Mobiles e molto altro. Le sculture “temporali” di Calder Al MASI di Lugano

“Un oggetto di Calder è come il mare. È come un motivo di jazz, unico ed effimero, come il cielo, come l’alba; se vi è sfuggito, vi è sfuggito per sempre”. È così che Jean Paul Sartre descrive l’arte di Alexander Calder, nel catalogo della mostra che l’artista tenne a Roma nel 1956. Il critico francese non avrebbe potuto usare parole migliori per descrivere l’esperienza di fruizione delle opere di Calder. Le sue composizioni sono creazioni in divenire, sempre diverse ogni volta che le si osserva. Questa condizione di metamorfosi, è perfettamente espressa nella monografica dell’artista al MASI di Lugano, aperta fino al 6 ottobre 2024 e curata da Carmen Giménez e Ana Mingot Comenge.

Veduta dellallestimento Calder Sculpting Time MASI Lugano Svizzera Foto Luca Meneghel © 2024 Calder Foundation New York Artists Rights Society ARS New York

Con oltre 30 capolavori dell’artista, il MASI presenta una selezione di opere che vanno dal 1931 al 1960, esposte in ordine cronologico. Lo spettatore attraversa quindi tutte le fasi di creazione del genio di Calder, partendo da quella più figurativa fino ad arrivare alla massima astrazione. Nella prima sala vediamo infatti esposta la celebre scultura Big Bird del 1937, in cui è evidente la resa anatomica dell’animale. Red Lily Pads è uno degli ultimi pezzi esposti, datato 1956, in prestito dal Solomon R. Guggenheim Museum di New York. Rappresenta il perfetto abbandono del figurativo da parte dell’artista, a favore di un immaginario decisamente astratto, come punto d’arrivo della sua pratica.

Non solo le opere più conosciute ma anche pezzi inediti sono qui esposti. Mi riferisco a una scultura senza titolo del 1939, mai presentata al pubblico durante gli anni in cui l’artista era in vita, venne esposta solo una volta dopo la sua morte. Incredibile è pensare che in questa monografica sia possibile ammirare un pezzo così unico, praticamente ancora mai visto. Si tratta di una scultura in filo metallico e spago, prestata al MASI su concessione della Calder Foundation. Quest’opera fa parte dei famosi mobiles, termine che utilizzò Marcel Duchamp per definire le creazioni dell’artista e che coniò durante una sua visita nello studio di Calder, nell’autunno del 1931.

Veduta dell’allestimento “Calder. Sculpting Time,” MASI Lugano, Svizzera. Foto Luca Meneghel © 2024 Calder Foundation, New York / Artists Rights Society (ARS), New York

A partire dagli anni trenta infatti, lo scultore introduce il movimento nella sua arte, riducendo col tempo i riferimenti al figurativo, fino ad arrivare alla produzione di opere per cui l’artista è famoso. Calder introduce nella scultura, generalmente statica e massiccia, il senso del movimento e della leggerezza che renderanno le sue opere uniche nel loro genere. È quindi inevitabile una forte componente temporale nella sua arte. Lo spettatore nell’osservare un mobile di Calder, deve inevitabilmente aspettare che questo compia il lento movimento pensato dall’artista, per poter ammirare l’opera nella sua interezza. L’attesa diventa quasi un tempo di decompressione, in cui chi osserva si gode il momento, come ci spiega Ludovica Introini, curatrice del MASI, in un’intervista che ci ha dedicato. Uno degli obiettivi della personale è infatti raccontare Calder, analizzandolo dal punto di vista della sfera temporale.

Mobiles e molto altro. Oltre ad un’ampia selezione di opere d’arte cinetiche, i mobiles, al MASI sono presentate anche altre tipologie di sculture. Dalle prime astrazioni, le sphériques, fino agli stabiles e standing mobiles, il MASI non trascura nessuna forma creativa del grande artista. Alle pareti vediamo anche esposte le così chiamate costellations. Queste sono tutte opere realizzate nel 1943, in legno e filo metallico e sono le uniche creazioni di Calder pensate per essere esposte a parete. Realizzate unicamente durante il periodo bellico, per mancanza di ferro l’artista si dedica a un altro materiale, in modo da non interrompere la sua produzione artistica.

Veduta dell’allestimento “Calder. Sculpting Time,” MASI Lugano, Svizzera. Foto Luca Meneghel © 2024 Calder Foundation, New York / Artists Rights Society (ARS), New York

Parlando di allestimento, la mostra è concepita come spazio aperto, pulito, libero da pareti. Non ci sono infatti muri o divisori interni, ma una forte propensione al dialogo tra le singole opere. All’interno di un ambiente minimale, da pareti bianche e supporti semplici, le creazioni di Calder riescono a darsi al pubblico nel miglior modo possibile. Il fondo chiaro è perfetto per i mobiles, perchè se ne possono cogliere anche i movimenti più impercettibili in assoluta facilità. Allo stesso tempo è anche la soluzione migliore per le opere più monumentali dai forti contrasti cromatici e colori accesi, che riescono a risaltare senza scomparire nello sfondo. Interessante è anche il gioco di luci e ombre che si viene a creare in questo allestimento, sicuramente non lasciato al caso.

Sono visibili soprattutto con i mobiles, le ombre che si allungano sulle pareti e sui supporti delle sculture, creando un’atmosfera giocosa che richiama tutta la pratica dell’artista. Sembrano quasi delle proiezioni che completano le opere di Calder, soprattutto nel caso delle opere d’arte cinetiche, nelle quali sono soggette a movimento così come le sculture.

Veduta dell’allestimento “Calder. Sculpting Time,” MASI Lugano, Svizzera. Foto Luca Meneghel © 2024 Calder Foundation, New York / Artists Rights Society (ARS), New York

Altra nota di merito ha sicuramente la scelta curatoriale di esporre le costellations all’altezza per cui Calder le aveva pensate. Tante si trovano infatti molto in alto, così come da progetto iniziale dell’artista. L’altezza a cui sono esposte è inusuale anche per questo periodo storico, ma lo era ancora di più per gli anni quaranta, periodo in cui vennero realizzate. Non è scontato che un curatore decida di rispettare la scelta di esposizione di un artista, specie se così particolare. Oggigiorno infatti non è raro trovare opere la cui esposizione è stata ripensata dai curatori e che per questo perdono la loro funzione originaria. La scelta curatoriale di Giménez e Comenge è stata coraggiosa ma sicuramente anche molto onesta.

Suggestiva è la vista lago, sulla quale affacciano alcune delle opere, grazie ad un’ampia vetrata che fa interagire i pezzi con lo spazio circostante, quasi a sfondare le mura del museo. Sicuramente il MASI è un luogo che non solo rende giustizia a un così grande artista, ma ne esalta anche la bellezza delle opere e lo fa creando un dialogo tra arte e paesaggio naturale.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

La Musa surreale, Alessandra Redaelli racconta Gala Dalì in prima persona nel suo nuovo libro

Nel libro La musa surreale, Alessandra Redaelli ripercorre, attraverso la voce della stessa protagonista, la vita della musa di Salvador Dalì, non solo come compagna del celebre pittore, ma come una figura indipendente, capace di determinare il proprio destino.

Artuu Newsletter

Scelti per te

Seguici su Instagram ogni giorno