La gran parte del pubblico italiano lo ha scoperto così, con quel look un po’ David Bowie un po’ Ape Maia su un fisico gracile e mingherlino contrapposto ad una grande forza performativa. Lucio Corsi ha fatto suo debutto sul palco dell’Ariston e immediatamente è diventato virale, in maniera quasi naturale, con il brano “Volevo essere un duro”, perfetta sintesi di una poetica che sta crescendo album dopo album, canzone dopo canzone. Chi ne decanta l’abilità cantautoriale, chi ne elogia la capacità di mostrarsi così, con le proprie fragilità, chi ne riscopre la discografia: tutti, nella maggior parte, fan dell’ultimo minuto, abili a raccontare questo momento “illuminante” di scoperta del suo talento ma non tanto a ricostruire il percorso evolutivo e il peso di una figura davvero complicata.
Lucio infatti, già da anni bazzicava nell’underground musicale dei club di mezzo stivale, apprezzato da un pubblico attento alla bellezza che si trova fuori dai circuiti battuti, gli stessi che forse avevano storto il naso nel sapere della sua partecipazione a Sanremo. La sua musica però, è estremamente pop, nel senso più positivo del termine (ovvero accessibile, non falsamente agghindata di sovrastrutture), con innesti di glam rock e assoli di chitarra elettrica che regalano al tutto un po’ di epicità.
Nato a Grosseto nel 1993, Lucio ha passato la sua infanzia nella Maremma Toscana, sviluppando inizialmente un lirismo bucolico e simbolico dove i primi soggetti, come un buon Fedro contemporaneo, sono gli animali e la natura. Cresce con i quadri “onirici” della madre Nicoletta Rabiti, una pittrice che si definisce “amatoriale”, ma che, già per essere stata capace di plasmare l’immaginario di suo figlio, tanto amatoriale alla fine non è. Linee semplici, poche figure che sembrano uscite da un libro per bambini, colori decisi: le opere di mamma Nicoletta accompagneranno tutti brani e i lavori di Lucio É da questo notevole bagaglio che nasce “Bestiario Musicale”, pubblicato nel 2017, il primo album in studio dell’artista, che segue il doppio l’EP “Altalena Boy/Vetulonia Dakar“, del 2015.
“Ho preso otto animali tipici della mia zona, annotandomi tutte le caratteristiche e anche la mitologia che si portano dietro, e ho fatto un pezzo per ognuno di loro. Sono canzoni notturne perché gli animali selvatici escono prevalentemente la notte e sono in forma quasi del tutto acustica poiché nella macchia non si trovano molte prese di corrente per eventuali amplificatori (tranquilli non sono chitarra e voce ma arrangiate, in genere con chitarra, pianoforte, contrabbasso, spinetta e percussioni)”
“Bestiario Musicale” è un disco nudo, spoglio musicalmente, memore della grande tradizione folk e cantautoriale. L’upupa, la lepre, la volpe, il lupo, l’istrice, il cinghiale e la lucertole sono figure fiabesche che trovano un loro spazio nel mondo e la loro redenzione attraverso la fantasia e le loro imprese epiche (la lepre arriva alla luna con un salto, riferimento forse a Il piccolo principe). Insomma, le sue sono fiabe per adulti mai cresciuti che adoperano un lirismo fanciullesco di pascoliana memoria.
Grazie a questo lavoro arrivano i primi concerti spalla di Baustelle e Brunori Sas, e saranno proprio i primi (nella figura di Francesco Bianconi) a produrre il suo secondo disco “Cosa faremo da grandi?”, uscito per Sugar Music (di Brunori Sas) nel 2019. L’evoluzione musicale e testuale di Lucio è chiara: non più solamente chitarra acustica ma intere orchestre, archi, contrabbassi e addirittura marimba e mellotron; non più animali ma stavolta le favole hanno come protagonisti umoni, a volte reali, a volte fantastici (come La ragazza trasparente o Amico vola via). Rimane però ancora la ricerca di imprese insensate e surreali, come la volontà di scavare una buca per ritrovarsi in Cina (Bigbuca) o un uomo che crea manualmente tutte le conchiglie per poi buttarle nel mare (Cosa faremo da grandi?).
Tutte queste storie, però, paiono raccontate da un fanciullo che, pur parlando di cose molto serie, le affronta sempre con la sua vena di ribellione puerile. Ritorna qui prepotentemente anche il tema dei sogni e delle aspirazioni adolescenziali tarpate dagli adulti sul quale era basato anche un classico dell’indie pop italiano come “Charlie fa surf” dei Baustelle. Se infatti il personaggio di Bianconi aveva le “mani chiodate da un mondo di grandi e di preti” (con chiaro riferimento, tra l’altro, alla scultura Charlie Don’t Surf di Maurizio Cattelan), Lucio Corsi in “Amico vola via” canta invece “C’era un mio amico che era troppo secco, col vento volava, i dottori dissero ‘Appesantirlo è l’unica cosa da fare’ (…) a nessuno venne in mente di costruirgli le ali”.
Nel 2023 poi arriva il terzo album, “La gente che sogna“, un lavoro che vive stavolta anche di storie misteriose e utopie. Se prima il limite spaziale era la luna, adesso la narrazione si spinge verso una “astronave giradisco” che spara un “sound spaziale” e viene collocata in un “mondo senza difetti”, quasi un iperuranio di platoniana memoria. Ora dunque la “realtà è crollata” definitivamente, facendo spazio ad un ambiente stellare da Ziggy Stardust. Ma la fuga è solo momentanea, dato che è la stessa pesantezza del reale a tornare prepotentemente con “i manichini che dormono in piedi imprigionati dentro ai loro vestiti/ E i pali di ferro che gridano fedeltà rimanendo incatenati alle bici”. L’antidoto è semplice: dare una consistenza reale anche all’immaginazione e alla fantasia, ponendola ontologicamente allo stesso livello (Che esista un altro mondo io non ne dubito / Basta credere agli occhi / Anche quando si chiudono).
E veniamo dunque ad oggi, a questa fatidica “scoperta” del grande pubblico. Volevo essere un duro è un brano che parla sicuramente di fragilità ma, alla luce di questa analisi, si capisce come Lucio viva definitivamente, anima e corpo, nel mondo della sua fantasia, accentandola serenamente. Ed ecco che forse tutto quello che dice di voler essere (“un robot, un lottatore di sumo, lo scippatore che ti aspetta nel buio”) è in realtà un riferimento ironico alle false aspirazioni che vengono imposte da un mondo totalmente pazzo, perché in fondo “vivere la vita è un gioco da ragazzi”.
Un gioco serio, sempre e comunque, lo stesso che si vedrà oggi, a Sanremo, nel suo duetto con Topo Gigio, pupazzo eterna “spalla” dei mini-concorrenti dello Zecchino d’oro e che finalmente avrà un suo spazio sul palco (dopo la grande performance di “Brividi” con Valerio Lundini). Anche questa in fondo, non è forse un’altra storia di redenzione fanciullesca?