Lo spettacolo è servito! Alla Fondazione Prada di Milano va in scena fino al 23 settembre 2024, con la cura di Mark Godfrey, una retrospettiva su Pino Pascali, artista stravagante e ironico che, nonostante la prematura scomparsa, ha lasciato un’eredità artistica più viva che mai.
Nel 1968, il camaleontico artista Pino Pascali, a soli 32 anni, raggiunge l’apice della sua carriera con la partecipazione alla XXXIV Biennale di Venezia. Un anno cruciale, segnato da eventi storico-politici significativi, tra rivolte globali in risposta a disuguaglianze sociali, alla guerra del Vietnam e alle richieste di maggiore libertà e diritti civili. Un déjà-vu contemporaneo?
Sul finire dell’estate del 1968, Pascali, esponente del movimento dell’Arte Povera, scompare tragicamente in un incidente motociclistico, lasciando un vuoto colmato con grandi mostre in suo ricordo. La retrospettiva, curata da Mark Godfrey, presentata negli spazi della Fondazione Prada di Milano, comprende quarantanove opere di Pascali provenienti da importanti musei e collezioni private italiane e internazionali, esposte tra il Podium, la Galleria Nord e la Galleria Sud.
La mostra ricostruisce la folgorante parabola di Pascali – scultore, scenografo per la RAI e performer – descritto come “esibizionista” dal curatore Godfrey, per il suo desiderio di lasciare un segno irriverente con le sue opere. La retrospettiva restituisce l’inedita ricerca di Pascali, ricostruendo gli ambienti delle grandi gallerie dove ha esposto, nel segno della sperimentazione più spinta. Tra questi, la sua prima personale a Roma nel 1965 presso la Galleria La Tartaruga con i frammenti anatomici di “Primo piano labbra” e la Galleria Sperone di Torino dove nel 1966 presenta la serie “Armi”, giocattoli di grandi dimensioni assemblati con materiali di scarto per distruggere il mito della guerra.
Durante il percorso espositivo, ci si imbatte nei materiali naturali e industriali utlizzati da Pascali come plastica, terra, fieno ed eternit, oggi stridenti con l’attuale idea di sostenibilità e salvaguardia ambientale, un tempo protagonisti di slogan come “Non c’è casa senza plastica”. La sperimentazione con i materiali si traduce in opere come i “Bachi da setola”, serpentoni in spazzole di nylon, e pezzi chiave come “Campi arati e canali di irrigazione” (1967) e “Pelle conciata” (1968).
Il lascito di Pascali è presente anche nelle mostre collettive, tra cui quella del 1968 alla Galleria de Foscherari di Bologna, che sancisce la nascita dell’Arte Povera teorizzata e curata da Germano Celant, oggi riproposta in Fondazione Prada con opere come “1 metro cubo di terra” in dialogo con artisti come Alighiero Boetti, Agostino Bonalumi, Mario Ceroli e Michelangelo Pistoletto.
La sezione con fotografie che immortalano Pascali mentre esibisce (ed esibendosi con) le sue opere è coinvolgente. Il curatore Godfrey scrive: “Un esibizionista come Pascali riconosceva l’importanza di avere immagini della mostra prima e dopo l’allestimento”, come testimoniano le fotografie storiche scattate da Claudio Abate, Ugo Mulas e Andrea Taverna, diventate veri e propri “materiali promozionali” per i redattori iconografici dell’epoca. In queste immagini, Pascali gioca con le sue finte sculture come “Vedova blu” o nel suo studio, mentre cavalca un finto missile ironicamente chiamato “Colomba della Pace”.
La retrospettiva su Pino Pascali alla Fondazione Prada di Milano offre un’inedita opportunità di immergersi nelle opere e nella vita di un artista ironicamente sperimentatore.