Salvador Rosa, agli Uffizi in arrivo un capolavoro “esoterico” del maestro del perturbante

In arrivo agli Uffizi da marzo 2025 La Strega di Salvator Rosa, dipinto recentemente acquistato dal museo e che rischiava di non ritornare più in Italia, trovandosi all’estero “da un numero sufficiente di anni tale da non poter essere più vincolata, […] oggetto di interesse da parte di svariati musei internazionali“. Attualmente, l’opera si trova esposta nella Sala Bianca di Palazzo Pitti ed è visitabile grazie a una speciale esposizione creata per il suo felice ritorno.

“io non depingo per arrechire ma solamente per propria sodisfazione; è forza il lasciarmi trasportare dagl’impeti dell’entusiasmo et esercitare i pennelli solamente in quel tempo che me ne sento violentato“. Salvator Rosa è certamente un artista che conosce il concetto di autonomia della creazione artistica. Nato a Napoli, ivi formatosi insieme a Ribera e vissuto nelle più importanti città dell’Italia dell’epoca, Roma e Firenze, Rosa è ricordato principalmente per le sue rappresentazioni di paesaggi. La natura aspra e selvaggia delle sue opere, insieme alla cruda espressività delle scene di battaglia, dalle tonalità scure e dai forti contrasti luministici, gli hanno valso la giusta fama di pittore “fuori dagli schemi”.

Salvator rosa autoritratto 1650 60 ca

Quasi sul procinto di essere scomunicato e incarcerato dal papa per aver esposto nel Pantheon, come segno di protesta, un’opera satirica contro il clero e la sua stupidità, Allegoria della Fortuna, la vita di Rosa sarà caratterizzata da spregiudicata indipendenza e furiose rivalità, la più famosa tra le quali è quella nei confronti di Gian Lorenzo Bernini. Come arriva un pittore di paesaggi e allegorie a rappresentare temi legati all’esoterismo e alla magia? Rosa, trasferitosi a Firenze sotto la protezione del cardinale Giovan Carlo de Medici, ha già evoluto la sua pittura verso gli stilemi del compagno Ribera, nel campo della ritrattistica, dotando le sue opere di cruda espressività e tonalità scure.

A partire dal 1640, l’artista è a Firenze, dove scrive le prime Satire ed è influenzato dal clima della corte medicea in cui gli studiosi e i nobili si interessano a temi filosofici ed esoterici. Per questo motivo l’arte di Rosa approda verso soggetti negromantici. I soggetti legati alla magia hanno varie caratteristiche, tra cui la presenza di colori cupi e la rappresentazione di un ambiente spoglio e inquietante. La Strega è stata realizzata in questo contesto fiorentino. L’opera rappresenta una donna anziana, inginocchiata in primo piano; il suo corpo è sgraziato e cadente, e mostra l’inclemenza di Salvator Rosa nel rappresentare i segni del tempo che sono ulteriormente accentuati da una luce tagliente che lascia bianchi segni nelle parti più illuminate.

La donna è quasi androgina, in quanto alle caratteristiche femminili accentuate nella loro decadenza, si alternano tratti che rendono la sua figura un’indistinta massa corporea a metà tra uomo e donna. Rosa si sofferma particolarmente sulla caratterizzazione del volto: gli occhi sono pieni di rabbia e spalancati, la bocca sembra lanciare parole di odio, la pelle è solcata da rughe profonde che increspano e accentuano l’espressione di rabbia e furore. La sua postura mostra un braccio alzato, il sinistro, che brandisce un ramo infuocato, una delle fonti di luce principali dell’intero dipinto.

La mano destra, più in basso, regge un’ampolla in vetro da cui fuoriesce in forma di fumo nero un demone. La donna sta compiendo un rito magico. Lo sfondo è un’informe macchia terrosa, di cui non si scorge l’orizzonte. In basso, sono collocati ossa, una damigiana in vetro, delle monete, uno specchio, un teschio e un cartiglio con iscrizioni esoteriche. Alcuni di questi particolari, quasi come a ricordare e sovvertire le rappresentazioni medievali o primo rinascimentali dei simboli del martirio di Cristo, sono presenti in molte altre sue opere, come Streghe e incantesimi. In secondo piano, dietro le gambe della donna, è raffigurato il particolare più inquietante: un bambino avvolto in un panno, probabilmente già morto.

Così come altre opere del tempo, La Strega è stata realizzata su commissione di nobili fiorentini. Tutto quello che la riguarda è permeato dal sovvertimento degli schemi tradizionali di rappresentazione pittorica: la donna ha caratteristiche androgine, la sua postura e la posizione del corpo dello spazio non la valorizzano, ma contribuiscono a sottolineare l’atmosfera grottesca che aleggia intorno alla sua figura. La nudità della Strega è un’arma nelle mani del pittore che non vuole mostrarne la purezza e la proporzione delle forme, ma la decadenza, la bruttezza e la follia incarnata. Solitamente, la nudità è celebrazione del corpo, ideale di perfezione rinascimentale che segue le proporzioni della statuaria classica. La nudità della Strega è quella della vulnerabilità: i seni cadenti non sono più fonte di nutrimento, il corpo è esposto allo sguardo altrui per mostrare gli effetti di una vita al di fuori delle norme sociali, come quella apparentemente scelta da questa donna.

Vi sono varie declinazioni di questo tema in Salvator Rosa: nell’opera Streghe e Incantesimi, un gruppo di donne voluttuose, dalle forme classicheggianti che richiamano le figure nei paesaggi bucolici di Poussin, sono intente a sovvertire l’ordine costituito del mondo: danno l’incenso a un morto impiccato; levano il maleficio a un uomo “jettato”; una donna taglia le unghie del cadavere appeso per ricavarci delle pozioni. Siamo vicini al momento dell’alba, la scena, per la concitazione dei personaggi, ricorderebbe quasi le rappresentazioni di Peter Brugel, se non fosse che i temi magici e fantastici gli sono assolutamente inconciliabili, così come la disposizione delle figure su un unico piano, il cui centro, quasi simbolicamente, è l’albero dell’impiccato, anch’esso ormai un tronco privo di vita.

A questa serie di rappresentazioni demoniache fa da contraltare la Strega dei Musei Capitolini. Dipinta intorno al 1646, quest’opera raffigura una donna dall’aspetto dignitoso, seduta in meditazione su un sasso, intenta a studiare, completamente da sola, il suo libro magico. I piedi poggiano su un cartiglio colmo di iscrizioni, circondato da ceri accesi circolarmente. La donna si trova su una rupe, è vestita per metà con una lunga gonna nera e i capelli bianchi e lisci sono contornati da una corona che ricorda l’alloro apollineo, sfiorito. Nessun elemento rimanda alla grottesca follia della Strega degli Uffizi: davanti a noi abbiamo una figura anomala per la società del tempo, priva di simboli che rimandino al pericolo o alla morte; libera da ossa, neonati e rami infuocati, questa donna somiglia più a una sibilla classica che alla stereotipata e dannosa immagine di una strega europea. 

La scelta iconografica di Rosa rimanda a modelli del Nord Europa, primo fra tutti Albrecht Dürer, seguito da Bramer e Swanenburgh. Oltre alla pittura del Cinquecento e del Seicento di ispirazione nordica, tuttavia, Rosa deve molto al compagno Ribera che, nel caso specifico degli Uffizi, sembra rievocato nella postura sgraziata della donna che richiama quella del distrutto San Sebastiano dell’artista spagnolo. Un braccio del martire è teso verso l’alto, l’altro poggia sul terreno; il corpo non è chiaramente solcato dalle stesse linee impietose che attraversano quello della Strega; tuttavia, gli incavi del corpo di San Sebastiano sono messi bene in vista, anche nelle parti meno nobili, come ad esempio le ascelle. Il martire rappresenta quella parte di umanità che è illuminata comunque dalla luce della grazia di Dio, al di là dell’aspetto del corpo e della posizione sgradevole, che culmina nelle gambe scomposte a terra. La luce che sfiora o colpisce duramente, in certi casi, la Strega di Salvator Rosa non è splendente e divina, ma fonte del demoniaco e sua sostanza. Ciò che in Ribera è apparentemente brutto e sgraziato, in Rosa lo è esplicitamente e volutamente, grazie a una pittura densa e macchiata. 

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