Da Candy Snake Gallery, giovane galleria milanese che negli ultimi anni ci ha sorpreso con le sue scelte originali e raffinate di pittura e scultura italiana e internazionale , ci seppelliamo nei dettagli e siccome l’arte contemporanea è sempre un po’ un mettere fra parentesi la realtà, Freud ce l’insegna, ci sentiamo un po’ come Chuck Palahniuk (“Il modo più rapido per chiudere una porta sulla realtà è seppellirsi nei dettagli”, Ninna Nanna) quando buttiamo l’occhio a volo d’uccello sulla mostra aperta alla galleria milanese fino al 24 gennaio: “Lost in density“, “Perdersi nei dettagli”, appunto. E tutto il resto è noia. Quattro artisti (Elen Bezhen, Agostino Rocco, Simone Stuto, Gloria Tomasini), quattro ricerche artistiche differenti, mezzi espressivi diversi (scultura e pittura), per un universo di discorso estetico che va dal ritratto alla forma organica al paesaggio alla natura morta alla corporeità.
Nata nel Caucaso nel 1996, Elen Bezhen vive e lavora a Grenoble, in Francia. La sua produzione artistica esplora il rapporto tra umanità e natura, con un’attenzione particolare alla figura femminile. Attingendo a un’estetica fra tardo medioevo, età umanistico-rinascimentale, suggestioni preraffaellite che si spingono fino a lambire accenti proto-romantici, Bezhen crea uno stile che trascende le epoche: il risultato è dato da una ritrattistica “ucronica” cioè fantastica ma verosimile, con soggetti che ci piace pensare siamo presi dalla realtà di questo 2024 ma immersi in una temperie fra il 1400 e il 1800. Ritratti umani, immersi nella selva (e qui pensiamo ai preraffaelliti) e nel nero che più nero no si può, su cui sopravvengono elemento arborei dettagliati. E un quadruccio (detto con il massimo senso di affetto possibile) che è un po’ come l’opera d’arte “trovami-trovami”, nascosta ma evidente (stesso effetto di un secondo quadruccio in mostra, quello di Simone Stuto, ci arriviamo fra poco) a metà fra l’isola dei morti e il paesaggismo verista. Elen Bezhen come una strega (qui siamo tutti amici delle streghe) cavalca i secoli dello stile.
E non per caso parliamo di stile: la serie “Fashionable/Questionable” di Agostino Rocco (il più “anziano” dei magnifici quattro, classe ’71) è una serie di volti, “ucronici” anch’essi, di soggetti giovani a cavallo fra la ritrattistica rinascimentale e le immagini patinate della moda, caratterizzati da volumi definiti e da un’illuminazione che richiama esplicitamente l’estetica fotografica. La pennellata segna volti belli e “dissonanti”, fuori sincrono, immaginari ma possibili, andate a vedervi i volti dei coniugi Arnolfini di van Eyck e poi tornate qui.
Un tributo (anche) alla storia della pittura che ritroviamo nelle opere di Simone Stuto, nato nel 1991 a Caltanissetta, il cui lavoro d’arte si configura come un viaggio nel Simbolismo, sarebbe piaciuto a quel Giandomenico Romanelli che anni fa, anzi eoni fa, curò la mostra “L’ossessione nordica” nel piccolo grande museo di Rovigo, Palazzo Roverella. In Stuto luce e ombra, maschile e femminile, divino e terreno, alfa e omega denotano un percorso che sa di alchimia, di esoterismo nel senso aristotelico del termine, cioè il non detto che a una certa fa emergere una nuova realtà. Vedi Stuto e vedi Klimt, vedi Kokoschka, vedi l’espressionismo e il volto scabro della bellezza.
Un cercare, quello dell’alchimia, che è un trovare: processo trasformativo che ritroviamo nelle sculture di Gloria Tomasini, nata a Lugano nel 1999 dove vive e lavora con puntate a Zurigo. Le sue sculture sono composte da agglomerati di forme che evocano il mondo vegetale o minerale, tra richiami corallini e floreali, dando vita a strutture fantastiche che ci fanno pensare a quei “castelli” immaginari di Eva Jospin (sì proprio lei, la figlia dell’ex primo ministro francese) cesellati in materiali che appaiono al tempo stesso organici e preziosi.
Visitare “Lost in density” da Candy Snake Gallery è un allontanarsi dalla realtà per immergersi in un mondo altro ma verosimile, fatto di stile: che, Alois Riegl ce l’insegna, è sempre all’altezza della sua epoca, ecco perché l’arte è sempre contemporanea.