Giovanni Maranghi è un artista fiorentino che ha un approccio innovativo alla pittura e alle arti visive. La sua tecnica è un interessante mix tra tradizione e innovazione, integrando metodi antichi come il disegno e l’encausto con processi creativi contemporanei, sia artigianali che digitali.
Le sue opere sono caratterizzate dall’uso di collage, fotografia, graffito e tecniche di elaborazione digitale, creando così una ricca trama di elementi visivi che dialogano tra loro. Uno degli aspetti più distintivi del lavoro di Maranghi è un procedimento originale, da lui denominato “Kristal”. Questa tecnica, ideata oltre vent’anni fa, prevede la rielaborazione e la contaminazione dei suoi stessi motivi originali, i quali vengono stampati su una pellicola trasparente in PVC e successivamente ridipinti.
Il risultato è una superficie che gioca con la luce e offre una percezione di tridimensionalità, conferendo alle opere un effetto unico e vibrante. L’uso di questa tecnica mette in evidenza la capacità dell’artista di reinventare il suo linguaggio visivo, mantenendo un dialogo costante tra passato e presente, tra tradizione e sperimentazione.
La mostra “SCRIPTA MANENT” di Giovanni Maranghi ai Magazzini del Sale, curata da Chiara Canali e visitabile sino al 13 ottobre, si inserisce perfettamente nella cornice storica e artistica del Palazzo Pubblico di Siena.
Il titolo della mostra richiama la stratificazione di segni e messaggi lasciati nel tempo, una testimonianza tangibile di voci anonime che, attraverso graffiti e incisioni, hanno segnato le pareti di spazi iconici come l’Anticappella e le Sale di Balìa, del Mappamondo e della Pace. Questi graffiti antichi, che raccontano la storia e le vicende di Siena, trovano un riflesso nelle moderne scritte urbane, creando una connessione tra epoche diverse ma unite dall’impulso di lasciare una traccia.
Maranghi, sempre affascinato dalle scritte sui muri delle città, ha sviluppato un corpus di opere che rielabora questo concetto. Negli ultimi anni, l’artista ha raccolto immagini di murales, graffiti e segni urbani, testimoniando la vitalità e la diversità dell’arte urbana contemporanea.
Questi elementi, che lui stesso definisce il repertorio di un “artista vandalo”, si manifestano nelle sue opere quadrate di piccolo formato, dove texture stratificate di forme, linee e graffi creano una complessità visiva. La stratificazione e la rielaborazione di queste immagini sono un’estensione della sua ricerca artistica. Maranghi esplora il concetto di memoria e identità visiva collettiva, reinterpretando segni anonimi e personali per trasformarli in opere d’arte che attraversano il confine tra la pittura tradizionale e la street art contemporanea.
In questa intervista esclusiva ci racconta la genesi dei suoi lavori.
La mostra in corso ai Magazzini del Sale ha per titolo Scripta Manent, vuoi svelarci il perché?
L’idea è partita da Chiara Canali, che ne è la curatrice, da quando abbiamo pensato a questa mostra abbiamo anche cercato di mantenere una linea di continuità con l’esposizione fatta a Firenze a Palazzo Vecchio all’interno della Sala d’Arme.
L’ultimo atto di questa mostra prevedeva, infatti, un’installazione in orizzontale che conteneva 360 mattonelle con altrettante immagini che facevano parte di un gruppo di oltre 3000 fotografie. Scatti che avevo fatto in giro per le strade di Firenze, avevo ripreso sia i lavori degli street artist sia le scritte fatte dai turisti sui muri fiorentini, che devo dire mi avevano incuriosito molto di più, perché sono scritte fatte di pancia, si scrive sui muri senza pensare che lo si sta vandalizzando, lo fai perché vuoi per forza segnare quel momento.
Chiara aveva visionato le foto e i filmati ed era rimasta colpita in quanto proprio a Siena ai piani nobili di Palazzo Pubblico, in diverse sale ci sono tantissimi graffiti sui muri. Scritte in punta di coltello che risalgono probabilmente al 1400/1500.
Una bella coincidenza direi, e quindi cosa avete pensato?
Abbiamo cercato di legare quello che era stato il mio interesse per le scritte sui muri fiorentini con i graffiti presenti in queste sale museali, allora ho fatto anche lì una serie di fotografie e poi ho iniziato a cercare di farle mie. Contaminando ciò che avevo fotografato, dipingendoci sopra e usandolo come texture, oppure anche, come avevo fatto già a Firenze, facendo un vero e proprio contraddittorio.
Mi spieghi come funziona il contradditorio?
Se per esempio ci fosse la scritta “viva il verde” io avrei fatto un quadro con i toni del giallo per mettere in luce il mio dissenso.
Qualcuno ti ha definito “artista vandalo”, perché?
In una vecchia strada di Firenze, via San Zanobi, su un muro c’era il pezzo di una poesia, che iniziava dicendo “l’artista Vandalo prima distrugge e poi crea”, poi è successo che qualcuno aveva passato una mano di tempera bianca sopra e si intravedeva soltanto la scritta “artista Vandalo”, io l’avevo inserita nell’installazione fiorentina perché la trovavo perfetta per quello che volevo trasmettere, e quindi da lì la definizione di “artista Vandalo”.
Con la mostra di Siena, quindi, si chiude non un ciclo ma un cerchio aperto a Firenze.
Nei tuoi lavori le tecniche usate sono molte, dalla stampa, al colore, al Kristal tecnica da te inventata, qual è quella che preferisci?
Non so dirti quale, tra le tante usate, preferisco. All’inizio mi consideravo un pittore gestuale, frequentavo l’accademia dove facevo dei corsi di nudo libero senza essere iscritto perché nel frattempo studiavo architettura.
Dipingevo i quadri in maniera molto veloce, però mi è sempre interessato cercare al di là delle tecniche anche di usare i materiali in maniera impropria, non ero un buon cliente per i negozi di belle arti, mi piaceva trovare da me i materiali adatti a quello che facevo. Preferivo, ad esempio, usare una lacca per capelli di bassissima qualità che mi costava una stupidaggine invece di andare nel negozio di belle arti a comprare un fissativo e così, mi sono trovato la prima volta a lavorare su un materiale plastico.
Questa è un po’ la genesi del Kristal, questo materiale plastico non era trasparente al cento per cento, perché c’era una velatura biancastra, mi piaceva perché mi dava dei colori molto particolari, potevo una volta stampato lavorarci ancora.
Ci spieghi meglio cosa è il Kristal?
Continuando la mia ricerca di materiali ne ho trovato un altro che è sempre un PVC, non è una pellicola di qualità da poter usare per la fotografia, ma l’ho trovata adatta per un certo tipo di stampa, di serigrafia e poi una volta stampato posso ridipingerci sopra, posso andare con pastelli, con tutto quello che voglio. È una tecnica che richiede una lunga preparazione, parto sempre da un originale che ho dipinto che fotografo e stampo, lo scarico sul computer, tolgo quello che non mi piace, cambio colori, aggiungo, posso aggiungere la texture del muro su un quadro mio già fatto, delle scritte che ho preso da un’altra parte e così via.
Si chiama Kristal perché sulla prima bobina comprata c’era scritto così e mi piaceva perché la parola mi ricordava qualcosa di trasparente, il cristallo, la lucentezza, ecco…forse questa è la tecnica a cui sono più legato perché sono l’unico che porta avanti questo tipo di lavoro, me lo sono completamente inventato.
Le figure nelle tue opere sono quasi tutte donne bellissime, procaci, seducenti, quasi l’archetipo della femminilità, perché?
Quando io disegno una donna, una donna felliniana, come le hanno definite, con un seno importante, con dei fianchi a volte sproporzionati penso che possa trasmettere l’erotismo a volte allungo gli arti, con dita lunghissime ma, quando ho provato a disegnare un uomo alla mia maniera mi è sembrato troppo caricaturale, quindi ho sempre preferito la donna.
I pieni e i vuoti dei miei lavori ci sono perché ho fatto anche un po’ di scultura e se c’è qualcosa che mi è rimasto addosso della scultura sono i volumi. Quando accentuo un fianco, una gamba, un gluteo è così proprio per il gusto di avere qualcosa di plastico che mi può ricordare effettivamente la scultura.
Qualcuno dice che Giovanni Maranghi è quasi ossessionato dal disegno, ti ritrovi in questa definizione?
Fino a vent’anni fa disegnavo in punta di pennello perché non sopportavo la matita, non sopportavo un pennarello, non sopportavo una penna a china, poi si cambia, forse perché ho iniziato a incidere, mi piaceva molto l’incisione di Marino Marini, perché sembrava che aggredisse la lastra con questo segno, e mi dava i brividi quando vedevo come era forte e deciso. E da allora ho iniziato ad usare la grafite, perché anche io volevo marcare forte il segno.
Ho iniziato a disegnare molto più che a dipingere, questi volti con queste linee e con dei segni molto marcati, se guardi un volto all’interno di una tela, da lontano, lo leggi benissimo da vicino è solo un vuoto, una linea rossa, una linea nera su un fondo bianco. L’interno dell’ovale del volto, mi serviva come un contenitore che mi permetteva poi di poterlo riempire con delle mie storie, con i miei disegni.
Quindi da lontano si poteva ammirare questo volto, ma a mano a mano che ci si avvicinava si scopriva che all’interno del volto c’era una vera e propria storia fatta di cento-duecento personaggi, disegni continui. Disegnavo anche mentre dormivo perché ero preso da questa mania del disegno.
Quindi, è vero che il disegno per te è importantissimo?
Si per me è basilare, quando parlo al telefono disegno continuamente. Tanti dei miei quadri sono nati da dei piccoli disegni, che ho anche incorniciato e fanno parte di queste 24 piccole opere, che sono in mostra ai Magazzini del sale, addirittura ce ne sono due o tre, che sono stati incorniciati, che sono dei disegni realizzati su dei fazzoletti di carta, che io tengo sul mio piano di lavoro sia in studio che a casa.
Il disegno a china sul fazzoletto di carta si sfalda un po’, perché è assorbente, e viene fuori un segno molto particolare, che io metto su una tavola di legno, lo faccio incorniciare e lo metto in mostra insieme al Kristal che ne è conseguito. Quindi quei grandi quadri sono scaturiti da un disegno realizzato su di un piccolo fazzoletto fatto mentre parlo al telefono.