Milano). In uno strano ménage, Max Ernst, Leonora Carrington e Leonor Fini insieme a de Mandiargues e a Federico Veneziani (che di Fini diventerà per poco tempo marito) partono per un viaggio nella campagna francese, vicino a Bordeaux, dove sono costretti a rimanere a lungo perché nel frattempo era iniziata la Seconda Guerra Mondiale. Negli anni bui della guerra, Fini, astuta e camaleontica, non si perde d’animo: a Montecarlo conosce Stanislao Lepri, che lì era console italiano, e lo sposa (nel frattempo Lepri lascia la carriera diplomatica e si dedica alla pittura: ma questa è un’altra storia). 

Ai due si unisce il polacco Konstanty Jelensky, detto Kot: Leonor, Kot e Stanislao vivranno insieme fino agli anni Ottanta, circondati da gatti (entreranno anche nell’asse patrimoniale durante il testamento e una sezione della mostra a Palazzo Reale è dedicata a questa passione gattofila). Grazie a Lepri, Leonor Fini passa le sue “vacanze romane” con Luchino Visconti, Alberto Moravia, Elsa Morante: l’artista lavora molto con il cinema e, nel tempo libero, cerca torri, come quelle sul litorale di Anzio, dove organizzare feste in machera e veri e propri happening. Sono gli anni in cui si lega con una solida amicizia a Fabrizio Clerici, conosce Brigitte Bardot e Dorothea Tanning.

Davvero non c’è personalità italiana o francese che non sia passata dal suo salotto o dai suoi party: fare festa per Leonor Fini è una forma d’arte che pratica con cura e devozione quanto i ritratti che le vengono sempre più commissionati (tra i più celebri: quello di Alida Valli, di Anna Magnani, di Valentina Cortese). Gli ultimi vent’anni di Leonor Fini passano tra Parigi e la campagna francese: la sua pittura diventa più cupa e triste. Studia Piero della Francesca, i manieristi e i Preraffaelliti ma non sempre – va detto – i dipinti sono all’altezza dele sue aspirazioni e aspettative: anche in mostra a Milano si nota una certa discontinuità dello stile (ma non è forse anche questo il suo bello?). Alla sua morte – segno che in fondo anche Leonor Fini era una sentimentale – sceglierà di essere sepolta a Saint-Dyé-sur-Loire, nel paesino sulle sponde della Loira dove aveva preso una fattoria, in un mausoleo con Kot e Stanislao, che considerava i due uomini della sua vita.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Artuu Newsletter

Scelti per te

Seguici su Instagram ogni giorno