Siamo ad Urbino, antica città rinascimentale patrimonio Unesco, concepita da Federico da Montefeltro. Con il sottotitolo “opere dal 500 al 900 della collezione privata”, le sale del Castellare di Palazzo Ducale ospitano una mostra che sorprende e arricchisce “l’immagine di Urbino / che io non posso fuggire”. Questi versi, che abbiamo estratto dalla diversificata produzione poetica e letteraria di Paolo Volponi, a testimoniare l’attaccamento alla amata terra in cui egli aveva visto la luce nel 1924, morirà ad Ancona nel 1994.
Ad uno dei massimi scrittori del secondo 900 l’omaggio della città, nel centenario della nascita, con una serie di celebrazioni, fra cui l’efficace percorso espositivo della mostra curata da Luca Cesari. Un lungo, ricco itinerario che riunisce un nutrito corpus di opere d’arte collezionate da Volponi, un percorso ricostruito attraverso le scelte che hanno caratterizzato le tappe di una vita dedicata all’arte, alla critica, alla lettura dei linguaggi dell’arte, alla interpretazione delle opere acquistate, amate, scambiate da Volponi attraverso un ritmo incessante, una passione mai spenta.
Un viaggio attraverso il tempo scandito dagli scritti dello stesso Volponi che accompagnano le opere, dalle parole e discorsi intorno ai dipinti, testi composti tra il 1956 e il 1994 che restituiscono l’approccio, l’amore di un collezionista conoscitore che affida all’arte il senso della vita. “Volponi scrittore di libri scrittore di quadri”, scrive Luca Cesari.
Una sequenza progettuale che scandaglia, si sofferma sulle scelte di Volponi per restituire lo sguardo di un collezionista raffinato che indaga la peculiarità del lavoro degli artisti e le motivazioni che hanno dato origine ad una collezione come specchio di una eclettica personalità. Uomo politecnico e rinascimentale per concetto come scrive Luca Cesari, politico e senatore della repubblica, dirigente alla Olivetti, consulente per la Fiat, la fama di Volponi è legata soprattutto alla sua opera narrativa che gli varrà autorevoli riconoscimenti con titoli di rilievo come “Memoriale” 1962, “La macchina mondiale” 1965, “Il pianeta irritabile” 1978, “Le mosche del capitale” 1989,quando la mostra “Figure per un romanzo” pone l’accento sulla sua fame d’arte testimoniata anche dal suo pensiero.
Una raccolta che documenta l’imprescindibile esigenza dell’arte nella esistenza di Volponi, la profonda adesione ad uno stile di vita che non rinuncia a godere dell’arte nemmeno quando il filo della vita si sta per spezzare. “Ricoverato all’ospedale di Niguarda nei primi anni novanta”, come scrive Caterina Volponi nella bella “lettera” con cui racconta il padre , “in vestaglia nei corridoi del reparto di nefrologia cercando prima i gettoni e poi un telefono a muro funzionante”, riuscì a fare una offerta per un’asta e ad acquistare la sua ultima opera pittorica, un quadro di Agostino Tassi che aveva visto solo in un catalogo.
Innamorato della pittura antica, fra i primi lavori del percorso espositivo incontriamo un grande olio su tela, un “Ritratto di Papa Clemente XI di Carlo Maratta” (Camerano AN 1625 ) esponente di spicco della pittura della seconda metà del Seicento. “Clemente XI mi guarda con sospetto adesso mentre scrivo”, il pensiero di Volponi tra ironia, lodi e qualche nota pungente in un banner che accompagna il dipinto: “Caro Papa…hai regnato ventuno anni arricchendo la tua famiglia, ma anche facendo qualche opera buona per tutto il territorio. Non resta di te una predica, una lettera…“.
Proseguiamo e ci soffermiamo sullo sguardo abbassato di “Riccardo di San Vittore” dipinto da Federico Barocci ( Urbino 1535 1612) pittore disegnatore, innovativo incisore che ha segnato per circa un secolo il panorama artistico italiano ed europeo. Ancora una tela ad olio e lo sguardo penetrante è di Barocci stesso, l’artista conterraneo che Volponi definisce “pittore innovativo e folle”. Una “Natura morta con testa di vitello” del XVIII secolo di Carlo Magini, “dolce e domestico pittore della mia terra”, scrive Volponi.
La dolcezza e il gesto amorevole di una “Madonna del cardellino” ( da Raffaello) è del pittore architetto urbinate Gerolamo Genga, di Simone Cantarini da Pesaro ci cattura una espressiva “Allegoria della Fedeltà”. Un altro grande personaggio, le cui opere figurano nella collezione di Volponi, è Leonardo Castellani: “austera figura” che ad Urbino ha vissuto e insegnato, pittore, scrittore, maestro di incisione. “Non è il prodotto della bravura o del tecnicismo del maestro incisore, ma è la misura del suo metodo come è la virtù della sua poesia. E’ per questa sua forza interiore che le opere di Castellani abbondano il vero”.
Scelto come testimone della mostra, incontriamo un ritratto dalle linee essenziali che restituisce il volto di Volponi, opera di Arnoldo Ciarrocchi (Civitanova Marche 1916 ) che alla celebre Scuola del Libro di Urbino aveva appreso le tecniche del disegno e della incisione. Con un ritmo incalzante il percorso espositivo riflette la forsennata ricerca di un innamorato dell’arte che acquista dipinti, sculture, maioliche, stampe, ritratti, nature morte, tele di Gerolamo Genga, di De Chirico e Guido Reni con la stessa brama con cui si lascia catturare dalle meraviglia di opere di sconosciuti, come lavori di artigianato.
E il progetto espositivo si assume il compito di restituire la sorprendente, inaspettata, passione per l’arte contemporanea che Volponi matura poco a poco. L’ irresistibile forza che muove il suo fare di collezionista comincia con un lavoro di Giorgio Morandi nel 1950: “ho acquistato una natura morta di Morandi, un tondo a segno minuto al prezzo di lire 5.000”, si legge sulla parete di una sala espositiva.
In principio fu anche l’amore per le opere dell’amico incisore Luigi Bartolini, interprete straordinario di incisioni che hanno lasciato il segno nella storia della calcografia insieme a quelle di Giorgio Morandi. Volponi, giovanissimo, aveva cominciato a collezionare le sue acqueforti. Bartolini “ha meditato e insegnato con la coscienza ostinata del dolore, della solitudine e del richiamo della morte, ho avuto le sue più belle opere “, dirà a Lea Vergini in una intervista del 1986.
In mostra, fra altri lavori, spicca una sanguigna del 1911. Proseguiamo il cammino e possiamo godere di alcuni disegni di Guttuso che Volponi vede come “un maestro, come uno che dà delle risposte, da vero artista e che non accende solo interrogativi. Poi, le sculture di Giorgio De Chirico, di Arnaldo Pomodoro, di Arturo Martini e opere inaspettate come “Il sipario Volponi” di Isgrò, un esempio delle caratteristiche cancellature dell’artista, oggi 87enne, come cifra distintiva di un rivoluzionario linguaggio visivo.
Di Eliseo Mattiacci (Cagli Pu 1940 Pesaro 1919 ) possiamo apprezzare un trittico che restituisce il dialogo di luminose cromie con un centrale inno al Sole. Poi lavori di Mario Schifano, che Volponi ha frequentato, e Tano Festa, “a cui voglio bene”. Dell’artista romano, pittore e fotografo, spiccano i lavori a smalto e anilina dalle sorprendenti cromie che paiono l’emblema del suo cognome.
L’articolato percorso della mostra si conferma come un viaggio che attraversa sentieri antichi e linguaggi di oggi nel contesto di un presente che scardina regole e costruisce un nuovo modo di esprimersi come quello di Enzo Cucchi, esponente di spicco della Transavanguardia, frequentato con “grande affetto, uomo di fantasia travolgente”, così Volponi definisce l ‘artista marchigiano nell’intervista rilasciata a Lea Vergini .”Paolo, e chi si dimentica?”. È l’interrogativo trasferito sulla parete museale che caratterizza una storia per un racconto non di nostalgia ma di verità.
Una narrazione che spalanca la finestra sulla voracità e le vedute di uno come Paolo Volponi, e possiamo anche definirlo straordinario maestro del pensiero, capace di entrare nel mistero delle cose attraverso la fascinazione della bellezza. Lasciamo la mostra, il cui titolo si riferisce al potere che la parola come il linguaggio descrittivo ha di romanzare, quindi di raccontare e conoscere le figure della pittura, sottolinea Luca Cesari.
Con la soddisfazione di aver introiettato qualcosa che sta tra l’arte e la vita. L’arte che attraversa il tempo e racchiude tracce dell’eterno quando ricordiamo alcuni versi di Volponi che ci appaiono come l’arte del dipingere il sentimento nel farsi della vita: “a notte è più della morte / è il sogno l’abisso che non si colma …l’alba è la pecora mansueta che lecca la spiaggia del mare…”.